“I bambini italiani che assumono psicofarmaci quotidianamente vanno dai 30.000 ai 60.000”, cosi scrive l’On. Patrizia Paoletti Tangheroni nell’interrogazione parlamentare presentata la scorsa settimana, a distanza di pochi giorni dall’interrogazione del Senatore Maurizio Eufemi, sempre sullo stesso argomento.
La preoccupazione e giustificata ancor più dal fatto che i presupposti stessi della “malattia” vengono messi continuamente in discussione: Leiber dell’FDA afferma che “Non è ancora stato delineato alcun aspetto fisiopatologico del disturbo “; il Dr. Fred Baughman, nel suo libro “The Future of ADD”, scrive: “Sia la FDA che la DEA hanno riconosciuto che l’ADHD non è una malattia, né organica né biologica”.
Ma se non esiste uno squilibrio biochimico, perché lo si cerca di curare con sostanze chimiche? I principi attivi maggiormente utilizzati sono due: il Metilfenidato, meglio conosciuto col nome di Ritalin, e l’Atomoxetina.
Il trattamento può iniziare presto, perché già a 8 anni molti bambini ricevono la prima pastiglia. E’ difficile pensare che a quell’età un bambino possa rendersi conto delle conseguenze a cui va incontro, con sostanze che in molti casi portano alla dipendenza. Il Prozac ad esempio, la cui soglia di somministrazione e stata portata da 18 a 8 anni solo di recente, può causare quasi mille differenti effetti collaterali; inoltre sono noti casi di suicidio; stesso discorso per il Ritalin, metanfetamina, reintrodotta in Italia da poco.
Una volta i professionisti erano gli insegnanti; oggigiorno abbiamo l’equipe psico-pedagogica che munita di altisonanti “Progetti psicologici”, basati sul controllo del comportamento, è entrata nella scuola, somministra test, questionari di improbabile validità scientifica, ne valuta i risultati ed infine etichetta il bambino, visto che qualsiasi difficoltà può rientrare tranquillamente in qualche “disturbo psichiatrico” come ADHD o la discalculia, la disortografia, ecc.; i genitori non vengono mai completamente informati su cosa si farà esattamente con questi progetti, che spesso sono i più variegati e i questionari psicologici invasivi che sollecitano dati sul bambino e sulla famiglia, sono spesso compilati senza il consenso dei genitori, per non parlare di come si utilizzeranno le informazioni raccolte, come verranno valutate e dove andranno a finire. Spesso le etichette rimangono nella storia dell’alunno che se le porta avanti anche negli anni successivi e i genitori restano inconsapevoli che il loro figlio sia stato schedato.
Molti bambini vengono poi indirizzati in centri di neuropsichiatria infantile che sono il punto d’ingresso verso trattamenti farmacologici, anziché interventi didattici e sociali. Ce ne sono 40 attivi sul territorio nazionale e sono 112 quelli accreditati. E’ stato istituito anche un registro nazionale, per monitorare la somministrazione degli psicofarmaci sul campo. (Pare che il monitoraggio non venga fatto)
Su questo tema e pertanto fondamentale il consenso informato e un’inequivocabile chiarezza e trasparenza nell’informazione al cittadino, in merito a queste iniziative svolte sui bambini e ad ogni possibile effetto dei farmaci utilizzati che per altro hanno effetti collaterali molto gravi. Senza la coercizione di “velate” minacce nel caso si rifiutino di somministrare psicofarmaci ai propri figli o sottopongano i figli a trattamenti psicologici.
Lo screening dei bambini per “localizzare” malattie mentali non è qualcosa di nuovo. Tale strumento trova riscontro nella prassi della Germania nazista per ripulire la società dagli “elementi inferiori”. Nel 1930 Ernst Rudin, fondatore della “genetica psichiatrica” è tra gli ideatori dell’Olocausto, durante un discorso al Congresso Internazionale sull’Igiene Mentale che si tenne a Washington D.C., propose un approccio eugenetico unitario per estirpare coloro che sono portatori noti di “malattie ereditarie”. In cima all’elenco dei “difetti” che gli eugenisti americani avrebbero stilato in seguito, c’era il “disturbo da deficit dell’attenzione”. Come diretta conseguenza del movimento di eugenetica psicologica, le scuole americane effettuarono per prassi lo screening dei bambini, e quelli che venivano ricoverati, “idiota, imbecille, e deficiente erano tutti termini medici”, venivano usati per definire vari livelli di ritardo o incapacità mentale”. A tutt’oggi a ben 17 milioni di bambini nel mondo sono stati diagnosticati “disturbi mentali”.
Il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani raccomanda di informarsi attentamente, di non accettare facili diagnosi psichiatriche sia per sé stessi che per i propri figli, ma di richiedere accurate analisi mediche.
Se ritieni di aver subito danni a causa di diagnosi o trattamenti psichiatrici puoi metterti in contatto con il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani Onlus Tel.: 02 36510685 Email: linea.stampa@ccdu.org Sito: www.ccdu.org
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