E’ un caso che dei ragazzi, altrimenti ritenuti normali e non violenti, che all’improvviso prendono in mano pistole e fucili, e poi si mettono a sparare all’impazzata sui loro compagni, prendessero psicofarmaci di un tipo o di un altro?
Se così fosse, sarebbe anche un caso che i fumatori hanno più probabilità di ammalarsi di cancro ai polmoni dei non fumatori.
E in effetti il ragionevole dubbio che gli psicofarmaci inducano all’omicidio e al suicidio potrebbe diventare certezza se delle ricerche in tal senso venissero fatte senza l’ostruzionismo delle case farmaceutiche per ovvi motivi, interessi economici che raggiungono cifre astronomiche, e quando dico astronomiche non sto esagerando.
Oltre a questo c’è l’omertà dei media che molto raramente riportano che gli autori delle stragi nelle scuole o delle cosiddette stragi famigliari, nella quasi totalità dei casi, erano psichiatrizzati e dediti al consumo di psicofarmaci, e quando fanno dei timidi accenni, lo fanno in maniera quasi inavvertibile, proprio di sfuggita.
La ragione per cui i media non riportano che molto spesso gli individui che vengono colti da raptus omicidi o suicidi erano dediti al consumo di psicofarmaci è che le case farmaceutiche costituiscono una grossa fetta dei loro inserzionisti, che nell’arco dell’anno pagano milioni di euro per la pubblicità delle loro pastiglie per il mal di testa, antiacidi e lassativi, e, in un mondo in cui l’etica ha un valore minore del denaro, nessuno, fra coloro che hanno perso la propria integrità personale, sputa nel piatto dove mangia.
A causa di questo la comunità rimane all’oscuro di particolari importanti e nessuno si pone la domanda: ” Ma non saranno questi psicofarmaci la causa di quei raptus omicidi?” e ovviamente non chiede a gran voce che venga fatta luce a riguardo.
Nel caso della strage del Virginia Tech, lo sparatore prendeva antidepressivi. Guarda caso, quando avvengono gravi atti di violenza nelle scuole, quasi sempre gli psicofarmaci fanno parte della scena del crimine.
Che gli antidepressivi hanno gravi effetti collaterali è ben noto alle autorità, tant’è vero che negli Stati Uniti è obbligatorio porre una etichetta sulle confezioni di tutti gli anti depressivi che informa che “stati d’ansia, agitazione, attacchi di panico, insonnia, irritabilità, ostilità, aggressività, impulsività, acatisia (impossibilità di stare fermi), ipomania, mania sono stati riscontrati in pazienti adulti e pediatrici trattati con antidepressivi per forti disturbi depressivi o altri disturbi sia psichiatrici che non psichiatrici”. Viene da chiedersi perché non vengono poste chiare indicazioni sulle confezioni vendute in Italia. A questo proposito leggi il mio articolo del novembre 2004: Etichette per i farmaci
Il collegamento fra gli antidepressivi e la violenza è noto da anni ai produttori, a chi si occupa del loro marketing e a chi li prescrive.
Alla luce di questo ultimo grave fatto che ha portato alla morte 32 persone innocenti, tutte le stragi avvenute apparentemente inspiegabili dovrebbero essere riesaminate al fine di vedere se c’è un collegamento fra tali delitti e il consumo di psicofarmaci, di modo che possano essere presi adeguati provvedimenti. E se lo si vuole cercare veramente, sono sicuro che si troverà il collegamento.
Non è la prima volta che faccio questa proposta, come puoi vedere da questi miei due articoli:
Le Stragi Famigliari – Controllo Sociale
Negli Stati Uniti ora, dopo questo ultimo episodio, si sta facendo pressione per un maggiore controllo sulla distribuzione delle armi. Come al solito, quando i problemi rimangono irrisolti, è perché si cerca la loro causa nella direzione sbagliata. Sebbene il controllo delle armi sia comunque auspicabile, il controllo va fatto sulla prescrizione degli psicofarmaci. Al contrario viene invece approvata con nuove leggi o decreti la distribuzione e la prescrizione di psicofarmaci a milioni di bambini, nessuna meraviglia che fra essi possano formarsi i futuri responsabili di altre stragi nelle scuole.
Dare gli psicofarmaci ai giovani è come costruire delle bombe a orologeria che scoppieranno all’improvviso. Riempire di farmaci questi giovani turbati dal fatto di trovarsi in una società moralmente decaduta, è il modo in cui la psichiatria si guadagna il pane (e non solo), un’industria che ha venduto l’anima (di cui fra l’altro non ne riconosce l’esistenza) alle case farmaceutiche e che funge da sistema di distribuzione di droghe legalizzate a facili prede come adolescenti e bambini.
Questo non significa che Cho Seung Hui non sia responsabile, ma il medico o lo psichiatra che gli ha prescritto gli antidepressivi ha giocato un ruolo nel destabilizzare la mente di un adolescente che era sull’orlo della pazzia.
Per quanto sia considerata una “tragedia tipicamente americana”, non si dovrebbe pensare che la cosa non ci riguardi, anche se la tendenza è quella di ritenere che ciò che ci riguarda è solo quanto avviene nel nostro paese.
Quando qualche anno fa scrissi i primi articoli sull’ADHD e il ritalin, allora era solo una “faccenda americana” e quando dicevo a qualcuno che in America drogano i bambini con uno psicofarmaco della stessa classe della cocaina, quasi sempre mi rispondeva che cose del genere in Italia non possono avvenire. Come dimostrazione del contrario il 9 marzo 2007 è stata autorizzata anche in Italia dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) la vendita del Ritalin e dello Strattera, psicofarmaci da dare ai bambini e anche il Prozac potrà essere prescritto ai bambini di otto anni. Il tutto con il beneplacito del ministro della sanità.
Leggi questo articolo di sei anni fa: Ritalin
In che modo uno psicofarmaco può fare di un adolescente, un adulto, o anche un bambino, un killer?
La depressione e qualsiasi altra condizione indesiderata che possa affliggere un individuo hanno origine da turbamenti dell’anima. Se un essere spirituale non sta raggiungendo gli scopi desiderati, se le cose non stanno andando come vorrebbe, è inevitabile che si senta depresso e infelice. L’unico vero modo di venirne fuori è quello di risolvere i problemi che gli impediscono di raggiungere i suoi scopi, ammesso che tali scopi siano veramente degni di essere raggiunti. Un’altra causa di infelicità, e di tutte le sue armoniche, è la mancanza di tali scopi.
Se chiedi a una persona depressa, infelice o insoddisfatta qual è il suo scopo nella vita, spesso ti sembrerà che stia cercando una risposta in un vuoto nebuloso, mentre continua a ripetere mentalmente a se stessa: “Qual è il mio scopo?”, e quando ritornerà a guardarti per darti la risposta, ti dirà che non lo sa.
Quando gli scopi non sono raggiungibili a causa di ostacoli che non si stanno superando, o perché non si conoscono o si sono dimenticati i propri scopi, la persona sana soffre.
Se va da uno psichiatra gli darà degli psicofarmaci e allora diventerà un paziente.
Una persona normale quando si trova nelle condizioni di cui sopra, è altrettanto normale che soffra, perché la sua sofferenza ha origine da una vita che non è come vorrebbe che fosse. Ci sono due modi per smettere di soffrire, uno, corretto, consiste nel fare i cambiamenti necessari per fare andare le cose come si desidera, l’altro, sbagliato, consiste invece nel delegare tutto agli psicofarmaci.
Un anestetico non ti fa sentire il dolore anche se la causa di quel dolore non è stata rimossa. Se calpestandolo si è infilzato un chiodo nella pianta del piede, non ha molto senso lasciarlo lì dove si trova e prendere anestetici per non avvertire il dolore. Fa molto più senso rimuovere il chiodo, la causa del dolore. Dopo un po’ il dolore cesserà, prima ancora che la ferita sia guarita completamente.
Gli psicofarmaci agiscono da anestetici per il dolore emozionale causato dalle ferite presenti nella nostra coscienza. Di fatto annichilano la coscienza e chi si imbottisce di farmaci “sta bene” non è più turbato dalle sue sofferenze.
Ma le cause del turbamento sono sempre lì, non vengono rimosse.
La nostra coscienza è il guardiano del nostro comportamento. In essa risiede la nostra capacità di essere responsabili nei confronti di noi stessi e gli altri.
Questi pensieri inconfessabili possono comparire soprattutto in condizioni di forte stress e contrasti. Può succedere che durante un animato litigio compaiano pensieri come “Ti spacco la faccia” o addirittura: “Ti ammazzo”, ma la nostra coscienza e senso di responsabilità ci trattiene dal passare dal pensiero all’azione, al massimo permette di dare voce a tali pensieri.
Avrai sentito qualche volta due litiganti minacciarsi con tali frasi, ma poi non le hanno portate a compimento, la loro coscienza li ha fermati.
Assumendo psicofarmaci la coscienza viene praticamente gradualmente annullata e l’individuo diventa succube di quei pensieri che continuano a tormentarlo e lo spingono a tramutarli in azione.
Se questo avverrà o meno dipende dalla percentuale, se posso esprimermi in questi termini per non diventare complicato, di coscienza non ancora completamente sotto l’effetto anestetico degli psicofarmaci.
Le persone fortemente irresponsabili che commettono azioni assai deprecabili vengono etichettate come “senza coscienza” e questo luogo comune di fatto possiamo considerarlo una verità. Tali persone in realtà non hanno mai smesso di avere una coscienza, solo che è completamente addormentata.
Sono stati fatti degli studi che dimostrano i collegamenti fra l’assunzione di antidepressivi e la tendenza al suicidio e all’omicidio, ma le case farmaceutiche, appoggiate da coloro che hanno interessi comuni, negano o sminuiscono o dicono che è la malattia che spinge a commettere le azioni sconsiderate e non i loro farmaci.
Su PLos journal, un giornale di libero accesso, sono pubblicati dei casi medico legali che mostrano chiaramente il collegamento fra antidepressivi e la compulsione all’omicidio e suicidio. Quello che segue è uno di questi casi:
Secondo un rapporto legale indipendente compilato un anno dopo gli eventi in cui C.P. è stato messo sotto processo nel novembre 2001, C.P. era un bambino di 12 anni, con una famiglia con molti problemi. Malgrado le difficoltà della sua situazione sociale, non ha mai avuto la necessità di trattamenti per disturbi nervosi o per comportamenti violenti.
A seguito di una discussione con suo padre alla fine dell’ottobre 2001, è stato assegnato ad un centro di rieducazione comportamentale per sei giorni dove è stato sottoposto a trattamenti con paroxetine.
Leggi qui le avvertenze sulla paroxetine di cui ne ho tradotto un piccolo estratto:
Un piccolo numero di bambini, adolescenti e giovani adulti (fino a 24 anni di età) che hanno preso antidepressivi (“elevatori dell’umore”) come la paroxetina durante gli studi clinici ebbero tendenze al suicidio (pensare di danneggiare o uccidere se stessi, o di pianificarlo o cercando di farlo). Bambini, adolescenti e giovani adulti che prendono antidepressivi per curare la depressione o altre malattie mentali hanno più probabilità di avere tendenze al suicidio di bambini, adolescenti e giovani adulti che non prendono antidepressivi per il trattamento di queste condizioni. Tuttavia, gli esperti non sono sicuri di quanto questo rischio sia grande e quanto dovrebbe essere considerato nel decidere se un bambino o un adolescente dovrebbe prendere un antidepressivo. I bambini di età inferiore ai 18 anni non dovrebbero prendere la paroxetina, ma in alcuni casi, un medico può decidere che la paroxetina è il miglior farmaco per il trattamento di una condizione di salute di un bambino.
In pratica avvertono sulla possibilità di suicidio, ma invitano comunque ad usarlo!
Ritornano a quel bambino di 12 anni, il suo comportamento peggiorava di giorno in giorno mentre assumeva la paroxetine. È stato rilasciato contro parere medico alla custodia dei nonni, che, quando le pastiglie di paroxetine finirono, lo portarono dal loro medico curante che gli prescrisse il sertraline da 50mg, aumentato a 100 mg due giorni prima degli assassini di cui C.P. è stato accusato. Il sertraline fu somministrato per tre settimane. Dopo la prescrizione del sertraline, C.P. è stato coinvolto per la prima volta in un certo numero di episodi aggressivi a scuola, e fu segnalato dai membri della famiglia e da membri della chiesa che era agitato ed era insolitamente loquace a sproposito. I parenti notarono una serie di comportamenti avventati.
Il giorno degli omicidi, i nonni gli dissero che non poteva prendere lo scuolabus a causa di un episodio di aggressione sul bus nei confronti di uno degli altri bambini. Più tardi quella sera partecipò alle pratiche del coro con i nonni, che per le difficoltà crescenti lo avevano avvertito che avrebbe potuto essere ricondotto dal padre.
Nel rapporto legale indipendente sul caso è annotato che C.P. disse quella notte: “Qualcosa mi diceva di sparare a loro”. Inizialmente le aveva riportate come allucinazioni e poi riferì che pensava che fossero suoi pensieri. Quando gli fu chiesto specificamente di descrivere esattamente quell’esperienza disse che erano “come echi nella mia testa che dicevano “Ammazzali”, “Ammazzali”, come qualcuno che gridasse in una caverna”.
Secondo il rapporto legale, riportò che questo iniziò dopo essere andato a letto e che prima di allora non aveva mai considerato la possibilità di nuocere ai suoi nonni e che era qualcosa che non aveva mai sperimentato prima. Riportò che le voci dentro la sua testa lo hanno tormentato così tanto che si è alzato dal letto. Le voci continuarono fino a che non uccise i suoi nonni. Non riusciva a controllarsi e gli echi si arrestarono dopo che sparò ai suoi nonni. Diede fuoco alla casa ma non riusci a spiegare il perché di queste azioni, semplicemente i pensieri apparivano all’improvviso.
Poi prese una macchina e cominciò a guidare, ma non aveva idea di dove stesse andando e tutto gli sembrava come un sogno. Si ricordò di aver chiesto alla polizia riguardo ai suoi nonni, quando fu catturato, perché non era sicuro se fosse realmente accaduto. Questi eventi, il comportamento generale e la storia di C.P. hanno indotto uno psichiatra pediatrico forense indipendente a diagnosticare mania e comportamento psicotico indotti da sostanze.
Nel febbraio 2005, dopo un processo che durò due settimane, una giuria dichiarò C.P. colpevole dell’omicidio dei nonni ed è stato condannato a 30 anni di prigione.
Nonostante l’evidenza del collegamento fra gli impulsi omicidi e suicidi con gli antidepressivi, C.P., un bambino di 12 anni è stato sacrificato da un sistema giudiziario che parteggia per un sistema medico che è culo e camicia con le case farmaceutiche.
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