Il titolo me l’ha suggerito, involontariamente, un giornalista durante un’intervista fattagli in un programma televisivo anni fa.
Disse una frase che mi fece spontaneamente ridere, e ci misi qualche secondo a capire perché.
Non mi ricordo la domanda, ma la risposta l’ho messa nella mia raccolta di frasi curiose.
Il giornalista rispose: “E’ impossibile fare ragionamenti profondi con la gente, perché purtroppo la gente parla per generalizzazioni.”
Ne aveva usata una lui, ben due volte in una breve frase!
Mi sforzavo di rendere coerente la sua affermazione nel ruolo di persona competente in materia che si era assunto e la mia mente ebbe uno scossone improvviso, come quando una macchina a velocità sostenuta oltrepassa un dosso artificiale. Scoppiai a ridere come se un medico con la sigaretta accesa fra le dita mi avesse detto di non fumare perché fa male.
Probabilmente anche tu usi o hai usato generalizzazioni, è una situazione molto diffusa in questa società, non devi sentirti come se mi rivolgessi direttamente a te.
In passato, dopo una delusione di un tipo o di un altro, i miei pensieri iniziavano o contenevano termini come “la gente”, “le donne”, “il pecorume”, “i politici” (questa la uso ancora adesso, difficile liberarsene…), e molte altre generalizzazioni. Tutte idee preconcette apprese dal mondo esterno, in famiglia, a scuola, da amici, ecc.
Succede di avere un’esperienza negativa con una donna, subendo un tradimento per esempio, e anziché riconoscere la mutua responsabilità e le proprie carenze e incapacità, parte un meccanismo della mente inconscia che ci porta a darci ragione dicendo a noi stessi che tutto è successo perché quella “donna era una puttana”.
Se quell’uomo non risolve i suoi conflitti interiori quasi sicuramente in una nuova relazione si ritroverà in una situazione che si concluderà in modo simile alla precedente e quindi il pregiudizio non sarà limitato alla singola persona ma diventerà “le donne sono tutte puttane”. Ti sarà capitato di sentire qualcuno dire questa espressione.
A quel punto qualsiasi relazione che si possa intraprendere sarà viziata da quel pregiudizio e nessun rapporto di fiducia potrà essere instaurato, con prevedibili conseguenze.
Il ripetersi di quel tipo di esperienza con infelice conclusione della relazione rafforza la credenza che la causa del fallimento sia il fatto che “tutte le donne sono puttane”.
In realtà questo avviene per diverse ragioni insiste nell’individuo stesso, ovvero per conflitti interiori irrisolti, egoismo, incapacità di amare, senso di possesso e altro. Ma l’inconscio trova sempre il modo di difendere il nostro ego offrendoci formule che ci danno sempre ragione.
Lo stesso vale per la controparte femminile, ho sentito dire frasi come: “Gli uomini sono tutti uguali…” “Vogliono una cosa sola” e altre varianti assai colorite. E quando ho cercato di spiegare la questione delle generalizzazioni, mi è capitato di sentirmi dire: “Hai ragione, gli uomini sono dei gran bastardi!” Non ho potuto trattenere la risata.
Le generalizzazioni stereotipate non corrispondono alla realtà. Nessun essere umano è uguale a un altro e nessuna quindi gli s’addice.
Se una sera non hai molto da fare metti in google “perché le donne” “perché gli uomini”, “perché la gente” e oltre a farti una cultura sulle generalizzazioni e false convinzioni, il divertimento è assicurato, anche se in verità ci sarebbe poco da divertirsi, i risultati mostrano quanto c’è da fare per chi volesse dare un contributo per l’aumento di consapevolezza di questo pianeta.
Questo è il primo risultato (nel mio browser) inserendo in google “perché gli uomini”:
Perché gli uomini scappano da quelle che vogliono un fidanzato?
Come riuscite a percepire al volo, senza che vi siano forniti particolari indizi, se avete di fronte una donna che sogna una relazione? Insomma, una in ansia da fidanzato?
Qualcosa che a noi donne sfugge in questo senso ci deve essere, non ho dubbi. E quindi, cari uomini, vi chiedo ancora una volta di darci una mano per capire come fate. Davvero, come ci riuscite?
Ho evidenziato le generalizzazioni. No comment, quasi vomito.
Questo tipo di generalizzazioni oscura il pensiero al pari delle credenze.
Non sempre l’uso di generalizzazioni denota un modo di pensare difettoso. Anzi spesso dobbiamo usarle per poter interagire con le altre persone, per esempio riferendoci a degli oggetti.
Se ti chiedo di prestarmi il furgone perché devo comprare quattro sedie, sto usando delle generalizzazioni, utili in questo caso per non annoiarti con particolari ai quali potresti non essere interessato.
I particolari potranno interessare al venditore al fine di comprendere che tipo di sedia vorrei, con il sedile imbottito, impagliate, di metallo, ecc.
E altri particolari in più dovrei fornirli a un antiquario se volessi comprare delle sedie antiche, di che periodo, di che anno, stile liberty o altro, ecc.
Ma a te a cui chiedo il furgone e ne hai solo uno (anche se uso la generalizzazione furgone è implicito che sto parlando del tuo furgone), “quattro sedie” ti basterà per prendere una decisione se prestarmi il furgone o meno, conoscendone la capienza, al di là di altre implicazioni, se ce ne fossero.
Usando le generalizzazioni riferendoci alle persone, le cose si complicano, anche se in molti casi non è così.
Se vediamo qualcuno vestito da vigile, diamo per scontato che sia un vigile. (Anche se potrebbe non esserlo, ma abbiamo molte probabilità di essere nel giusto)
La generalizzazione riferita a una persona diventa un impedimento alla comprensione quando anche suppone che una persona abbia certe caratteristiche e sia correlata a fatti basati su ipotesi infondate. (il vigile fa le multe, non sempre un vigile è lì per darti la multa).
Stiamo usando una generalizzazione che ottunde il nostro intelletto quando ci riferiamo alle relativamente poche persone che conosciamo e a quelle che nemmeno conosciamo ma le abbiamo viste anche solo una volta, nella realtà o in TV, vi abbiamo interagito in un social network, o di cui ne abbiamo solo sentito parlare.
Quando aggiungiamo personali credenze al significato nudo e crudo di un termine come, per esempio, uomo — persona di sesso maschile — o donna — persona di sesso femminile — o gente — insieme di persone indistinte in numero imprecisato, abbiamo creato un pregiudizio che ci impedisce di osservare la persona che abbiamo di fronte, e di percepire ciò che è veramente.
Nel corso della vita, ogni volta che si incontra una persona che sembra adattarsi a una generalizzazione di un tipo o di un altro, ci si convince sempre più che l’idea che ci siamo fatti corrisponda alla realtà.
Ma nessuna persona è uguale a quella incontrata. E dopo qualche anno, ma potrebbe essere anche dopo qualche mese o giorni dopo, e perfino ore, anche la persona incontrata potrebbe essere diversa.
Quasi sempre l’uso delle generalizzazioni non appartiene alla mente conscia, ma è un’azione di stimolo e risposta automatica da parte dell’inconscio, dove sono situate le credenze.
Un uomo che non si è liberato di quel genere di credenze si trova davanti a qualsiasi donna e l’inconscio lo collega al file “donne” e assume inconsapevolmente l’atteggiamento e il comportamento come da programma, aggiornato automaticamente man mano che raccoglie nuovi dati dall’esterno nel corso della vita.
Vale anche per una donna nella stessa condizione di cui sopra quando si trova di fronte a un uomo, il braccio del suo hard disk andrà a prendere il file “uomini”.
E ci possono essere molti file con i contenuti di diverse generalizzazioni con definizioni stereotipate. “bambini”, “mamme”, “suocere”, “mogli”, “mariti”, “amanti”, “anziani” “pensionati”, “ricchi”, “poveri”, “dottori”, “cani” , “gatti” e vari allegati come “gattini”, “maritini”, “mogliettine”, “mammine”, ecc.
L’uso della generalizzazione “gente” è ancora più deleterio in quanto è una dichiarazione di rifiuto di essere parte del resto dell’Umanità, una maggiore chiusura in se stessi che ha le caratteristiche di una prigionia volontaria.
Chi pensa, parla e si comporta in base a delle generalizzazioni stereotipate non lo fa osservando la persona che ha di fronte nel presente e senza pregiudizi, ma attraverso i filtri delle sue credenze che lo costringono a guardare da un punto di vista nel passato, non pertinente alla situazione che si sta svolgendo nel presente.
“La prima impressione è quella che conta” vale per chi non osserva la persona, negli atteggiamenti e nelle azioni, nel momento presente. È lo stesso meccanismo in azione.
Lavorare su di sé al fine di aumentare la propria consapevolezza ed espandere la coscienza è necessario per chi vuole uscire da un sistema che rende schiavi.
Osservarsi e notare quando si usano queste generalizzazioni stereotipate è già parte del lavoro nella direzione di una maggiore consapevolezza.
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