Desideravo materializzare una mia idea, e con un amico ho esaminato le varie forme societarie per poter agire nella pratica. Dopo aver esaminato le varie possibilità, dopo aver fatto degli esempi con cifre di entrate, costi, tasse, imposte e profitti, ci siamo resi conto che, grazie agli insaziabili politici, se non si ha un’entrata annua di almeno 300.000 euro, non ne vale assolutamente la pena. I politici sembra che non vogliano che ognuno raggiunga l’agiatezza
E sinceramente, con i tempi che corrono, e alquanto poco probabile tirare in cassa quella cifra il primo anno.
I politici sono incredibilmente voraci
Ammettendo comunque di riuscirci alla fine, detratti i costi e i vari balzelli, grazie all’attività predatoria dei politici avremmo guadagnato circa 18.000 euro, senza 13ª, senza ferie pagate, senza trattamento di fine rapporto. Oltre a questo, a novembre avremmo dovuto pagare 45.000 euro come acconto IRPEF. A conti fatti guadagneremmo molto meno dei collaboratori che dovremo assumere per l’attività, pur avendo una maggiore responsabilità.
Si tratta di una proiezione, ne abbiamo fatte delle altre, esaminando altre forme, e siamo arrivati alla conclusione che oggi non conviene fare impresa, a meno che non inventi qualcosa di unico che tutto il mondo necessita, allora sì forse conviene, ma per qualcosa per cui esiste concorrenza, assolutamente no.
In pratica se si apre un’attività, fra imposte dirette e indirette lo Stato si prende tre quarti del guadagno lordo. Che tu ci creda o meno l’incidenza complessiva di imposte e tasse varie sul risultato economico può arrivare, e può anche superare l’83%. Questa è follia allo stato puro. Dovrebbe essere il contrario, lo Stato dovrebbe accontentarsi del 15-20%, diversamente significa che le persone che fanno parte dell’apparato statale sono degli incapaci o dei disonesti.
La mia idea e quelle di tante altre persone creative rimarranno sogni nel cassetto, quando avrebbero invece potuto dare qualcosa di valore alla comunità e opportunità di lavoro a molte persone.
La quasi totalità dei cittadini non è in grado di valutare cosa otterrà votando uno dei vari candidati politici. Le cose non sono mai come sembrano, e il risultato finale di una scelta viene ottenuto da una successione di causa-effetto, causa-effetto, causa-effetto e quasi sempre è diverso da quello che ci si aspettava, non conoscendo tutte le cause e tutti gli effetti, o per incapacità di prevedere l’effetto di ogni singola causa.
In questo periodo i media non fanno altro che parlare di politica, delle varie beghe di partito, fra partiti o interne a un partito, vengono riportate le esternazioni dei singoli politicanti, esternazioni che dimostrano l’ignoranza e la stupidità di chi le fa, o la malafede nel caso che chi le fa sappia che quello che sta dicendo è una menzogna.
Fra le tante ho sentito quella di un politicante che afferma che se sarà al governo, la prima cosa che farà sarà quella di tassare i ricchi. Potrebbe essere un’idea, se nel suo concetto di ricco sono inclusi i parlamentari, tassando i quali non potrebbe essere che di grande beneficio perché, visti i risultati della politica, sono pagati in eccesso, sarebbe giusto che venissero tassati pesantemente, e se questo avvenisse, l’economia italiana non potrebbe che trarre vantaggio.
Nel caso di un imprenditore, qualora diventasse ricco, tassarlo solo per il fatto di essere ricco sarebbe controproducente. Una persona crea un’impresa per produrre qualcosa di desiderabile che verrà acquistato, e si aspetta anche di avere dei profitti che premiano l’idea che ha materializzato creando un’impresa commerciale. Oltre un certo punto se la tassazione è elevata non è più conveniente condurre un’impresa e non c’è quindi motivo di continuare l’attività.
A questo punto, se un imprenditore chiude la sua impresa, perché non ha più voglia di lavorare per il solo gusto di pagare tasse eccessive, al punto che gli rimangono in tasca meno soldi che ai suoi dipendenti, e questi dipendenti rimangono senza lavoro, chi è da rimproverare, l’imprenditore o la politica delle tasse?
Ho un esempio reale da riportare. Anni fa, certe cose non cambiano mai, parlavo con un mio amico che aveva una piccola fabbrica, e mi diceva che ogni anno le cose diventavano sempre più difficili e che quanto aveva messo da parte con anni di duro lavoro, sempre in giro a promuovere e cercare nuovi clienti per i suoi prodotti, veniva assorbito dai periodi di congiuntura e dagli aumenti di tasse.
Non aveva quindi alcuna necessità di lavorare per pagare interessi alle banche e rimanere con quasi niente una volta pagati i dipendenti, con l’ansia di non riuscire a far fronte ai costi aziendali.
Mi disse che aveva fatto quattro conti, con il denaro messo da parte, una cospicua somma che si sarebbe logorata continuando l’attività, e il ricavato della vendita dei macchinari, avrebbe potuto vivere di rendita con la famiglia in un paese del centro America.
Precisò che per quanto sarebbe potuto sembrare un discorso egoistico per il fatto che 15 dipendenti sarebbero rimasti senza lavoro, in realtà avrebbe evitato un periodo di agonia che sarebbe comunque terminato con la chiusura dell’azienda.
Vendette la sua casa, prese le sue cose e se ne andò dall’Italia, dove ritorna ogni anno come turista.
Questo è il risultato di tassare “il ricco”. Se io come imprenditore non posso avere di più dei miei dipendenti, con la responsabilità di andare in giro a cercare clienti per i miei prodotti e portare a casa denaro per far fronte ai pagamenti, alle tasse e per garantire gli stipendi, ma chi me lo fa fare?
Come quel mio amico, altri imprenditori potrebbero fare quattro conti e decidere di chiudere l’attività perché fare impresa non ne vale più la pena. Molte persone rimarrebbero senza lavoro e non voglio nemmeno tentare di immaginare il nostro futuro.
C’è anche molta confusione su cosa significa equa distribuzione della ricchezza. Ci sarebbe molto da scrivere su questo, ma preferisco farlo in uno specifico articolo.
Solo i politicanti da quattro soldi ragionano in termini di togliere ai ricchi per dare ai poveri. Questo punto di vista solidifica la povertà. Una politica intelligente sarebbe impegnata a far diventare ricco il povero, non a impoverire il ricco. Dopotutto è il ricco che può dare lavoro al povero e non viceversa.
E dato che le tasse sono arrivate al parossismo, la mia idea continuerà ad essere un sogno nel cassetto, non si tramuterà in alcuna attività produttiva e lo stesso sarà per i sogni di altre persone che non vogliono essere bastonate per voler produrre.
Qualunque imbecille è in grado di inventare tasse, e viste le tasse che abbiamo, direi che gli imbecilli abbondano.
Le nostre tasse vengono quasi tutte assorbite dal malaffare. È inutile che ti parli di tutte le cattedrali nel deserto costruite da imprese imparentate con i politici, è inutile che ti parli della corruzione, è inutile che ti parli dei vari batman nostrani, dei cospicui stipendi dei nostri parlamentari che ci hanno regalato un debito pubblico incolmabile, inutile che ti parli del fondo salva stati, che serve solo a tenere in piedi dei cadaveri. Inutile che ti parli dei nostri soldi, miliardi di euro usati per ricapitalizzare le banche, dopo che si sono mangiati i capitali.
Ti posso solo dire che così non va.
Un governo dovrebbe servire i propri cittadini, quello che invece sta succedendo è che si sta comportando da tiranno. Abbiamo perso il controllo del nostro governo ed è necessario farlo rientrare nei ranghi. Il governo che abbiamo è mastodontico, pesante, va snellito, lo stipendio dei parlamentari va parificato a quello di qualsiasi dipendente statale, il numero dei parlamentari va ridotto, gli enti inutili vanno eliminati, i consulenti inutili vanno eliminati. Il governo è nostro servo, ma si sta comportando da padrone, ed è un’aberrazione della politica.
Prima di tutto però dobbiamo aumentare la nostra capacità di comprendere, dobbiamo porre rimedio alla nostra ignoranza, dobbiamo imparare a discriminare il vero dal falso, perché se non lo facciamo, i politici che abbiamo, la situazione economica in cui ci troviamo, le tasse che abbiamo, sono esattamente ciò che ci meritiamo.