Certo, c’è un grosso impegno da parte dei governi e del mondo economico per rendere le persone confuse e farle andare in giro con gli occhi sbarrati. Questi indirizzi e percorsi rendono pigre le persone nel valutare personalmente per poi prendere una decisione in base a quanto valutato.
Fra gli innumerevoli percorsi, il percorso che il cliente del supermercato segue è anch’esso programmato, già stabilito secondo i risultati di rigorose e costose ricerche di mercato.
Si parte, subito dopo l’entrata, dal reparto frutta e verdura proseguendo attraverso i vari reparti allestiti secondo “l’indice di acquisto” (l’acqua è sempre in fondo ai locali, così devi attraversare tutti i reparti per andarla a prendere) fino alla cassa, e anche lì, mentre sei in attesa del tuo turno per pagare, ai lati della fila ci sono un sacco di prodottini che costano due o tre euro, in comode confezioni blisterate, che non si può fare a meno di osservare spaziando con una mente deconcentrata come quelle del terzo millennio, e “Toh, quei gancini per appendere i quadri potrebbero essere utili se decidessi di acquistarne uno!” E ti vendono anche lì, dopo averne creato la presunta necessità.
Oggi c’è una novità che riguarda il reparto dei formaggi, o meglio alcune confezioni che spero ormai rimosse, fra le tante di formaggi a fette quadrate della stessa comoda dimensione del pane per i tost, così non si devono nemmeno tagliarle, e dei formaggi spalmabili, altrettanto comodi, basta metterne un po’ sulla punta del coltello e rimettere comodamente in frigo la confezione, come da istruzioni dettagliate per evitarne il deterioramento e conservarne “qualità e gusto”.
Per informarti su cosa molte persone conservano nel loro frigo per impedire che possa deteriorarsi, l’articolo che segue può darti un quadro esauriente. Ma ricorda, scaricare la totalità della responsabilità sulle persone che commettono infrazioni, significa non rendere completamente giustizia. Il dito va puntato anche contro le multinazionali e i loro lobbisti, i funzionari e i politici conniventi che si lavano le mani lasciando fare il lavoro sporco a terzi, per poi emettere comunicati in cui dichiarano che erano completamente all’oscuro dell’intera faccenda.
di Paolo Berizzi Un imprenditore siciliano “riciclava” scarti di produzione
Tornavano sugli scaffali sotto forma di altri prodotti caseari
CREMONA – Nel formaggio avariato e putrefatto c’era di tutto. Vermi, escrementi di topi, residui di plastica tritata, pezzi di ferro. Muffe, inchiostro. Era merce che doveva essere smaltita, destinata ad uso zootecnico. E invece i banditi della tavola la riciclavano. La lavoravano come prodotto “buono”, di prima qualità.
Quegli scarti, nella filiera della contraffazione, (ri) diventavano fette per toast, formaggio fuso, formaggio grattugiato, mozzarelle, provola, stracchino, gorgonzola. Materia “genuina” – nelle celle frigorifere c’erano fettine datate 1980! – ripulita, mischiata e pronta per le nostre tavole. Venduta in Italia e in Europa. In alcuni casi, rivenduta a quelle stesse aziende – multinazionali, marchi importanti, grosse centrali del latte – che anziché smaltire regolarmente i prodotti ormai immangiabili li piazzavano, – senza spendere un centesimo ma guadagnandoci – a quattro imprese con sede a Cremona, Novara, Biella e Woringen (Germania).
Tutte riconducibili a un imprenditore siciliano. Era lui il punto di riferimento di marchi come: Galbani, Granarolo, Cademartori, Brescialat, Medeghini, Igor, Centrale del Latte di Firenze. E ancora: Frescolat, Euroformaggi, Mauri, Prealpi, e altre multinazionali europee, in particolare austriache, tedesche e inglesi. E’ quello che si legge nell’ordinanza del pm cremonese Francesco Messina. Un giro da decine di milioni di euro. Una bomba ecologica per la salute dei consumatori.
Le indagini – ancora aperte – iniziano due anni fa. A novembre del 2006 gli uomini della Guardia di Finanza di Cremona fermano un tir a Castelleone: dal cassone esce un odore nauseabondo. C’è del formaggio semilavorato, in evidente stato di putrefazione. Il carico è partito dalla Tradel di Casalbuttano ed è diretto alla Megal di Vicolungo (Novara). Le due aziende sono di Domenico Russo, 46 anni, originario di Partinico e residente a Oleggio. E’ lui l’uomo chiave attorno al quale ruota l’inchiesta. E’ lui il dominus di una triangolazione che comprende, oltre a Tradel e Megal, un terzo stabilimento con sede a Massazza, Biella, e una filiale tedesca. Tradel raccoglie, sconfeziona e inizia la lavorazione. Megal miscela e confeziona. A Casalbuttano i finanzieri trovano roba che a vederla fa venire i conati. Prodotti caseari coperti da muffe, scaduti, decomposti e, peggio ancora, con tracce di escrementi di roditori. Ci sono residui – visibili a occhio nudo – degli involucri degli imballi macinati. Dunque plastica. Persino schegge di ferro fuoriuscite dai macchinari. La vera specialità della azienda è il “recupero” di mozzarelle ritirate dal mercato e stoccate per settimane sulle ribalte delle ditte fornitrici, di croste di gorgonzola, di sottilette composte con burro adulterato, di formaggi provenienti da black out elettrici di un anno prima. “Una cosa disgustosa – racconta Mauro Santonastaso, comandante delle fiamme gialle di Cremona -. Ancor più disgustoso – aggiunge il capitano Agostino Brigante – , è il sistema commerciale che abbiamo scoperto”.
Non possono ancora immaginare, gli investigatori, che quello stabilimento dove si miscela prodotto avariato con altro prodotto pronto è lo snodo di una vera e propria filiera europea del riciclaggio. Mettono sotto controllo i telefoni. Scoprono che i pirati della contraffazione sono “coperti” dal servizio di prevenzione veterinaria dell’Asl di Cremona (omessa vigilanza, ispezioni preannunciate; denunciati e sospesi il direttore, Riccardo Crotti, e due tecnici).
Dalle intercettazioni emerge la totale assenza di scrupoli da parte degli indagati: “La merce che stiamo lavorando, come tu sai, è totalmente scaduta… “, dice Luciano Bosio, il responsabile dello stabilimento della Tradel, al suo capo (Domenico Russo). Che gli risponde: “Saranno cazzi suoi… ” (delle aziende fornitrici, in questo caso Brescialat e Centrale del Latte di Firenze, ndr). Il formaggio comprato e messo in lavorazione è definito – senza mezzi termini – “merda”. Ma non importa, “… perché se la merce ha dei difetti. .. io poi aggiusto, pulisco, metto a posto… questo rimane un discorso fra me e te… ” (Russo a un imprenditore campano, si tratta la vendita di sottilette “scadute un anno e mezzo prima”). Nell’ordinanza (decine le persone indagate e denunciate: rappresentanti legali, responsabili degli stabilimenti, impiegati, altre se ne aggiungeranno presto) compaiono i nomi delle aziende per le quali il pm Francesco Messina configura “precise responsabilità”.
Perché, “a vario titolo e al fine di trarre un ingiusto profitto patrimoniale, hanno concorso nella adulterazione e nella contraffazione di sostanze alimentari lattiero-casearie rendendole pericolose per la salute pubblica”. Il marchio maggiormente coinvolto – spiegano gli investigatori – è Galbani, controllato dal gruppo Lactalis Italia che controlla anche Big srl. “Sono loro i principali fornitori della Tradel. Anche clienti”, si legge nell’ordinanza. Per i magistrati il sistema di riciclaggio della merce si basa proprio sui legami commerciali tra le aziende fornitrici e la Tradel. Con consistenti vantaggi reciproci. Un business enorme: 11 mila tonnellate di merce lavorata in due anni. Finita sugli scaffali dei discount e dei negozi di tutta Europa. Tremila le tonnellate vendute in nero. E gli operai e gli impiegati? Erano consapevoli. Lo hanno messo a verbale. Domanda a un’amministrativa: “Ha mai riferito a qualcuno che la merce era scaduta o con i vermi?”. Risposta: “No, tutti lo sapevano”.
(4 luglio 2008)
Fonte: http://www.repubblica.it – Luglio 2008
Una mia ultima perplessità riguarda questo paragrafo (evidenza aggiunta):
CREMONA – Nel formaggio avariato e putrefatto c’era di tutto. Vermi, escrementi di topi, residui di plastica tritata, pezzi di ferro. Muffe, inchiostro. Era merce che doveva essere smaltita, destinata ad uso zootecnico. E invece i banditi della tavola la riciclavano. La lavoravano come prodotto “buono”, di prima qualità. “
Si presuppone che, dato che era “destinata ad uso zootecnico”, fosse perfettamente legale, e quindi non si può fare a meno di notare l’assoluta indifferenza dei legislatori e dei committenti delle normative nei confronti degli animali. Non è nemmeno difficile dedurre l’animo sordido di tali personaggi e il loro non tener conto, intenzionale o dettato da ignoranza, che gli animali “nutriti” in tal modo non possano essere in buona salute.
E non posso certo augurare, anche senza considerare gli aspetti etici, a chi si “nutrisse” delle loro carni e prodotti derivati, “Buon appetito!”
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