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Sui Denti

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di Lorenzo Acerra

Ultimo aggiornamento: 6 giugno 2005

 

Ci sono delle vere e proprie carriere per diventare malato

e, in queste trame che si ripetono sempre,

lo stato di salute dell’osso adiacente ai denti gioca un ruolo fondamentale;

esaminiamo il ruolo che hanno le estrazioni di denti fatte male, i denti devitalizzati, l’amalgama, l’alimentazione

CAPITOLO 1:

Le tossicità sugli enzimi (l’amalgama)

Le memorie sbagliate

Le degenerazioni

..e mettiamo l’intolleranza alimentare in tutto questo contesto

I campi di disturbo si sommano

Il momento critico dell’estrazione del dente marcio

I bambini e le trame delle malattie che si ripetono sempre

I meccanismi di tossicità delle vaccinazioni

CAPITOLO 2:

L’invisibilità del fenomeno da “dente morente” è la norma

Il problema dei denti devitalizzati

Il lavoro di Stortebecker: tossicità nel sistema venoso craniale

Il lavoro di Price

La stanchezza cronica

Cisti, tumori, fibromi

Bibliografia

CAPITOLO 3:

L’osso necrotico

Il dentista bio e i nosodi

L’anamnesi e la somma delle dighe di castori a monte

La determinazione ce la mette il paziente

La lettura della radiografia: istruzioni

Identificazione del focus dentale: istruzioni

L’estrazione di un focus dentale: istruzioni

Lettura delle cavitazioni

CAPITOLO 4:

Il pluri-metallismo

Un caso di monconizzazione post-apparecchio (!)

II dentista e le monconizzazioni facili

Traforo in denti sani come appoggio per ponti?

Riuscirà il paziente ad avere i bugiardini prima che il lavoro inizi e non dopo, quando l’omeopata gli dice che quel materiale è problematico?

Informazioni su materiali problematici e possibili alternative

Cure canalari: novità e regaletti da evitare

CAPITOLO 1

Le tossicità sugli enzimi (l’amalgama)

Ognuno di noi ha un totale di bagagli di autonomia che tutelano l’operatività di glicoproteine cellulari e con esse delle varie funzioni enzimatiche, immunitarie, ossidative, etc.

La programmazione di ciascun sistema nasce sul cromosoma e, anche quando la nostra storia di esposizione ambientale ne determina una riduzione (per intossicazione o invecchiamento), sul cromosoma continua ad essere registrata l’informazione dell’entità di autonomia rimanente.

Sul cromosoma ci sono dunque molti pezzi (locus) che hanno qualcosa da dire (esprimono un certo tipo di glicoproteine cellulari), ma uno di importanza particolare è quello (sul braccio corto del cromosoma 6) che esprime le glicoproteine cellulari denominate HLA e così facendo conferisce l’identità immuno-genetica a tutte le cellule di un organismo.

Le ricerche di Hultmann [1994 & 1998], replicate da Nielsen [2002], hanno mostrato che inserire otturazioni di amalgama in denti di topini nel lungo termine produce un’accelerazione dei tempi per l’attivazione patologica delle glicoproteine cellulari HLA e, dunque, la comparsa di condizioni infiammatorie e autoimmuni croniche.

In tal senso le esposizioni croniche a basse dosi di tossicità hanno una valenza patogena, insospettata fino a un paio di decenni fa. Si tratta di un meccanismo che si differenzia da tutto ciò che è noto nel campo della pura tossicologia e della pura allergologia: entriamo nel campo della immuno-tossicologia, il tempo di latenza, cioè tra l’inizio dell’esposizione e lo sviluppo della patologia infiammatoria, è dell’ordine dei decenni [Kriss 1993a].

Negli anni Cinquanta, nel corso delle intossicazioni di lavoratori esposti, fu stabilito un valore-soglia di tossicità per il berillio, 1000 mcg/m3, superato il quale erano evidenti e prevedibili gli effetti immediati del metallo su ogni essere umano. Negli anni Ottanta, grazie alla neonata scienza dell’immuno-genetica, ai test di proliferazione cellulare dei linfociti sul sito di contatto e a studi sperimentali, si capì anche che “le basse dosi avevano una valenza patogena nel lungo termine, in particolare provocavano un’attivazione patologica dell’HLA e perciò malattie autoimmuni. Per cui a quel punto il valore soglia ammissibile in ambiente di lavoro fu abbassato a 2 mcg/m3.

Con l’esempio del berillio possiamo dunque sottolineare che i valori soglia capaci di scatenare malattie croniche degenerative (immuno-tossicità, tossicità sull’autonomia genetica) sono dell’ordine di 500 volte inferiori ai valori soglia degli effetti tossicologici classici.

Le esposizioni croniche a basse dosi hanno questa caratteristica: pur non dando luogo a reazioni immediate, evidenti ed omogenee (per tutti), gratta gratta, solletica oggi solletica domani, nel lungo termine un’azione tossica c’è, perché consumano il bagaglio di autonomia di un certo sistema, l’anello più debole della catena, che ci protegge dalla malattia.

Un esempio di come il mercurio arrivi a bastonare il DNA diminuendo il suo bagaglio di autonomia enzimatica è riportato da Katsanuma [1990].

Si tratta di una paziente di 9 anni che, nel periodo susseguente l’inserimento nei denti cariati di amalgama di mercurio, inizia a reagire all’esercizio fisico con rigidità, crampi, facile affaticabilità, crisi dell’apparato respiratorio fino a gravi stati di anafilassi. Questa malattia deriva da una recessione genetica, quella relativa all’enzima cellulare beta-glucosidasi di tipo VII. Dopo aver tolto il mercurio dalla bocca questa bimba ha una remissione completa, torna a poter fare esercizio fisico senza avere alcun tipo di reazione immediata, né orticaria, né crisi asmatiche e respiratorie. Questo esempio ci dice che le dosi di mercurio rilasciato dall’otturazione (come anche altri insulti ambientali) possono determinare una riduzione dell’autonomia enzimatica sul cromosoma (che in questo caso singolo culmina con la glicogenosi VII).

Ci sono tutta una serie di enzimi beta-glucosidasi nell’organismo presenti a vari livelli della gerarchia cellulare, delegati alla gestione del glucosio (ed espressi su varie locazioni del cromosoma: 2p13- 2p12- 1q21- 14q21- 14q22). Le conseguenze dell’attivazione patologica in questione sono varie a seconda di quale è l’enzima-cugino coinvolto: “glycogen storage disease” del tipo Ia, Ib, II, III, IV, V, VI, VII, VIII, IX, X, XI o XII.

Le esposizioni croniche a basse dosi possono lentamente consumare il bagaglio di autonomia di molte glicoproteine. Ad esempio la glicoproteina cellulare che conserva la funzione della dipeptil-peptidasi è molto suscettibile alla inattivazione da parte dell’azione tossica del mercurio sul suo gruppo funzionale cisteinile.

La dipeptil-peptidasi è un enzima che serve per la lisi di frammenti peptidici provenienti da proteine di cereali, legumi e del latte (il locus cromosomico corrispondente è: 17q23), dunque la sua riduzione è da associare con intolleranze alimentari.

Gli insulti tossici sono tutti in grado di causare intolleranze alimentari.

Engel [2003] riporta di S.H., 60enne, era stato per anni nella situazione in cui bere solo uno o due bicchieri di birra produceva immediatamente un lieve mal di testa; dopo la rimozione delle otturazioni di amalgama il problema scompare. Engel riporta molti casi simili di suoi pazienti che dopo la rimozione di amalgama possono consumare senza effetti collaterali cibi che prima causavano loro problemi.

Zamm [1991] riporta una trentina di casi del genere, per es. M.C., 22enne: dopo la rimozione dell’amalgama ha meno dolori, si sveglia finalmente riposata, i cibi che prima le causavano intolleranze alimentari evidenti ora sono molto meglio tollerati; oppure S.B., 35enne, “era di nuovo in grado, già tre mesi dalla rimozione, di consumare di nuovo la maggior parte degli alimenti senza problemi e reazioni, a patto che non eccedesse”.

Tuthill [1898] riporta della signora H., 26enne, per la quale “le intolleranze alimentari sono scomparse da quando ha effettuato la rimozione dell’amalgama, ha guadagnato dieci chili in peso, sono spariti anche l’intorpidimento, la pesantezza degli arti, le sensazioni di terrore e ansia, la rigidità della mascella. Che altro aggiungere? Nove medici avevano trattato senza successo questo caso senza di me!”.

Morrison [1902] riporta di una 30enne che aveva visto senza alcun miglioramento numerosi dottori per una debilizzazione generalizzata e indigestione cronica. A distanza di due anni dalla rimozione dell’amalgama dentale la paziente ha conservato i miglioramenti immediati della rimozione del mercurio e tollera tutti i cibi che prima non poteva assumere”.

Markow [1941], a proposito di una 41enne con orticaria e problemi digestivi riporta che solo dopo la rimozione ‘amalgama inizia a sentirsi bene e dichiara di poter mangiare ora tutti i cibi cui precedentemente aveva dimostrato reazioni.

Ho avuto la fortuna di essere invitato ad un Congresso dove tra i relatori c’era anche il dottor Lauletta, la persona che a Roma fa tutti i “citotest” d’Italia per la Natural srl (per le intolleranze alimentari). Egli mi dice, ancora prima della mia relazione: “Ci sono certe terapie, rotazione della dieta, pulizia intestinale, etc. che ci consentono di avere buoni risultati nella remissione dei sintomi di intolleranze alimentari, ma sempre più spesso vedo che se non si rimuovono le otturazioni in amalgama il percorso è più difficile, finanche un insuccesso completo, fino a quando non si toglie il mercurio dallla bocca”.

Non c’è enzima che possa dirsi al sicuro dalla lenta devastazione tossica.

Per esempio i CYP2D6, CYP2D6, CYP3A1, CYP1A1, che sono una famigliola di enzimi coinvolti nell’inattivazione epatica di farmaci di sintesi o sostanze xenobiotiche, estranee alla nostra biologia (il CYP2D6 è espresso sul locus cromosomico 22q13.1). tale bagaglio di autonomia scende sotto una certa soglia, scatta la Sensibilità Chimica Multipla [McKeown-Eyssen 2004]), la sensibilità ai farmaci, etc. etc. I metalli tossici notoriamente determinano un accorciamento del periodo di operatività dei sopracitati sistemi enzimatici [von Schmiedeberg 1999, Alexidis 1994, Vakharia 2001].

Ci sono diverse possibili dinamiche e motivi per i quali un metallo pesante è in grado di indebolire un sistema enzimatico, uno dei più citati è la deplezione delle riserve di magnesio nella cellula. Dovete sapere che la carenza di magnesio è uno di quegli elementi che può portare a intolleranze alimentari: ad esempio Shils riporta di un signore anziano che aveva indigestione con parecchi alimenti, ma non quando gli veniva somministrato il magnesio; lo stesso riporta Rodale, solo quando prendeva magnesio gli enzimi digestivi assorbivano bene la bietola cotta o anche l’odore sgradevole dalle feci scompariva.

E’ noto dalla letteratura medica che la tossicità del mercurio sui tessuti nervosi viene neutralizzata (in certi limiti sperimentali) ristabilendo i normali valori di magnesio delle cellule NMDA: la prima tossicità del mercurio non è un effetto diretto dello ione tossico, ma è una vera e propria sindrome di carenza cellulare di magnesio (tossicità indiretta).

E’ possibile dimostrare che ripristinando i livelli di magnesio ridotti per intossicazione da mercurio, si riesce a prevenire l’insorgenza dei fenomeni patologici a carico della funzione NMDA [Wu 1959, Soldatovic 1993 e 1997]; al contrario il grado di suscettibilità aumenta man mano che l’esposizione tossica riduce i livelli di magnesio [Guilarte 1992, Rattanatayarom 1994, Todorovic 2002].

L’ipo-magnesemia (post-intossicazione cronica a basse dosi) può essere responsabile per molti sintomi nell’intossicato da amalgama. Scrive Rayssiguier [2001]: “Il sistema immunitario reagisce alle cellule che stanno soccombendo per carenza di magnesio e innesca uno spropositato aumento di citochine e di percorsi infiammatori; l’infiammazione diventa oltremodo amplificata e incontrollabile portando a processi cronici erosivi dei tessuti”.

Sistemi altamente sofisticati possono essere resi più suscettibili e starati, invisibilmente, con le esposizioni croniche a basse dosi di tossicità. Quando le oasi di minerali sono impoverite della loro sorgente, si raggiunge un livello di sensibilità al segnale depolarizzazione di sottofondo (che arriva sempre alla membrana cellulare) e quindi sfortunatamente c’è una attivazione continua, l’emergenza diventa lo status normale [McCarty 1996, Nadler 1981, Meldrum 1990]. Una metafora per la situazione di deprivazione di magnesio è quella in cui voi avete un antifurto ad una casa che avverte la presenza di forme grosse come una persona e non di forme grandi come topi: la calibrazione (in assenza di magnesio) degenera e ora suona (sigh) anche se passano scarafaggi e formiche!

E’ ben documentato che esposizioni tossiche al mercurio determinano una riduzione di minerali, zinco, selenio ma soprattutto magnesio. Se considerate che buona parte degli enzimi, delle funzioni cellulari e delle glicoproteine usano come catalizzatori magnesio, zinco e selenio, vi rendete conto che tutta una serie di anomalìe funzionali sono possibili e che è prevedibile un certo polimorfismo dei sintomi in quanto in ogni singolo organismo varierà l’anello più debole della catena.

Alcuni autori hanno fatto compilazioni ognuna di molte centinaia di pazienti che miglioravano o guarivano del tutto con la rimozione dell’amalgama dentale: Siblerud [1990], Zamm [1991], Hanson [1994], Weber [1996], Redhe [1997], Daunderer [1998], Engel [1998], Godfrey [2000], Lindh [2002].

Ci sono numerosi “pattern” delle malattie trattate. Il dato comune sono le elevate percentuali di miglioramenti e guarigioni: per cui, anche bisogna considerare che è sempre la somma (dei campi di disturbo) che fa il totale, è altrettanto evidente che l’amalgama in questa somma è quasi sempre un termine molto ingombrante per tutti.

Conclusioni: gli effetti immuno-tossici delle basse dosi giornaliere di mercurio, non essendo immediati e omogenei (come quelli della tossicità acuta), ma con lunghissimi tempi di latenza e dipendenti dall’identità e suscettibilità genetica, e non di un solo sistema ma di tanti, ed aggiungendosi ad essi anche gli effetti per tossicità indiretta, appare evidente la grande difficoltà nel produrre uno stesso risultato (se nò non è scientifico?) e che abbia un significato definitivo su un ampio campione di persone.

Infine ricordiamo che uno studio epidemiologico esiste: su 35.000 persone, il più costoso di tutti i tempi, in cui furono ottenute 6000 diverse informazioni mediante questionario e successivo accertamento medico (Centre for Disease Control 1988-1994, National Health and Nutritional Exam Survey 3, www.vimy-dentistry.com/nhanesstudy.htm). Un ricercatore canadese scoprì che era stata registrata la storia dentale, per cui, mettendo in grafico l’incidenza di malattia al variare del numero di otturazioni in amalgama, si scopriva che l’incidenza di malattia in portatori di 7 o più amalgami in media era del 25%, scendeva al 22% in chi ha da 4 a 6 amalgami, 18% con 2-3 amalgami, 15% con 1 amalgama. Essendo l’incidenza di malattia in media del 20%, questi dati epidemiologici su 35.000 individui sopra i 17 anni evidenziano che portatori di 4 o più amalgami sono sottoposti ad un crescente contributo dell’amalgama all’incidenza di malattie.

Molte storie di malattia che ho personalmente appreso in questi ultimi cinque anni sono iniziate con l’amalgama dentale. Il dentista non può liberarsi dei rimasugli di amalgama tolte dai vostri denti buttandole nell’immondizia o negli scarichi idrici pubblici perché costituiscono “rifiuto speciale pericoloso”, il rilascio cronico di mercurio dall’amalgama sarebbe di detrimento per l’ambiente. L’unico posto dove l’amalgama e il suo rilascio continuo di piccole dosi di mercurio è accettabile è la bocca. Come è possibile? È possibile in quanto l’uso odontoiatrico dell’amalgama ha goduto di esenzione dai test tossicologici o di rilascio che ovviamente l’amalgama non supererebbe. E cosa significa questo nella vita delle persone che hanno amalgama? Che a causa dell’amalgama quelle intolleranze alimentari che avrebbero sviluppato a 60 anni le sviluppano a 25 o 30 anni. L’amalgama riduce l’autonomia enzimatica di una persona, e quegli enzimi che avrebbero dovuto essere consumati dal vivere la vita vengono consumati ora dall’azione erosiva sui sistemi enzimatici della tossica amalgama.

Le memorie sbagliate

L’insieme delle glicoproteine che abbiamo accennato nella sezione precedente viene tutelato da un organismo che ogni giorno alterna una fase di smaltimento di scorie metaboliche e sostanze estranee con una fase di ricostruzione delle strutture (delle glicoproteine).

E’ così che viene garantita anche la guarigione delle ferite. Ora, è noto da alcune ricerche che persone con intolleranze silente al glutine, continuandone il consumo hanno grossi problemi di guarigione delle ferite (problema che scompare quando eliminano il glutine), tanto che è stato suggerito come un possibile indice di sospetto.

Che cosa c’entra la funzione digestiva con la funzione di rigenerazione?

12 ore di disintossicazione e 12 ore di rigenerazione, giorno e notte, tutti i giorni, si alternano, ma le capacità e l’efficacia di questo scudo perpetuo possono variare grandemente.

Gli organismi che vanno a regime di crociera mantengono uno scudo molto più solido di un organismo che va a regime- extra. Così si spiega l’interferenza dell’intolleranza al glutine con la lenta guarigione delle ferite.

Vediamo l’organismo che organizza le difese intorno al corpo infetto, per es. un dente morente, la zona si autoperimetra con metaboliti infiammatori.

E’ evidente la previdenza dei nostri programmi genetici: l’infiammazione è un modo per perimetrare il nocciolo tossico.

Price facendo certi esperimenti scopre che quando lo stato di vitalità di certi conigli è minore (nell’esempio quelli pre-trattati), l’organismo può non trovare nemmeno le risorse e le condizioni per mantenere un contenimento del corpo infetto “temporaneo” che regga, o almeno adeguato al potenziale putrefattivo del dente morente, per cui il dente va in ascesso (i tessuti circostanti si arricchiscono di un liquido essudativo infiammato o pus in cui fanno la loro comparsa i leucociti, ovvero globuli bianchi che distruggono i batteri, etc.).

Altri programmi genetici sono disponibili: in seconda battuta si attivano le glicoproteine della calcificazione intorno alla zona infiammata. La zona infiammata che delimita l’infezione viene cioè perimetrata a sua volta da un’osteite condensante.

Questa situazione forma campi di disturbo cronici che, pur generalmente non causando una precipitazione istantanea verso malattie gravi, impediscono però ad un organismo di fare consistenti passi in avanti verso una salute migliore (campi di disturbo) [Huf 1999]. Ma perché l’organismo permette ciò? Perché non fa qualcosa di meglio?

A dire il vero ci sarebbe qualcosa di meglio. Ci sono altri programmi genetici, cui però noi non attingiamo più. Se per esempio avete uno di questi denti devitalizzati marci, e fate 21 giorni di digiuno, si attiva il programma genetico grazie al quale l’organismo riuscirebbe in piena autonomia ad espellere fisicamente il dente. Infatti dopo il digiuno il dentista che lo tirerà via rimarrà sorpreso nel vedere che questo si sfila come mai era capitato per altri denti devitalizzati.

La gamma dei programmi genetici che il DNA tiene in serbo per creature che vanno in letargo o che per lungo tempo hanno fatto tutto il contrario della nostra civilizzazione, e cioè hanno rispettato le regole di semplicità e vigore, non è finito qui. Alcune specie perdono i denti e li fanno ricrescere più volte nel corso della loro vita. C’è una ghiandola che cresce nel mento che serve a sviluppare nuove generazioni di denti al posto di quelli da sostituire.

Questa ghiandola nell’uomo si atrofizza, oggi più che nel passato: quanto più l’organismo ha energia stagnante, tossicità e sovraccarichi metabolici, quanto prima si atrofizza questa ghiandola cristallina. Prendetela come curiosità (se non ci volete credere non cambia nulla), i denti dopo che sono caduti avrebbero potuto ricrescere anche nell’uomo. Ma, secondo osservazioni di igienisti dell’Ottocento, solo in un individuo che abbia praticato un’alimentazione frugivora e nello stile precedente al Neolitico, e con frequenti e ampi digiuni, e i cui genitori e nonni abbiano fatto lo stesso prima di lui, si può ottenere ciò.

Ma noi, poveri mortali dell’alimentazione post-Neolitico, ci dobbiamo accontentare di perimetrazioni “provvisorie” di denti morenti, che durano decenni e dispensano croniche basse dosi di tossicità. Il DNA non ha altri programmi attivabili alle condizioni di vita che gli imponiamo.

Haegel descrive l’organismo con una metafora, quella di una macchina a motore elettrico che viene adibita a motrice ferroviaria.Per trainare il convoglio dei vagoni in piano, e a carico normale, il motore gira a regime normale: fa un certo numero di giri-al-minuto, che è il regime di crociera per il quale è stato concepito (un regime frughivoro, e solo di frutta, verdure, alghe, semi, noci, cibi naturali e non processati). Il regime di crociera (che già permette di attingere a qualche programma di manutenzione e riparazioni) corrisponde alla routine metabolica nella quale l’organismo umano è rimasto per tre milioni di anni (prima delle rivoluzioni alimentari dal neolitico in poi).

Il motore in questione ha un’altra caratteristica fondamentale: inizia a girare a regime-extra quando necessario, per es. quando i binari iniziano ad inerpicarsi su chine a forte pendenza o quando il treno necessita realizzare punte massime di velocità.

Haegel vuole dire che, se allo stesso organismo imponiamo un’alimentazione più impegnativa di quella di crociera, possiamo attingere solo ad un limitato numero dei programmi genetici originari, per mancanza di risorse.

Haegel dunque vuole dire che a causa della scadenza giornaliera dell’alimentazione moderna, il nostro organismo è come quel motore elettrico eternamente costretto a stare su-di-giri, metabolicamente parlando. Il regime di crociera è un ricordo della giovinezza di qualcuno dei nostri nonni; anzi quello che Haegel intende per “regime di crociera” noi siamo abituati a vederlo come un modo di essere di altre specie.

Come pedaggio di questo regime su-di-giri, molti programmi genetici di difesa diventano irraggiungibili.

Il fatto è che il treno, finito magnetizzato su un tragitto impegnativo, si potrà certamente surriscaldare ma reggerà straordinariamente a lungo in questo regime-extra, gli aggiustamenti sono tanto buoni che, quando infine si presenta un disagio, viene rigettata con straordinaria veemenza la tesi che l’apparente normalità sul mangiare di questa civiltà sarebbe da considerarsi un regime-extra, e che ad esso siano da correlare i vari problemi funzionali.

Viene completamente rigettata l’idea che ricorrere al regime di crociera sia una cosa naturale per consentire all’intelligenza dell’organismo (che ha in memoria un elenco di riparazioni da fare) di procedere finalmente alle manutenzioni.

Lungo questa nostra corsa sfrenata e cieca, l’organismo rimane ostaggio di tanti piccoli cadaveri che si stampano nel suo fisico, zone con cellule depolarizzate o ipo-polarizzate: una di queste è l’infiammazione cronica di origine dentale.

L’organismo è come quella casa che non abbiamo riordinato da 20 o 30 anni ed è rimasta tanta di quella roba in giro che occupa solo spazio e che fa da zavorra. Ma noi non ci fermiamo, non abbiamo tempo da dare ai programmi genetici di auto-manutenzione che restano inespressi, e noi ci portiamo dietro una casa piena di zavorra dimenticata e inutile.

Un altro esempio di memoria sbagliata (ovvero un altro comune campo di disturbo) ci viene dal Dr Pietro Galbiati [2002]: “L’annullamento della cicatrice appendicolare come campo di disturbo mediante applicazioni di neuralterapia ha risolto nella mia casistica stitichezze decennali, dispepsie, migliorato disturbi legati al ciclo mestruale e tanti altri problemi. Il mio primo caso lo ricordo volentieri: l’intervento neuralterapeutico per una paziente 40enne fu effettuato solo a carico della cicatrice appendicolare sebbene molti erano i problemi che mi aveva riferito. Dopo circa venti giorni ricevo una sua lettera (abitando a soli 5 km dallo studio e avendo pure il telefono, l’enfasi con la lettera della sua soddisfazione è d’obbligo) con la quale mi ringrazia perché non avvertiva più un fastidiosissimo dolore lombare di cui nemmeno aveva riferito in anamnesi, essendosi sempre sentita dire che con quel disturbo avrebbe dovuto per sempre fare i conti, e lo aveva avuto per 20 anni”.

Anche qui vale la domanda di prima: perché l’organismo si porta dietro questa zavorra? La risposta è la stessa. regime-extra è diventato la normalità al momento attuale: sono arrivati i cereali, tutti i giorni, nessun giorno più di digiuno, le farine, le raffinazioni, le colture intensive, la chimica industriale, gli eccessi, etc. etc.

A queste condizioni gli unici programmi genetici accessibili sono l’infiammazione intorno alla zona ferita o coinvolta, ed eventualmente la perimetrazione dell’infiammazione. La guarigione completa, il riassorbimento delle cellule ferite o morte: no, questi meccanismi sono possibili ma rimangono semi-irraggiungibili.

L’esempio classico delle potenzialità di cui si parla è quando, e molti amici me lo hanno segnalato, uno si frattura un osso: deve essere operato, e invece fa un digiuno completo o parziale e guarisce da sé, avendo permesso l’attivazione di programmi genetici più incisivi e di difesa.

Con lo stesso ragionamento vediamo che gli animali in letargo, o anche l’uomo durante il digiuno prolungato, hanno accesso a programmi genetici ancora più profondi, che aprono momenti di manutenzione seria: processi d’autolisi che portano al riassorbimento di tessuti morti e cianfrusaglie inutili. In questo frattempo l’organismo ripassa l’elenco delle priorità, dalle più recenti a quelle passate, e diligentemente sguinzaglia programmi genetici di profondità, o comunque programmi genetici che non riusciva più ad attuare durante il regime-extra. Quando succederà, capirete che cosa vuol dire riposo assoluto: anche perché la mole di tossicità che viene smantellata e messa in giro durante il digiuno è impressionante e ti fa proprio andare in letargo.

Un focus è una zona di depolarizzazione cellulare cronica, ed è un fenomeno molto comune nella regione dentale. Con il tempo, la tossicità, l’invecchiamento, l’alimentazione sbagliata, il tessuto osseo adiacente ai denti vede compromessa la normale irrorazione sanguigna e ciò produce fenomeni di denti sempre meno vitali se non addirittura devitalizzati o in silente putrefazione.

Un’area concentrata di tossine si forma affianco al dente necrotico (morente o già devitalizzato). Man mano che l’organismo organizza le sue difese intorno ad essa, la zona si autoperimetra con metaboliti infiammatori.

ScriveR. Haegel: “Può avvenire che un canale dentario sia pieno dei resti della polpa morta in piena decomposizione e non generi alcun sintomo per anni. Si vive tranquillamente, inconsapevoli necrofori [portatori di cadaveri]. Durante gli anni di calma piatta si svolge una lotta silenziosa intorno all’apice, una barriera sorge a poco a poco per fronteggiare l’invasione dannosa, portando alla formazione di una specie di sacco più o meno voluminoso che aderisce all’apice come la bolla di sapone alla bocca di un calamaio. Il legamento alveolo-dentario così ipertrofizzato ha trattenuto i prodotti tossici risultanti da questo conflitto locale (leucociti morti, cellule connettive, residui epiteliali, proteine estranee, etc.) per impedirne la diffusione nel corpo. Si dice allora che si è formato un focus apicale”.

Si forma uno strato esterno, una massa di cellule che rimangono ipo-polarizzate a 10 millivolt (invece dei 100 millivolt delle cellule normalmente funzionanti), che viene detto “focus dentale”. Per un buon tratto, a causare il disturbo non è l’azione diretta del materiale tossico, fino a quando è ben perimetrato, ma la reazione dell’organismo ad esso, l’infiammazione con la massa di cellule depolarizzate (Pischinger spiega come questa situazione influisca negativamente sulle capacità di regolazione dell’organismo).

Ma il peggio deve ancora venire. Proprio come avrebbe dimostrato Haley [1998], Price si mise a studiare queste tossine che trovava in tutti i denti devitalizzati e scoprì innanzitutto che gli effetti più temibili sugli animali inoculati erano ascrivibili alle tossine piuttosto che ai batteri. Steinman e altri confermeranno il fatto che contrariamente ai batteri stessi, i metaboliti dei batteri riescono a fuoriuscire attraverso le pareti intatte del dente anche quando questo sia stato ben murato a livello apicale.

Prima di arrivare alla batosta vera è propria, può essere dimostrato che questo carico di tossicità endogena 1. impegna per un lungo periodo un sistema immunitario apparentemente illeso; 2. dà instabilità ai livelli di glucosio nel sangue; 3. rende parzialmente inefficiente il sistema di ossidazione e drenaggio; 4. aumenta i livelli di acido urico; 5. favorisce l’acidosi; 6. riduce la riserva alcalina del sangue; 7. altera soprattutto i livelli di calcio nel sangue; riduce i livelli di calcio ionico nel sangue.

La virulenza e la quantità delle tossine provenienti dal dente morente sono destinate ad aumentare nel tempo, e arriva il momento in cui parte attiva di questo focus diventano il periodonto (l’articolazione che fa da paraurti al dente) e soprattutto l’osso. A quel punto il nocciolo tossico comprende anche del tessuto osseo necrotico o infetto, e la perimetrazione si allarga.

Le degenerazioni

Un interessante fenomeno è stato dimostrato dalla scienza: il flusso di fluido nutriente che dalla polpa e dalla camera polpare si dirige in tutte le direzioni nella dentina (fino ai canalicoli di cui è fatto il “cemento” o parete dentale), viene risucchiato all’indietro (cioè peggiora l’apporto nutriente al dente) quando uno consuma zucchero bianco. La pubblicità in televisione direbbe che quando avete consumato zucchero dovete usare il dentifricio perché l’attacco dello zucchero dall’esterno determina la carie dentale. La realtà è che la carie è un fenomeno degenerativo della nutrizione della dentina che parte dall’interno: anche se solo lo zucchero è stato immesso per intubazione direttamente nello stomaco (senza passare per la bocca), si verificano le alterazioni di nutrimento dentale che fanno degenerare il dente. Ve ne parlano gli studi del Dr Ralph R. Steinman, della Loma Linda University Dental School, che sono stati confermati più volte in seguito da altri ricercatori.

Un regime alimentare “conforme”, pre-Neolitico, che si differenzia da quello “desertificante”, moderno, nutre il dente, sostiene la salute dell’osso maxillo-facciale, e può persino frenare gli effetti a distanza del dente devitalizzato in putrefazione.

Un esempio molto significativo è quello di Daniele Bricchi, 44 anni, ha alcuni denti devitalizzati fatti da piccolo che sono decisamente saltati: tre dentisti li hanno visti decretando che il riempimento del canale è ormai compromesso e che i batteri hanno attaccato la polpa all’interno del dente. “Portavo lenti da miope da 22 anni e la mia vista si stava affievolendo ulteriormente, soffrivo di gastrite cronica e di crisi depressive, mi furono diagnosticate l’epatite C e l’infertilità”. Sono tutti sintomi di tossicità in circolo di provenienza dentale, inclusa l’infertilità, come dimostra Bienek KW., dell’università di Aquisgrana, in questo articolo del 1992, “Foci batterici in denti, cavità orale e mandibola e loro effetti a distanza in relazione a batteriospermia e subfertilità nell’uomo”:

Trentasei pazienti subfertili con batteriospermia resistente a qualsiasi trattamento terapeutico sono stati indirizzati ad un controllo odontoiatrico. In tutti si è constatato un gran numero di foci dentali. 18 hanno accettato di procedere alle estrazioni dei denti coinvolti. I foci furono completamente eliminati e sei mesi dopo i 2/3 degli spermiogrammi non presentavano più batteri (tra l’altro lo spettro batterico degli strisci di pertinenza odontoiatrica e degli spemiogrammi erano quasi identici). Oltre ai miglioramenti degli spermigrammi, eliminando i focus dentali si ottennero miglioramenti notevoli di mobilità, densità e morfologia degli sperma (guarigione dalla sub-fertilità).

Il caso di Daniele ci mostra come una persona che ha dei denti devitalizzati un po’ marci ad un certo punto vede una regressione della pesante patologia tossica su cui essi stavano dando un contributo, pur non avendo permesso nessun intervento del dentista: aumentano le capacità tampone solo cambiando regime di vita e dunque migliorando lo stato di salute dell’osso.

“17 anni fa approdai all’Igienismo,” racconta Daniele, “che non è come purtroppo molti credono soltanto uno dei tanti sistemi nutrizionali, ma la vera scienza della salute, la disciplina che individua il complesso delle condizioni naturali per il recupero e il mantenimento della salute non solo fisica, ma anche psichica. Da allora non uso più alcun tipo di farmaco, non porto più gli occhiali e vedo bene, non soffro più di quella depressione inspiegabile, non ho più problemi di fegato e di stomaco; ho superato senza farmaci ascessi, granulomi ai denti ed anche una frattura al polso (niente ingessatura). Godo di buona energia, non soffro più di quei disturbi della mia famiglia quali: sovrappeso, ipertensione, calvizie e neppure artrosi, che ha colpito tutti i miei parenti di parte paterna compreso mio fratello”.

Ad un certo punto Daniele si reca dallo specialista urologo perché sa di essere guarito e chiede di rifare l’esame dell’azoospermia (assenza di spermatozoi nel liquido seminale). Il medico gli spiega che questo è impossibile, la sua malattia è irreversibile. “Quando gli mostrai i risultati dell’esame, che indicavano la presenza di milioni di spermatozoi, fu molto sorpreso e dopo qualche istante di silenzioso controllo dei risultati, mi consigliò di ripetere il test, perché a suo parere poteva esserci stato uno scambio di provette in laboratorio. Sapevo che non era così, ma volli ripetere il test, ottenendo come risultato che il numero di spermatozoi per millimetro cubo era ancora notevolmente aumentato”. In effetti Daniele ha un figlio ora.

La vicenda che a noi interessa è che Daniele non è mai andato a rifare le cure canalari dei denti devitalizzati o estrarre gli stessi, no, l’unica variazione sono i momenti di applicazione rigida per far riposare l’organismo, cioè digiuni a succhi o giorni senza cereali, e altre contromisure nei giorni di routine di Igiene Naturale. Questo sistema di vita (che è molto vicino a quello dei primitivi) è tale da rendere più vitale, forte e resistente l’organismo, è tale da dare più risorse per permettergli di sanare l’osso e arginare la mappazza dei denti devitalizzati.

Il discorso dell’alimentazione “moderna”, attirò così tanto l’attenzione del dottor Weston Price che, ritenendosi soddisfatto delle osservazioni cliniche, sperimentali e in vitro prodotte dal 1900 al 1925 sui denti devitalizzati, e date istruzioni ai suoi collaboratori su come continuare a raccogliere dati, egli si avviò ad aprire un altro capitolo di ricerca decennale senza precedenti: quello su alimentazione e suscettibilità a degenerazione fisica.

E’ evidente che (oggi più che mai) l’osso adiacente ai denti otturati con amalgama diventa una discarica di metalli e la tossicità risultante è un importante co-fattore della degenerazione ad orologeria del sistema osseo. I virus e altri microorganismi anaerobici che vi ritroveremo possono essere pensati come gli spazzini dei metalli tossici e dei tessuti necrotici.

Senza amalgama serviva tutta una vita per innescare quella bomba ad orologeria dell’osso necrotico, con l’inserimento di amalgama, scrive Daunderer [2001], “quel contatore inizia a girare più velocemente; cì a partire dai nostri 35 anni di età (a volte anche prima, da bambini), arriviamo ad uno stadio in cui l’irrorazione sanguigna a disposizione della salute dei denti è in grave crisi”.

Una delle prime segnalazioni in tal senso fu quella di Ferguson [1868], ma tanti altri autori del suo tempo facevano notare che il mercurio ha un effetto tossico sull’osso che favorisce senz’altro l’insufficienza vascolare e la successiva colonizzazione batterica dei tessuti necrotici.

E’ altresì evidente il peso sulla salute dell’osso che hanno le tossine prodotte dal metabolismo della micro-putrefazione, di cui si sa che possono fuoriuscire attraverso la parete dentale. Lo strato di infiammazione si diffonde ai tessuti circostanti, i mediatori dell’infiammazione generano un disordine della coagulazione del sangue e un ridotto afflusso sanguigno (osteonecrosi ischemica). E in effetti le ricerche hanno evidenziato che molti siti di osteonecrosi cavitazionale risultano direttamente adiacenti a denti devitalizzati [Bouquot 2000].

Tra l’altro è da considerare un dato ufficialmente accettato in odontoiatria, cioè che più del 40% dei trattamenti canalari non sono fatti in un modo tecnicamente accettabile, per cui entra in gioco la colonizzazione dell’osso da parte dei microrganismi stessi. Quello che si vede in questi casi è un’osteomielite intorno alla radice del dente (addensamenti bianchi all’ortopanoramica).

Infine l’osso può essere compromesso da vecchi siti di estrazioni dentali fatte male. Il legamento che attaccava il dente all’osso non ha più alcuna funzione dopo l’estrazione del dente, e se si lascia lì, anche solo una parte minima, funziona da barriera per il ripristino del sistema vascolare osseo e quindi della corretta ricrescita ossea. Non è la chiusura del sito dell’estrazione che è in gioco, questo no, di lì a poco si chiuderà. Ma sotto la chiusura la ricrescita sana è impedita: incamerando tessuto necrotico, l’osso ricresce a gruviera e diventa un terreno di coltura (nascosto), una fortezza, uno stazionamento, per microrganismi endomorfici e della putrefazione.

Una segnalazione davvero incisiva in merito ci viene da R.M. Box [1955] con le migliaia di siti di estrazioni dentali (catalogati in un trentennio di pratica medica) dove egli trovava ossa ricresciute a gruviera (vacuolate).

Prima di lui, Thoma [1934], oro-patologo particolarmente famoso e fondatore della American Academy of Oral Pathology, fu uno dei primi a correlare l’osteonecrosi maxillo-facciale con vecchi siti di estrazioni dentali.

A partire dagli anni Novanta numerosi autori hanno affrontato questi temi, Bouquot e Daunderer in prima fila. Scrive Shankland [2002]: “Sebbene per decenni l’insegnamento universitario sia stato quello di raschiare bene l’alveolo dopo che è stata effettuata un’estrazione dentale, la pratica comune è tutta l’opposto. I dentisti così facendo lasciano cavitazioni nel 95% dei casi di estrazioni di denti infetti”.

Quella della degenerazione dell’osso adiacente ai denti (che coincide con il progredire dell’insufficienza vascolare dovuta a fenomeni infiammatori, tossici o infettivi), è una importante tappa verso la malattia e le intolleranze alimentari, in quanto diventa fortezza per temibili organismi anaerobici [Bouquot 1995].

E arriva inesorabile perché, anche senza scomodare i “progressi” ultimi dell’odontoiatria (l’uso del mercurio, la metodica delle devitalizzazioni, le estrazioni di denti infetti fatte male), uno stressore molto importante in questo discorso della degenerazione della salute dell’osso è quello dell’alimentazione sbagliata”.

Mi dice il dottor Andrea Barile, dentista col quale mi sento con una certa frequenza perché siamo i due relatori di alcuni corsi SIMF a Milano per dentisti: “Ogni volta che un paziente ha problematiche relative alla bocca o ai denti, ho notato che c’era puntualmente uno stato di salute intestinale da migliorare”. “Come me lo spieghi?”. “Tu che hai sempre tutto, mi trovi citazioni su questo?”.

Un dentista di fine Novecento, George W. Heard, iniziò ad interrogare tutti i suoi pazienti per confrontare lo stato di salute dei denti con l’alimentazione; le sue osservazioni, raccolte in centinaia di pagine (“Man versus toothache”), mostrano che la salute dei denti dipende dal tipo di alimentazione (www.soilandhealth.org). Cito qualche spezzone:

“Un giorno la signora Johnson mi portò per un controllo i suoi due gemelli di 14 anni, Toand Bill. Dopo che ebbi guardato nelle loro bocche dissi immediatamente: «Ragazzi, voi due non mangiate lo stesso cibo!». «Come no,» disse la madre, «hanno sempre mangiato insieme alla stessa tavola!». L’esperienza e il buon senso mi dissero di non argomentare con la madre e così incalzai i bambini: «Tom, ti piace la roba che Bill mangia?». Dovete sapere che la bocca di Bill era impeccabile, non c’era una carie, non un difetto, le gengive erano sane.

«Noo,» fu la risposta di Tom. «E a te, Bill, attrae quello che mangia Tom?». Anche qui la risposta fu negativa. La bocca di Tom era arrossata e congestionata. Tom si avviava a perdere i suoi denti perché aveva un osso peggio nutrito” (a quel tempo non esistevano ancora le devitalizzazioni dei denti che morivano).

Bill consumava puntualmente frutta, e anche verdura, insalata gli piacevano tantissimo, tanto che spesso faceva il bis di queste porzioni. Per Tom invece le prelibatezze erano carne, gravy (salsa grassa sulla carne), oltre che pane, patate; mentre trattava gli spinaci e altri ortaggi come se puzzassero, e senza indugio allontanava insalate o qualsiasi crudità dal suo piatto” (..).

Un altro esempio. “Il signor W. P., un ranchero che aveva mantenuto denti perfetti fino all’età di 65 anni, veniva sempre per i suoi controlli. Poi un giorno trovai un’infinità di carie appena formate. «Signor W. P.», gli dissi io, «mi accorgo che avete improvvisamente cambiato alimentazione, avete abbandonato quel regime salutare che ha tenuto la vostra bocca e denti splendidi per tanto tempo. Non state più consumando le verdure, i cibi crudi, la frutta, le insalate come del resto avete fatto per tutta la vostra vita»”.

“Dopo aver interrogato così tanti pazienti, anno dopo anno,” scrive Heard, “fui condotto alle seguenti correlazioni:

  • troppa carne e grasso animale consumati per lungo tempo causano una rarefazione della struttura ossea;

  • consumo eccessivo di pane bianco, patate, zucchero bianco, dolci, conduce ad una bocca con molte carie dentali;

  • il latte quando è pastorizzato perde numerose proprietà rispetto al latte crudo, e anzi produce problemi.

Non speculo sulle ragioni di queste correlazioni, non chiedetelo a me il perché, io semplicemente ho osservato i fatti e li riporto. Quando vedevo una bocca, traevo le conclusioni e dicevo esattamente al paziente quali erano le sue abitudini e preferenze alimentari. La risposta immancabilmente faceva così: «Mi avete fatto il ritratto, come sapete tutto ciò dottore?»”.

Il testo classico che affronta la questione ”salute dentale” è quello prodotto da Weston Price: “Nutrition and physical degeneration” (450 pagine, acquistabile presso la Pottenger Foundation, http://www.price-pottenger.org), un libro nato quando Price fece il giro del mondo confrontando gli indigeni ancora isolati che si reggevano su alimentazioni primitive e gli indigeni civilizzati che avevano introdotto da qualche decennio l’alimentazione “civilizzata”, cioè ricca di farine, di zuccheri, di latte pastorizzato e derivati, svuotata del suo fulcro di alimenti della terra freschi e non cotti. I risultati di questo cambiamento di abitudini sono carie, osso delle mascelle meno sano, denti storti, infezioni dentali, piorrea, e chi ne ha più ne metta.

Price dimostra il peggioramento di salute dentale e dell’osso adiacente e delle strutture scheletriche in primitivi che passavano all’alimentazione dell’uomo moderno. Numerosi famosi dottori nutrizionisti hanno fatto risalire la loro eredità a Weston Price e al suo lavoro. Tutti tessono le lodi di questo medico geniale, denominato il “Darwin della scienza nutrizionale”. Price, una volta tornato dal suo viaggio intorno al mondo, si mise a curare le persone reintroducendole ad alimenti tra i più ricchi di vitamine e minerali, in un ambito di cibi provenienti da terreni coltivati in modo biologico e “antico”, consumati integrali, naturali e, se possibile, crudi.

La profezia di Price si è avverata, la rarefazione delle ossa è un fatto metabolico associato con la dieta civilizzata: è in aumento nelle varie civiltà man mano che si consolidano le abitudini alimentari moderne. D’altra parte, tra le popolazioni di Asia, Sud America e Africa, dove farinacei e latte non sono ancora derrate di massa, la maggior parte delle persone ha ossa fortissime di cui noi già non ci ricordiamo più.

In Grecia l’incidenza di osteoporosi è raddoppiata dal 1961 al 1977 (ed era persino maggiore nel 1985), man mano che si ammodernavano le abitudini alimentari di questo popolo [Paspati 1998].

Varie popolazioni che sono diventate quasi all’improvviso grandi consumatrici di farinacei e latte pastorizzato hanno triplicato l’incidenza di osteoporosi [Ho 1999, Schwartz 1999, Rowe 1993, Barss 1985, Memon 1998, Smith 1966, Abelow 1992], mentre man mano che la civilizzazione aumentava l’osteoporosi dilagava ulteriormente [Lippuner 1997, Lips 1997, Parkkari 1996, Nydegger 1991, Van Hemert 1990, Versluis 1999, Lau 1993, Fujita 1992].

Nel 1970 negli USA una media annua di 4.9 chili di formaggi erano consumati per persona da ognuno dei 203 milioni di cittadini statunitensi. Nel 1990 questo consumo di formaggi era cresciuto ad una media di 10.9 chili a persona, nel 1994 a 12.3 chili, oltre 13.6 all’inizio del nuovo millennio. SE I PRODOTTI CASEARI VERAMENTE PREVENIVANO L’OSTEOPOROSI, SAREBBE RARA L’INCIDENZA, ALMENO NEGLI STATI UNITI! E invece, è stato dimostrato che gli Stati Uniti (come anche le nazioni che consumano le maggiori quantità di prodotti caseari, cioè Israele, l’Olanda e gli stati scandinavi) soffrono le incidenze più elevate di osteoporosi [Abelow 1992, Ju 1993, Kin 1993, Russell-Aulet 1993].

Mi sembra di vedere Price mentre le osservazioni sui pazienti lo portano a questa scoperta (e successivo viaggio di documentazione scientifica: l’alimentazione sbagliata determina un maggior grado di colonizzazione dell’osso mandibolare da parte dell’infezione derivante dal dente morto.

Una rigorosa trattazione scientifica ci consente di dare ai più curiosi una conferma in più.

Partiamo dalle glicoproteine cellulari, ognuna di esse deriva da un certo pezzo del cromosoma e si distribuisce in siti multipli lungo tutto l’organismo e va a formare una famigliola addetta ad una certa funzione. L’uniformità di interpretazione dei vari messaggeri e l’uniformità di operatività sono la prima caratteristica fondamentale, indipendente dalla locazione. Queste glicoproteine appartenenti alla stessa famigliola si “capiscono” l’una con l’altra (anche se una si trova nell’intestino e l’altra nel cervello). L’operatività comune è la seconda caratteristica principale: essa si traduce nel fatto che se una glicoproteina in una certa locazione soffre, la persistenza di questo disagio può mandare in tilt la stessa glicoproteina che si trovi su un sito a distanza.

L’esempio più noto e forse più importante è quello relativo alla transglutaminasi, enzima di cui sono presenti varie versioni quasi uguali in varie parti dell’organismo, uno dei quali è sulla mucosa intestinale, un altro sull’osso mandibolare, etc.. E’ stato dimostrato che se un particolare gruppo di transglutaminasi è in difficoltà da una parte, anche altri gruppi di transglutaminasi (“cugini”) si attivano a distanza come se fossero in difficoltà, qualche tempo dopo [Lutz 1996].

Ma la cosa più spettacolare è quando, essendo interrotta la fonte di disturbo primaria, nell’intestino per esempio, con un’alimentazione esclusivamente di succhi vegetali, ciò normalizza di nuovo la situazione dei cugini che da qualche altra parte si erano attivati a distanza (in apparente lontananza dall’evento primario causale) [Lutz 1996].

E’ come se l’insieme dei gruppi appartententi alla stessa famiglia di enzimi (in questo caso le transglutaminasi) beneficino di una certa quota di risorse in comune: se da una parte c’è un problema o un impegno “grosso”, le risorse vengono destinate alla risoluzione di quel problema, e tutte le altre “per solidarietà” cedono la propria quota di risorsa a quella più in difficoltà, che però alla fine tira giù con sé alcuni degli enzimi cugini, tra quelli più suscettibili.

La scoperta empirica che una frattura ad un osso guarisce prima con il digiuno di succhi o anche che con il digiuno si riesca a curare l’ascesso del dente sano, conferma il fatto che con l’aliquota di risorse quotidiane destinate agli enzimi del gruppo transglutaminasi, l’organismo o bada a tenere giovane e in buono stato di salute l’osso oppure bada alla situazione disastrata che l’alimentazione (in un organismo indebolito, intossicato) crea sulla mucosa intestinale.

L’organismo sfrutta (nel digiuno) questa improvvisa ampia quota di risorse per dedicarsi a mantenere sano l’osso, funzione di cui si sarebbe dovuto quasi dimenticare altrimenti, per concentrarsi sul fardello digestivo che stiamo dandogli con qualche intolleranza alimentare.

Veniamo ad un esempio. In un organismo l’enzima transglutaminasi del pancreas è l’anello più debole della catena: si prendono topi di cui si sa che con una vita e un’alimentazione normale una certa percentuale di essi diventano diabetici in età avanzata (c’è una attivazione patologica delle transglutaminasi pancreatiche). Una dieta troppo ricca di glutine in questi topi accelera di molto l’attivazione patologica dell’enzima pancreatico transglutaminasi, e ciò si traduce in diabete anticipato.

Correggendo per tempo l’alimentazione (non alimentandoli con glutine), i topi soggetti a questa modifica NON diventano diabetici, mentre i loro colleghi alimentati a glutine si. Infatti, quando si approssima il limite di esaurimento dell’autonomia enzimatica per disporre del glutine la transglutaminasi è l’enzima primario che va in attivazione patologica per una specie di auto-intossicazione invisibile.

Un esempio simile è il fatto che l’alimentazione sbagliata determina un maggior grado di colonizzazione dell’osso mandibolare da parte dell’infezione derivante dal dente morto.

L’intolleranza al glutine è una possibile causa di alterazione metabolica delle transglutaminasi, altre intolleranze alimentari lo sono di altre glicoproteine. Per cui si può attingere a questa dimostrazione biochimica completa.

C’è una stretta correlazione tra cattivo stato di salute del sistema osseo (quindi salute dentale) e l’eccessivo uso di cereali glutinosi (come diceva Price!).

In un organismo sano in nessun caso l’enzima transglutaminasi si attiva (è un enzima di emergenza); ma via via che si impoverisce delle sue oasi di magnesio, tanto più facile è produrre l’iper-attivazione. Il magnesio ed altri ioni chiave fanno da fermacarte, per cui l’organismo indebolito nel lungo termine cede prima.

Per cui c’è una correlazione anche tra cattivo stato di salute del sistema osseo (quindi salute dentale) e alimentazione raffinata (come diceva Price!).

Insulti ambientali esposizioni croniche a basse dosi di metalli pesanti rendono questo percorso verso l’attivazione patologica delle transglutaminasi pancreatiche ancora più in discesa [Courtois 2004]. Cioè l’autonomia enzimatica si consuma prima con le esposizioni tossiche.

Quindi c’è una correlazione anche tra cattivo stato di salute del sistema osseo (quindi salute dentale) e le varie fonti di tossicità.

Vedete quanto numerose sono le implicazioni, visto che questo avviene con ciascun tipo di transglutaminasi-cugino:

La demineralizzazione dell’osso coincide con l’attivazione patologica delle transglutaminasi ossee.

Numerosi tipi di problemi neurologici sono caratterizzati da aberrante attività delle transglutaminasi cerebrali o del sistema nervoso. Modelli sperimentali di malattie neurologiche confermano che inibendo le transglutaminasi dei tessuti nervosi si ottengono miglioramenti delle cavie in termini di motricità, di arresto della progressione patologica e di miglioramenti clinici [Gentile 2004, Dedeoglu 2002].

Numerosi tipi di problemi dermatologici (psoriasi, dermatite, perdita di capelli, etc.) sono caratterizzati da aberrante attività delle transglutaminasi della pelle (e tra l’altro solo nella pelle ce ne sono di diverso tipo) [Thacher 1989].

e così via… enzimi appartenenti alla famiglia delle transglutaminasi sono stati trovati un po’ dovunque: fegato, pancreas, microglia, muscoli, etc. [Maki 2004] e numerosi modelli sperimentali di malattia rilevano una loro attivazione patologica.

Abbiamo fatto l’esempio delle transglutaminasi del pancreas, ma vediamo ora che quando l’anello debole della catena sono le transglutaminasi sulle paratiroidi, le possibilità che le transglutaminasi paratiroidee vadano in uno stato di infiammazione cronica senza visibile insulto diretto può venire da pressoché qualsiasi direzione:

  • L’attivazione patologica degli enzimi transglutaminasi sulle paratiroidi può avvenire per una prolungata suscettibilità delle transglutaminasi ossee a causa di infezioni e infiammazioni croniche dentali [Klinghardt 1998],

  • L’attivazione patologica degli enzimi transglutaminasi sulle paratiroidi può avvenire per il prolungarsi di stimoli avversi sulle transglutaminasi addette alla funzione digestiva [Kumar 1996],

  • Etc. etc., l’insulto può provenire da qualsiasi direzione.

Per i teorici, grazie alla recente scoperta dei comportamenti di “solidarietà” a distanza dei vari gruppi “cugini” di transglutaminasi, si avvicina il tempo in cui la scienza potrà accogliere come scientifico il concetto di un sistema di regolazione unico (che chiameremo “il terreno biologico”) che raccoglie input da più parti (stressori multipli, ognuno dei quali pesa un tot).

La malattia, i disturbi, sono la manifestazione del peso totale degli stressori (somma dei campi di disturbo) sul punto critico di quell’organismo (l’anello più debole della catena) ad un dato momento.

Che strano che di solito davanti agli elementi stressori non ci siano cartelli stradali di divieto d’accesso più eclatanti e quindi più visibili!

Se guardo indietro nella mia vita, ritrovo una fase (lunghissima) in cui non vedevo il cartello stradale relativo ai divieti di accesso (o almeno segnalazioni di regime-extra); poi c’è stato il momento in cui ne vedevo alcuni, ma mi sembrava tanto che riguardassero gli altri.

Di lì a poco avrei saputo che riguardavano anche me quei divieti di accesso, ma ancora mi sembrava che potevo prenderli senza incontrare i vigili (senza grosso danno apparente).

Addirittura avevo trovati gli anticorpi celiaci nell’intestino e nel sangue, ma ancora mi sembrava che il pedaggio da pagare nel mio caso per il consumo di glutine non era molto.

Il motivo è sempre lo stesso: l’organismo attinge alle risorse straordinarie, con il risultato di mantenere nella norma i parametri di difesa e la somma degli elementi stressori non supera un certo valore soglia in cui ci sono immediati sintomi eclatanti.

Di lì a poco però avrei avuto bisogno di quelle risorse straordinarie e del regime di crociera per interrompere la degenerazione dell’osso a ridosso dei denti.

Capii la situazione di denti morenti, granulomi non superati, osso necrotico, etc. Capii che questo regime-extra aveva sistemato maluccio la regione ossea adiacente ai denti, e che da essa dipendeva la mia salute futura. Solo allora ho iniziato a rispettare diligentemente il divieto d’accesso posto davanti al glutine.

Proprio come dice il dottor A. Mosseri, oggi massimo esponente dell’ Igiene Naturale in Francia, “è assurdo sperare di costruire e preservare una salute dentale buona con un’alimentazione basata su pane bianco, zucchero bianco, riso brillato, cereali e farine denaturate, latte pastorizzato, carni industriali, frutta e verdura in scatola, verdure troppo cotte, caramelle, torte e dolci di frequente, assunzione di poca frutta e verdura fresca. Il discorso più pesante riguarda il glutine. Una tale dieta impoverisce tutto il terreno biologico e l’alterazione della salute dentale non è altro che una parte della degenerazione del sistema causata da un tale regime”.

..e mettiamo l’intolleranza alimentare in tutto questo contesto

Avevo 21 anni, studente residente nel centro storico di Napoli a pochi passi dall’Università in un appartamento fittato con altri dodici, seppi da un amico che in quell’anno gli universitari potevano fare gratis la radiografia e la visita specialistica di valutazione per la colonna vertebrale (a lui serviva per iscriversi in piscina). Sono quelle cose che, se non fosse stata gratis e se non fosse stata a portata di mano nell’ospedale adiacente alle nostre aule, non avrei assolutamente fatto, ma invece eccomi lì, fatta la radiografia, ad attendere la chiamata del mio turno. L’assistente (giovane, uno studente) chiamò il mio numero e fece cenno di farmi avanti, portammo insieme la mia radiografia della colonna vertebrale al medico, certamente un ricercatore della clinica universitaria. Mi pare che in quella stanza rettangolare, ben distanziate tra loro ci fossero quattro scrivanie, attaccate al muro, ognuna con il suo luminare, e ognuno di loro seduto di spalle a noi ed altri che rimanevamo al centro dell’androne. Il medico additò al giovane alcune cose sulla lastra e prese una penna; non ricordo le parole ma disse una cosa del genere: “Ha più di settant’anni?”. L’altro, senza aprire la bocca, spostò un po’ gli occhi e un po’ i piedi come per guardarmi faccia a faccia (l’equivalente di rispondere al professore: “Eccolo. E’ qui”). Il medico neanche lui disse niente, mi individuò e iniziò a scrivere.

Mi impressionò tantissimo questa sequenza, sicuramente avevano trovato una situazione tanto degenerata e grave che solo se ero vecchissimo si poteva giustificare. Andai subito a leggere sul foglio, ma anche lì il medico ermetico aveva taciuto, ovvero c’erano solo termini in stretto gergo medico. Quel silenzio glaciale fatto di una domanda sola del medico mi diede l’impressione che la mia condizione fosse proprio senza speranza, non ne sapevo molto e cercai di rimuovere l’episodio in fretta dai miei pensieri.

Ma veniamo ad un altro momento, vari anni dopo, ecco che mi capita di ritrovarmi in mano il frammento magico (quando non lo stavo neanche cercando) che ricompone questo puzzle seppellito. L’osteoporosi è una manifestazione comune della celiachia, numerosi studi ne parlano. Un’amica che è dottoressa dello sport mi ha spiegato che, anche vedendo in una radiografia l’immagine di rarefazione ossea, non si ha modo di distinguere bene se è da osteoporosi (fenomeno di solito dell’età avanzata) oppure da osteomalacia, per cui ad un certo punto il medico per completare la sua analisi doveva sapere quanti anni avevo. Vista la mia età non trovava tanto una spiegazione e sulla ricetta non scrisse “osteoporosi” ma solo i termini tecnici (rarefazione.., etc.). Ahh, come mi sarei sentito sollevato se avessi saputo il tutto in quel momento!!

Non ero un vecchio di novant’anni e nemmeno una signora in menopausa. Una rapida ripassata della letteratura medica e il ricercatore non riuscì a trovare una spiegazione plausibile per quella demineralizzzione ossea che si vedeva dai miei esami. Il dilemma si sarebbe schiarito di lì a qualche anno. La celiachia monosimtomatica può presentarsi come demineralizzazione ossea. Mazure, un ricercatore dell’ospedale di Buenos Aires, scriveva nel 1994: “I dati da noi raccolti forniscono la prova incontestabile che la rarefazione ossea avviene in celiaci asintomatici prima che ogni altro sintomo diventi evidente. Poiché la diagnosi precoce e l’adozione del regime senza glutine sono di fondamentale importanza per evitare ulteriore deterioramento della struttura ossea, i pazienti con problemi di demineralizzazione dovrebbero essere indirizzati subito alle specifiche indagini celiache”. Bojkovic [2003] presenta il caso di una 23enne che si presenta con osteomalacia (difetto di mineralizzazione ossea) e osteoporosi secondaria (rarefazione per aumentata lisi ossea), e alla fine si scopre che queste situazioni sono state determinate da una celiachia non riconosciuta per molto tempo.

Apriamo anche la parentesi degli anziani, mi risulta che anche i loro problemi alle ossa dovrebbero sollecitare le indagini per la celiachia: Monti [1996] riporta la sofferenza per 5 anni da osteomalacia in una 70enne, tanto grave che i dolori ormai rispondono solo ai narcotici. Grazie anche alle altre caratteristiche cliniche richiamanti una celiachia classica, perdita di peso, anemia, debolezza, si arriva alla diagnosi di celiachia e la sospensione del glutine porta un miglioramento generale, situazione alle ossa compresa.

Dorst [1998] ricostruisce la storia di diffusi dolori alle ossa per 20 anni in una 67enne che durante i suoi numerosi ricoveri in ospedale aveva ricevuto come diagnosi “anemia ferropenica”, “osteoporosi” e “iperparatiroidismo”. Nonostante tutti i precedenti tentativi di trattamento, somministrazione di vitamina D3, calcio, fluoruri, ferro, la condizione della paziente era deteriorata ad un tale livello che aveva costantemente bisogno di supporto medico. Ad un certo punto viene finalmente identificato il morbo celiaco (anticorpi celiaci e atrofia dei villi intestinali). L’adozione del regime senza glutine porta ad un miglioramento dello stato della signora entro 3 mesi, i problemi si sono ridotti a l’autonomia della paziente è aumentata.

Una 60enne visitata per osteoporosi era rimasta a lungo un enigma nonostante numerose indagini e i soliti tentativi terapeutici. Alla fine ci si indirizza alla diagnosi di celiachia che viene confermata e che clinicamente è caratterizzata da dolori addominali e perdita di peso [Scharla 2003].

Hepner [1978] descrive una 54enne con steatorrea (“feci unte”) e osteomalacia, si tratta in realtà di una paziente celiaca che aveva ripreso a consumare il glutine. Le viene chiesto di sospendere di nuovo il glutine e così facendo prima si risolve la steatorrea e poi l’osteomalacia.

Il controllo della celiachia viene consigliato nelle donne in post-menopausa (particolarmente a rischio per l’osteoporosi) perché la rimozione del glutine apporta anche a loro un miglioramento della densità ossea, perché nessun altro possibile intervento determina un risultato così marcato e perché il sovrapporsi di fattori di rischio in questa fascia di età può essere particolarmente deleterio [Bai 1997, Kemppainen 1999, Sategna-Guidetti 2000, Chiechi 2002].

Ci sono due cose da ricordare sull’infanzia:

  1. Che una crisi celiaca classica nell’infanzia non è un segnalibri da buttare nel cestino, prima o poi ritorna in forme insidiosissime e presenta il conto nell’età adulta. Cellier [2000] effettua un monitoraggio di individui che avevano ricevuto la diagnosi di celiachia nell’infanzia ma che poi erano tornati ad una dieta con il glutine incoraggiati dall’assenza di reazioni immediate. In un terzo di questi pazienti Cellier individua un elevato livello di osteopenia. Da cui se ne deduce, conclude Cellier, che questi pazienti non dovrebbero pensare di essere guariti dalla celiachia anche se non hanno sintomi intestinali quando consumano il glutine, è necessario sia un controllo continuo a lungo termine e sia che il medico faccia tutti i controlli adeguati per evidenziare i problemi in corso e in modo da far loro riprendere il regime senza glutine.

  2. Che sintomi di anomala formazione ossea o rachitismo nell’infanzia sono essi stessi una più che probabile manifestazione di celiachia [Pelikan 1967, Thalayasingam 1985, Stenhammar 1985, Khuffash 1987, Vanderpas 1987, Pratico 1995, Rawashdeh 1996, Thapa 1999, Cimaz 2000, Mohindra 2001].

Abbiamo parlato dei giovani, dei giovanissimi e degli anziani; passiamo ai pazienti nel terzo decennio di vita: Jerosch [1990] segnala un caso di celiachia che si presenta nella forma di una signora 36enne con dolori inguinali bilaterali. I raggi X rivelano uno stato avanzato di osteoporosi nell’area dei dolori. Alla fine si indaga la celiachia e il responso è positivo, per cui gli autori invitano a valutare questa possibilità in caso di pazienti giovani con osteomalacia.

La celiachia è una possibile causa di forti alterazioni metaboliche alle ossa che si presentano anche con gravi stati di disabilità. Lovric-Bencic [1996] presenta le osservazioni su una 41enne in cui la diagnosi di celiachia e la sospensione del glutine apportarono un miglioramento tale che la paziente fu di nuovo in grado di muoversi indipendemente e fu registrato anche un miglioramento dello stato di mineralizzazione delle ossa.

Il ricercatore italiano Lupattelli [1994] scrive: “In questa pubblicazione presentiamo un grave caso di osteomalacia secondario alla celiachia: vengono da noi sottolineate le caratteristiche cliniche di questa celiachi atipica in cui sintomi gastrointestinali erano assenti. Si tratta di una 31enne in cui l’osteomalacia ha portato a deformazione scheletrica con fratture spontanee, la donna ha una notevole ipo-fosforemia, una tendenza a bassi livelli di calcio sierico e anemia. La paziente è anche in uno stato di depressione. Dopo avere indagato tutta una serie di possibili fattori si arriva alla diagnosi di celiachia. Viene prescritto un regime senza glutine che in un mese le apporta uno straordinario miglioramento”. Il ricercatore di Perugia conclude rimarcando che la gravità di questo caso era stata causata dal notevole ritardo della diagnosi e che sintomi scheletrali sono presenti in all’incirca il 30% delle forme atipiche di celiachia.

La densità di mineralizzazione ossea è sistematicamente ridotta in celiaci con la celiachia appena diagnosticata. Questo è un motivo pressante, che si va ad aggiugere ad altri potenziali effetti secondari dell’intolleranza al glutine, per instaurare subito un regime senza glutine. Si consiglia di fare sempre una valutazione iniziale dello stato di mineralizzazione ossea nei celiaci appena diagnosticata e di monitorarla fino a che non si sia normalizzata [Kalayci 2001]. In questo studio, conclude il ricercatore, è stato dimostrato che un anno di regime senza glutine è sufficiente nei pazienti celiaci per migliorare la situazione di osteopenia ma non per normalizzarla completamente. Per cui può essere necessario un periodo di monitoraggio più lungo di un anno.

Il meccanismo. Nuti [2001], che osserva in 53 pazienti su 255 con osteoporosi identifica anticorpi celiaci nel sangue, sottolinea che i pazienti con celiachia non diagnosticata sviluppano anomalìe al processo di mineralizzazione delle ossa dovute a vari fenomeni secondari all’interferenza del glutine, il malassorbimento di calcio, l’iper- paratiroidismo e la carenza di vitamina D. Il periodo che si rimane a regime senza glutine è proporzionale al livello di normalizzazione che si ottiene per tutti i parametri di mineralizzazione ossea.

Il grado di assorbimento del calcio è notevolmente ridotto nella celiachia e migliora solo dopo che si è sospeso il glutine. I livelli di ormoni sierici paratiroidei si normalizzano con la sospensione del glutine, stabilizzando così il processo di formazione ossea. I livelli di vitamina D carenti anch’essi si normalizzano. Nella celiachia sono ridotti anche i livelli di osteocalcina e di peptide carbossilterminale del procollagene tipo I, cioè due parametri coinvolti nella corretta sintesi ossea, ma anch’essi si normalizzano a dieta senza glutine. Con la sospensione del glutine migliorano i valori degli indici di formazione ossea e di assorbimento osseo, BALP, PINP, e N-Telopeptide-x (rilevanti sia per l’osteomalacia che l’osteopenia). Il livello di IGF-1 (Insulin Grow Factor) nel celiaco che consuma glutine è ridotto, si normalizza solo con la sospensione del glutine.

Tutti gli studi riportano che con la dieta senza glutine rientrano nella norma il contenuto minerale delle ossa, l’area delle ossa e la densità ossea, anche se per arrivare ad una perfetta normalizzazione bisogna aspettare qualche anno e soprattutto non posticipare troppo tardi nell’età l’intervento senza glutine.

Conclusioni. Per non prendere troppo spazio ho dovuto terminare bruscamente la rassegna della letteratura medica (considerato che sul comodino vicino al letto ho circa cinquanta pagine di studi che dimostrano le patologie ossee dovute al consumo di glutine nel celiaco asintomatico). Essendomi trovato al bivio se fare del mio libro un’opera in cui includere con la massima completezza e dettaglio tutte le dissertazioni da me raccolte, e quindi chilometrica, oppure un’opera in cui io faccio un grandissimo lavoro di sintesi e riesco così ad offrire al lettore la massima panoramica possibile senza dovergli dare da leggere un paio di enciclopedie, scelgo (anche per i prossimi argomenti) la seconda opzione, al lettore interessato rimarrà una lista di riferimenti bibliografici per approfondimenti. Se vi trovate nella biblioteca universitaria o su internet (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/entrez/query.fcgi), potete ottenere il sommario o l’articolo (che vi interessa) completo in lingua originale digitando nome dell’autore e anno:

Arnala [2001], Bai [1997], Barera [2004], Barnes [2002], Bode [1991], Caraceni [1988], Carbone [2003], Caramaschi [2001], Carvalho [2003], Cellier [2000], Chiechi [2002], Ciacci [1995 e 1997], Cimaz [2000], Corazza [1997], Corazza [1995], Corazza [1996], De Lorenzo [1999], Di Sario [1994], Di Stefano [1999 e 2000], Exner [1978], Fickling [2001], Garcia-Porrua [2000], Grzenda-Adamek [2003], Kavak [2003], Karkoszka [2000], Kemppainen [1999], Khuffash [1987], Lamb [2002], Leiva [1996], Lemieux [2001], Lindh [1992], Mautalen [1997], McFarlane [1996], McFarlane [1995], Meyer [2001], Mohindra [2001], Molteni [1990 e 1995], Mora [1993, 1999 e 2001], Mustalahti [1999], Nelson [1973], Pazianas [2004], Pelikan [1967], Pistorius [1995], Rawashdeh [1996], Sategna-Guidetti [2000], Scotta [1997], Sdepanian [2003], Selby [1999], Shaker [1997], Stenhammar [1985], Szathmari [2001 & 1997], Thapa [1999], Thalayasingam [1985], Valdimarsson [1994], Valdimarsson [1996], van den Bosch [1996], Vasquez [2000], Vogelsang [2000], Walters [1995], Wong [2002], Gokhale [2003].

L’incidenza di demineralizzazione nella nostra società ci dà l’idea esatta di una società che sfrutta il glutine, le farine, i cibi raffinati, etc. livello intestinale l’organismo dispone delle massime capacità di mobilitazione delle energie compensative (e attinge a piene mani alle risorse straordinarie) per cui, pur rimanendo “normale”, il dramma si svolge progressivamente e in silenzio in organi e tessuti periferici (per approfondimenti vedi mal di glutine.doc).

I campi di disturbo si sommano

Nell’esempio della bimba di 9 anni [Katsanuma 1990] che con l’amalgama inizia ad accusare una glicogenosi di tipo VII (l’esercizio fisico è accompagnato da reazioni allergiche, asma fino a shock anafilattico), l’enzima glucosidasi è collassato, di chi è colpa? Del fatto che nel patrimonio genetico di questa ragazza il collasso era prevedibile? Del fatto che il mercurio gli ha dato la mazzata finale? Del fatto che quando fa esercizio fisico dopo mangiato le reazioni post-esercizio fisico sono particolarmente intense?

La ragazza toglie l’amalgama e guarisce: può fare esercizio fisico senza avere reazioni di nessun tipo [Katsanuma 1998]. Il vaso è fatto di questa predisposizione genetica al collasso dell’enzima specifico. Ma prima di mettere l’amalgama né l’esercizio fisico, né il mangiare prima dell’esercizio fisico riescono a riempire il vaso tale da provocare la sindrome. Solo quando il vaso si riempie con l’amalgama, questo campo di disturbo di notevole entità fa scattare la problematica.

Il fatto che l’amalgama non crea lo stesso in tutte le persone è incompatibile con il fatto che in questa bimba il mercurio nel sistema era (invisibilmente) il campo di disturbo primario che sosteneva e mediava reazioni anafilattiche post-esercizio fisico? Evidentemente il riempimento del vaso da parte dell’amalgama era fondamentale per il manifestarsi dei sintomi che si verificano in misura della somma di una serie di contributi stressori.

Man mano che il vaso si riempie, il livello di acqua raggiunge certe fessure che solo quel vaso ha, e altri vasi ne hanno altre diverse.

Un esempio che ci viene dalla scienza è quello in cui suscettibilità a certe malattie e insulti tossici si sommano per provocare la malattia. Pollard [2001] dimostra che il mercurio accumulato nei tessuti di un organismo ad un certo punto provocherà esacerbazioni di condizioni autoimmuni anche in assenza di geni suscettibili al mercurio. I topi del tipo BXSB sono di quelli che non hanno geni suscettibili al mercurio, ma hanno una combinazione di molecole MHC che porta ad una maggiore suscettibilità all’autoimmunità sistemica. Risultato: l’esposizione cronica a basse dosi di mercurio determina comunque un effetto decisivo nell’insorgenza dell’autoimmunità in questi topi [Pollard 2001].

Gli studi di Price, poco prima che egli partisse per studiare i popoli primitivi, avevano messo a confronto animali alimentati scorrettamente e animali alimentati correttamente e dimonstrarono che, esponendo entrambi allo stesso grado di infezione dentale, cronica o acuta, i secondi avevano una maggiore resistenza rispetto ai primi, che si traduceva in maggiore e problemi di salute di minore entità.

Ad un certo punto il concetto di campi di disturbo multipli che si sommano in un unico “terreno biologico” deve essere balenato a questo gigante che è Weston Price.

Egli ha fatto un esperimento unico nel suo genere. Ha sommato tre campi di disturbo, tali che ciascuno dei tre non provocava il collasso dello stato di salute, e neanche la somma di due di essi, ma tre insieme si.

Egli ha preso un coniglio-mamma dopo la gravidanza: primo stressore, che da solo non produce problemi.

Egli ha preso un coniglio che in passato aveva superato uno stress fisico pesante e lo ha seguito dopo la gravidanza: primo e secondo stressore che da soli non producono problemi.

Infine, egli ha preso in considerazione una certa esposizione a batteri devitalizzati tale che non faceva collassare né lo stato di salute del coniglio-mamma né lo stato di salute del coniglio che in passato aveva superato uno stress fisico pesante: questa dose però faceva precipitare lo stato di salute del coniglio esposto a tutti e tre gli eventi stressori, prima il trauma fisico pesante, poi la gravidanza, e quindi questa bassa dose di batteri dei denti devitalizzati.

Per inciso, i conigli pre-indeboliti in questione sono quelli che sviluppano una condizione di paralisi della prima vertebra da cui però recuperano e vivono una vita del tutto normale di lì in poi; come si fa a produrre questo coniglio con trauma fisico pregresso?Lo si vaccina. Una stimolazione antigenica nociva ma solo per breve tempo (iniezione di basse dosi di batteri) è uno stress dosabile in modo che nella stragrande maggioranza dei casi non si hanno quei danni permanenti che sarebbero prodotti da quantità maggiori di esposizione a temibili batteri.

E’ la somma che fa il totale, e in questa somma di elementi stressori, succede in realtà che ognuno osserva quello che lo interessa di più: Un signore a Milano, a proposito del cloruro di magnesio, mi dice tutto soddisfatto che lo sta prendendo da cinque anni tutti i giorni a fronte di mialgie diffuse che accusa; se passa una settimana senza prenderlo le mialgie ritornano e appena lo ingerisce queste si placano e poi scompaiono. Io non condivido tutto questo suo ottimismo: la forza motrice di queste mialgie sono le piombature metalliche (tossiche per corrosione e inalazione di mercurio vapore) che ha in bocca, gli faccio notare che io toglierei “la causa” e non mi accontenterei di questa strana situazione di pareggio (tossicità amalgama 1- magnesio 1). Nel caso specifico basta fare il test con apparecchiatura EAV (presso un bravo omeopata) per avere una conferma che l’amalgama sia la causa delle mialgie.

Oppure un ragazzo con problemi di artrite cronica che avendomi conosciuto inizia ad individuare le intolleranze alimentari allo scopo di prepararsi per fare la rimozione dell’amalgama; lo sento di nuovo a distanza (!) di tre anni e scopro che non ha ancora tolto il mercurio dentale. Mi dice che ormai ha capito che il problema è adottare una dieta stretta avendo individuato le sue intolleranze alimentari. Gli invio allora il documento che spiega che la presenza di mercurio e che contribuisce alle intolleranze alimentari, ed è allora che decide finalmente di togliere l’amalgama.

Mauro Novelli, medico di Viterbo, mi scrive della sua vicenda di vittima dell’amalgama: aveva ottenuto la risoluzione di molti sintomi con la rimozione dell’amalgama, tensione emotiva, stanchezza fisica profonda, disbiosi, mal di testa, poi… “Giugno 2003: metto un perno in titanio in una radice dentale e rivedo comparire l’ansia e i mal di testa di antica memoria e una dermatosi sul cuoio capelluto fronto-parietale omolaterale. Dopo una settimana la dentista deve ricredersi e sostituisce il perno in titanio con un lavoro senza metalli. L’ansia scompare immediatamente e la dermatosi se ne va via in 24 ore”. Un altro caso clinico in cui l’implantologia in titanio rappresentava un campo di disturbo sarà citato a pag.47 (Battistoni 1999).

“Vorrei raccontarti il caso di una paziente, che è molto emblematico sia per quanto concerne la tossicità da amalgame che per quel che riguarda le focalità. La sua storia: a circa 8 anni, data che corrisponde all’incirca alle sue prime amalgame in bocca, comincia a soffrire di forti cefalee a grappolo; il suo medico curante le prescrive la Novalgina; arriva a prenderne 40 gocce per volta e al bisogno, per cui arriva a farsi due bottigliette al giorno di novalgina tutti i giorni (me lo sono fatto ripetere dieci volte perché non ci credevo!!!). Questo fino a 25 anni, quando le hanno riscontrato una Artrite Reumatoide; allora ha cominciato a prendere antiinfiammatori e cortisonici; e per il mal di testa? Per quello ora prendeva degli antidolorifici: nimesulide e Voltfast, tre compresse per botta per tre volte al dì. A 28 anni finalmente un medico naturopata le fa sospendere l’antidolorifico e comincia a drenarla. Però lei così si tiene il suo mal di testa quotidiano. A 29 anni giunge nel nostro studio dentistico; test kinesiologico positivo, valori elettrochimici alti; sostituisce le amalgame; ora a distanza di qualche mese da quando ha cominciato il mal di testa l’ha solo una volta alla settimana e leggero (a dire il vero in corrispondenza dell’evento odontoiatrico). I dolori articolari sono molto diminuiti. L’altra settimana infine doveva togliere un molare, un 46, completamente necrotico ed irrimediabile; un dente da estrarre. Bene, è stato estratto e dalla sera alla mattina… la paziente ha riferito che i dolori alle ginocchia e sotto ai suoi piedi sono completamente cessati! Pensa che per questo dolore ai piedi era andata anche a farsi fare dei massaggi shiatzu; le avevano detto che si trattava del fegato e le facevano dei massaggi oltre a prendere dei rimedi, ma nulla. Poi da una sera alla mattina, tolto il dente e tutto va a posto! Io non le ho neppure chiesto nulla, è stata lei spontaneamente a raccontarmi di questa cosa!!!! Incredibile, anzi no, credibilissimo. Beh, è una bella soddisfazione, credi, lavorare in questo modo; ciao fratello, roberto”.

Intossicati da amalgama, attenti ai denti devitalizzati! Gli altri possono permetterseli, voi di meno (testimonianza fornita dal dottor Cupioli, Sant’Arcangelo di Romagna).

Alle prese nella vita con i piccoli rimbalzi di salute di turno, non ce n’è uno che sfuggirebbe alla soluzione se fossimo pronti a sgonfiare la somma degli elementi stressori in una qualsiasi delle sue componenti importanti.

Un altro esempio (di Antonietta):

“In famiglia siamo 4, io, Mauro e due figli, uno di 16 e l’altro di 6 anni. Il più grande, Riccardo, soffriva di mal di testa prolungati e insistenti. Nell’arco degli ultimi due anni gli ho fatto fare tutta una serie di analisi, compresi elettroencefalogramma, visita neurologica e lastre. Per fortuna niente, ma i mal di testa continuavano. Diagnosi: «Mal di testa congenito», di quelli che «se lo deve tene’». A maggio 2004 ho incontrato Lanfranco appena trasferitosi da Napoli città qui da noi all’Argentario. Dietro suo consiglio abbiamo fatto la prova: cloruro di magnesio e niente latte e latticini. Risultato? Mal di testa sparito d’incanto.

L’altro mio figlio, Daniele, appena prendeva il raffreddore degenerava in asma bronchiale e broncospasmo; di conseguenza antibiotici e cortisone, etc. Ho scoperto leggendo ora il manoscritto sul magnesio che il broncospasmo era dovuto a carenza di magnesio e infatti con la somministrazione di magnesio è un altro bambino. Nell’inverno 2003 e nei mesi prima del magnesio mi si ammalava con una frequenza di due volte al mese in media: ero disperata! La quantità di prodotti contenenti latte nella sua alimentazione si è ridotta e per il momento mi ritengo soddisfatta, anche perché almeno riesco a dargli il cloruro di magnesio regolarmente.

Io e mio marito con il cloruro di magnesio abbiamo riscontrato un’aumentata resistenza a raffreddori e mal di gola (pur essendo fumatori), digestione più facile, aumentata resistenza alla fatica, ci siamo “sgonfiati” senza diete, e sembra che il magnesio protegga il ginocchio di Mauro sensibile per il lavoro di meccanico ed ereditarietà (mio suocero ha le protesi a tutt’e due le ginocchia).

Insomma l’incontro e amicizia con Lanfranco mi hanno aperto la porta ad un mondo tutto nuovo: il magnesio, i problemi che dà il latte, la riduzione delle farine dall’alimentazione. Infatti sempre Riccardo, l’anno scorso, in primavera aveva avuto tonsillite con placche di pus in gola che l’avevano costretto a prendere 15 giorni antibiotici e cortisone. Ad ottobre, di nuovo, placche e mal di gola, stavolta però eravamo preparati: magnesio due volte al giorno, niente latticini e, mi dice Lanfranco, niente glutine. «Riccardo non è allergico al frumento», gli spiego io, «Ho capito» mi dice Lanfranco, «ma quando uno vuole superare certe situazioni, c’entra anche l’intestino, e lo si prepara meglio se si fa a meno anche del glutine». Aveva funzionato per la moglie di Lanfranco, per problemi ancora più grossi e ha funzionato anche per mio figlio, a Riccardo è sparito tutto facilmente e senza medicine!”.

A proposito di intolleranza a latte/latticini/formaggi, il dr Russell Bunai, pediatra di Washington, spiega: “Se mi fosse data una sola possibilità di cambiamento alimentare sui pazienti che mi si presentano, non avrei dubbi su quale produrrebbe il massimo beneficio per la salute: ELIMINARE i PRODOTTI CASEARI”. Il dr Michael Klaper in California gli fa eco: “Quando mi arrivano pazienti con artrite reumatoide o asma, il primissimo aggiustamento che faccio è quello di chiedere che smettano di consumare latte e derivati, e così facendo continuo ad essere stupito in ognuno di questi casi della rapidità con cui tanti sintomi vengano curati, con il solo espediente di rimuovere il latte pastorizzato di mucca dall’alimentazione”.

Ecco una testimonianza davvero illuminante (sul glutine):

36enne, che aveva avuto una prima gravidanza senza alcun tipo di problema, le condizioni erano state talmente buone che aveva potuto partorire in casa, ma quando inizia la sua seconda gravidanza ha appena subito un’intossicazione acuta da mercurio presso un dentista che le ha vaporizzato sette amalgami. Due minacce di aborto, alla fine del terzo mese uno scollamento della placenta di tre centimetri, una diagnosi di sospetta placenta previa, oltre che una costante spossatezza, capogiri, non si reggeva praticamente in piedi, passava gran parte del tempo a letto. A questo punto la donna legge che molti intossicati da amalgama devono sospendere il glutine e la caseina. Dopo una settimana di questa dieta (senza farine di cereali, senza latte e formaggi) “ebbi un momento di riflessione profonda davanti a quello di cui stavo facendo esperienza: Mi sentivo praticamente un’altra persona. Avevo scoperto l’alimentazione che cura! Avevo scoperto un supporto, come può essere quello usato dai saltatori dell’asta per proiettarsi nell’aria, che ti lancia in un’altra dimensione del vivere. Ero compiaciuta, sapevo che da allora in poi su questa cosa non avrei avuto nessun dubbio mai. Al sesto mese di gravidanza mi occupavo, da sola, delle faccende di casa e di mia figlia di poco più di due anni. Ricordo benissimo che potevo stare in piedi anche otto-nove ore al giorno senza avvertire alcuna stanchezza. Non mi ero mai sentita così prima, in tutta la mia vita. Dopo un mese dall’inizio della dieta mi era sparita anche la candida che persisteva dall’inizio della gravidanza. Inutile dire che scomparve qualsiasi tipo di disturbo e tutto andò a gonfie vele: anche mio figlio poté nascere in casa”.

E’ proprio vero che lanciamo il treno su percorsi impossibili, perennemente in “regime extra”, e che nonostante tutto le persone restano “normali” per un certo lasso della loro vita (trent’anni, cinquant’anni, …).

Quello che l’organismo fa è tagliare i fondi per programma genetici “straordinari”, e concentrare tali risorse per il lavoro intestinale che io gli do’ da fare, e per neutralizzare al meglio i sovraccarichi metabolici che questo tenore di vita gli procura.

L’organismo attinge alle risorse straordinarie, con il risultato di mantenere nella norma i parametri di difesa e la somma degli elementi stressori non supera un certo valore soglia in cui ci sono immediati sintomi eclatanti.

In tutta questa carriera, continuiamo a prendere strade in divieto di accesso perché non vediamo il segnale o, quando lo vediamo, perché ci sembra che non saremo puniti.

I periodi critici, come per es. il sovraccarico per l’allergico di pollini di graminacee a maggio, sono un’opportunità per individuare intolleranze alimentari che rimangono apparentemente asintomatiche nel resto dell’anno. La mia allergia primaverile ai pollini è diventata un’occasione per valutare con la pratica le mie intolleranze alimentari: infatti se non consumo prodotti a base di farine e formaggi non ho più alcun disturbo.

Una piccola intolleranza alimentare che ho è quella alle arance: se ne consumo nel periodo dei pollini il giorno stesso mi viene “a ciel sereno” qualche starnuto da fare. Se però consumo arance in un altro periodo dell’anno non mi accorgo di essere intollerante ad esse o mi accorgo di lievi interferenze ma solo se osservo bene. L’omeopata che mi ha testato con l’apparecchiatura EAV, senza che io gli avessi detto niente, mi ha segnalato questa mia intolleranza. Le arance sono ricche di fenoli ed io ho subìto per il momento un impoverimento del bagaglio enzimatico dell’enzima per la gestione dei fenoli, la P-S-Transferasi. Mentre per me questo problema è molto ridotto tanto che è quasi ridicolo parlarne, in bambini autistici limitare o sospendere i cibi ricchi di fenoli ha un nome, “la dieta Feingold”, e può mutare letteralmente il loro precedente comportamento incontrollabile.

Un altro momento critico è la vaporizzazione dell’amalgama (cioè l’approccio del dentista che toglie l’amalgama polverizzandola con il trapano). Un esempio:

da: “Francesca M.”,

Subject: Re: amalgama di mercurio;

Date: 18 Nov 2003

Lo scorso inverno ho deciso di far rimuovere le ultime sei otturazioni in amalgama. Purtroppo tre non sono state rimosse correttamente, ma sono state vaporizzate… Si figuri che non è stata utilizzata neanche la diga, con la conseguenza che ho ingerito un pezzetto di amalgama!!! E’ in quel periodo che è iniziata la vitiligine e, dopo un paio di mesi, ad inizio 2003, mi è stata poi diagnosticata una tiroidite cronica di origine autoimmunitaria ed un’asma bronchiale di eziologia sconosciuta.

Un’altra citazione in tema (: Melet J.J., « Le mercure des amalgames dentaires: Quels risques pour la santé et l’environnement? Quels enjeux financiers? », 190 pages):

Sandra F., fino all’età di 21 anni, conduce una vita normale, si diploma, prosegue gli studi, è molto attiva… Su consiglio di un suo dottore naturopata, fa rimuovere le sue 10 otturazioni in amalgama in quanto l’esame ha rivelato una correlazione con allergie e vari altri problemi non gravi. La rimozione viene effettuata senza alcuna precauzione. A questo punto la ragazza accusa nuovi sintomi, c’è uno stato di grande affaticamento, poi insorgono problemi di equilibrio che rendono difficile il camminare, poi segue una perdita della parola. Tre mesi dopo la vaporizzazione degli amalgami Sandra, costretta alla sedia a rotelle, non può nemmeno più sostenere la testa normalmente.

È evidente una volta di più che una rimozione degli amalgami senza adeguate misure di protezione può arrecare problemi seri o almeno un’ulteriore intossicazione a causa della notevole emissione di vapori di mercurio derivanti dal fresaggio dell’amalgama dentale.

E evidente la necessità che si risparmi ad una paziente già con uno stato di intossicazione anche l’esposizione acuta per la vaporizzazione dell’amalgama, e dunque che si adotti il protocollo di rimozione non protetta, per divulgare il quale è nata la nostra associazione A.D.O.M., di Salerno. Alcuni dei nostri iscritti solo togliendo l’amalgama in modo protetto, forse anche eliminando una o due intolleranze alimentari principali, sono guariti da sclerosi multipla, problemi cardiaci, colite ulcerosa, dermatiti, mal di testa, candida, etc. Altri di noi hanno avuto l’esperienza che l’intolleranza al glutine faceva la differenza: senza glutine sparivano gravi artriti reumatoidi, tiroiditi, etc. Io e altri, nell’ambito dell’associazione, abbiamo iniziato a capire l’intolleranza a latte e formaggi, che è epidemica.

Lo battezzeremo “protocollo A.D.O.M. per prepararsi alla rimozione protetta” dell’amalgama: gli iscritti, avendo programmato di rimuovere l’amalgama, toglievano i latticini (a cui erano intolleranti: primo stressore) e si rifornivano adeguatamente di magnesio (verso cui c’era una carenza: secondo stressore) e già si sentivano bene come non erano stati in anni. Il vaso era ancora pieno, ma avendone svuotata una piccola parte era diventato possibile muoverlo da una parte all’altra del tavolo senza produrre disagi. E si vedevano persone tanto soddisfatte dopo la sospensione di latticini e l’assunzione di cloruro di magnesio che a qualcuno era venuto il dubbio se ancora dovesse rimuovere l’amalgama (avevano recuperato uno stato di salute decente).

L’organismo è uno, i campi di disturbo si sommano.

Un esempio perfetto è quello di una 39enne che si rivolge all’associazione vittime dell’amalgama per sapere dove fare la rimozione protetta. Legge la documentazione sulla tossicità dell’amalgama e, volendo fare il meglio per preparare l’intestino alle manovre di rimozione amalgama, prima e durante il periodo di rimozione sospende il consumo di latticini, di glutine e con il magnesio cloruro segue le indicazioni del libro di Raul Vergini. Ha la leucemia T- LGL (caratterizzata da una diminuzione dei neutrofili che, invece di valori normali intorno a 2000/ul, crollano a livelli inferiori a 500). Da novembre 2002 a marzo 2003 toglie 5 otturazioni in amalgama, all’incirca una al mese. I neutrofili, alla rimozione della prima amalgama, da 400 che erano sono subito raddoppiati; alla rimozione della seconda amalgama sono saliti a 1100, e con la rimozione dell’ultima amalgama sono saliti a 1400. L’effetto della rimozione era immediato, ogni volta c’era il fenomeno dello sbalzo in su dei valori dei neutrofili e aggiunge la donna, “per la prima volta da anni ho passato indenne i mesi freddi dell’anno senza ammalarmi mai di infezioni di alcun tipo”. La sento di nuovo al telefono tre mesi dopo aver terminato la rimozione, mi dice che i valori dei neutrofili sono peggiorati, scendendo a 1100. Mi dice che ha ripreso a consumare glutine.

Le dò da leggere il manoscritto “mal di glutine.doc”, sospende di nuovo il glutine e dopo due mesi i valori dei suoi neutrofili hanno raggiunto quota 1600. Per nove anni aveva avuto la malattia e i neutrofili sotto i 500!

Un altro campo di disturbo era uno scheletrato nichel-cromo che le provocava continuo arrossamento alla gengiva e che periodicamente ogni 4-5 giorni doveva togliersi per ottenere sollievo.

Non ho (..) un manoscritto sul nichel-cromo, ma è evidente che a questa persona manca completamente il concetto di campi di disturbo che si sommano!

La signora all’inizio aveva capito: “l’amalgama causa la leucemia”, perché aveva letto dei casi del dr. Huggins che erano guariti, ma davanti al miglioramento per la sospensione del glutine o al miglioramento per l’eliminazione del nichel-cromo è rimasta un po’ esterefatta. Le sue vicende le hanno dato la possibilità di capire che era il riempimento o lo svuotamento del bagaglio “totale” di stressori multipli di varia entità che causava o guariva qualcosa. Se non si vede il terreno biologico che è uno, e gli stressori che sono multipli, si arriva facilmente a conclusioni incomplete, sbagliate e anche paradossali.

Per esempio se consideriamo l’arsenico, ci sono delle quantità minime in cui l’effetto velenoso non si vedrà’, e approfittando di ciò si fa accettare la procedura di somministrazioni quotidiane a suddette quantità minime.

Sono le capacità tampone dell’organismo a nascondere l’effetto delle piccole dosi, ma non per molto: l’acqua versata fuoriuscirà dal vaso quando ormai nessuno più riesce a vedere l’effetto causale di chi la ha versata.

Intanto molti arrivano a dirsi convinti letteralmente, che l’acqua non bagna. Per dimostrarlo fanno esperimenti scientifici per mostrare che le loro apparecchiature non rilevano che il tavolo si è bagnato, pur avendo versato acqua sul tavolo. Il trucco c’è ma non si vede: l’acqua finisce prima nel vaso. Se uno davvero è intimamente convinto che l’acqua non bagna, significa che non vede il vaso sul tavolo che trattiene l’acqua (fino ad un certo volume).

Male che vada potrà dire: “l’acqua bagna solo in quantità gigantesche, ma non per quello che ho versato finora”.

Un’altra citazione: il prof. Daunderer confronta due gruppi di pazienti con sclerosi multipla, quelli che ebbero solo l’amalgama rimossa in cui la percentuale di guarigione fu del 16% e quelli che ebbero l’amalgama rimossa e i denti devitalizzati estratti con pulizia dell’osso, e la percentuale di guarigione fu dell’ 86% (e chissà quale altro contributo di campo di disturbo ulteriore doveva essere scoperto nei casi più difficili).

Allora, è l’amalgama o le infezioni dell’osso mandibolare a causare la sclerosi multipla? Semplicemente, è la somma dei fattori di disturbo che inquinano il sistema venoso cranio-vertebrale a causarla.

E’ la somma che fa il totale. Nei casi più semplici, lo abbiamo visto, basta attingere ad uno qualsiasi dei suoi componenti per ottenere un sollievo parziale, più funzionalità, meno disturbi.

Abbiamo sottolineato a più riprese la fase di normalità e calma piatta a regime-extra (che altro non sarebbe che l’attingere risorse drenandole via dall’autonomia destinata a programmi genetici “straordinari”), ma è pur vero che ad un certo punto compare il disturbo ricorrente.

Protraendosi nei decenni il regime-extra, alla fine devono essere chiusi così tanti programmi di difesa e ci sono così tante cianfrusaglie e cose fuoriposto nell’organismo che la somma delle forzature alimentari (rispetto al regime di crociera) e degli altri stressori supera il valore soglia relativo ad alcuni disturbi. A questo punto l’omeopata individua le intolleranze alimentari o la tossicità dell’amalgama, e ciò ci ridà sollievo.

Un punto d’inciampo che né l’omeopata vede, né il dentista, né il paziente (per gli strumenti di indagine, vedi capitolo 3) è quello dei denti morenti.

La tappa in cui risulta compromessa l’irrorazione sanguigna dell’osso adiacente ai denti arriva inesorabile perché, anche senza scomodare i “progressi” ultimi dell’odontoiatria (l’uso del mercurio, la metodica delle devitalizzazioni, le estrazioni di denti infetti fatte male), uno stressore molto importante in questo discorso della degenerazione della salute dell’osso è quello dell’alimentazione sbagliata”.

Secondo uno studio su cadaveri effettuato da Graff Radford nel 1988, altissime diventano negli anziani le percentuali di cattiva efficacia dei sistemi sanguigni che nutrono mandibola e mascella, c’è una degenerazione delle arteriole all’interno dell’osso e addirittura è comune il fenomeno delle cavitazioni (questi buchi cavi di varie dimensioni disseminati lungo l’osso mandibolare).

L’osso adiacente ai denti (anche senza destare il minimo sospetto) diventa necrotico, marcio, e questa situazione, credetemi, erode altre risorse (vedi capitolo 2). L’organismo deve rinunciare sempre più ai meccanismi funzionali e dunque, come scrive Thomas Herms, “a quel punto, una delle terapie di base per curare un siffatto adulto per una certa malattia cronica, deve essere necessariamente la bonifica biologica del sistema odontoiatrico senza compromessi nei confronti di materiali metallici della peggior specie, focolai di necrosi ossea e cadaveri dentali. Il successo ottenuto con questo andamento alquanto rigoroso e marziale mi dà ragione. Se vogliamo far tornare il paziente in uno stato di regolazione, dargli la capacità di autoguarigione, dobbiamo scegliere la via di toglierne i pesi soffocanti dal suo sistema ecologico con la presenza dei quali uno sviluppo delle proprie forze positive ed orientate a garantire l’omeostasi non è possibile”.

Le difese dell’organismo, calcolata anche la somma degli elementi stressori, non sono più all’altezza di reggere quello che sta succedendo nell’osso.

Iprimo innesco (subclinico) di questa bomba ad orologeria dei denti devitalizzati è in corrispondenza del momento in cui i microorganismi patogeni nell’ambiente anaerobico e franco da difese all’interno del dente fanno una loro evoluzione in cui diventano sempre più piccoli e virulenti. Avendo questi costretto l’organismo ad un lavoro cronico di contenimento, il secondo innesco è il momento in cui lo sfinimento (del sistema di regolazione) o uno stress aggiuntivo fanno raggiungere il valore soglia sopra il quale scatta la malattia. Scriveva Price: “E’ a questo punto che un evento qualsiasi, una brutta influenza o un altro stress per il sistema immunitario fa scattare improvviso l’inizio della malattia degenerativa”.

Ad esempio Price menziona un paziente in cui una grave forma di reumatismo, risolta con l’estrazione di un dente devitalizzato, era insorta a seguito di un’esposizione forzata al maltempo. Il dente devitalizzato estratto da questa persona fu usato per produrre colture da inoculare a dei conigli, alcuni dei quali tenuti in gabbie al caldo e altri in gabbie al freddo. La dose (uguale per tutti i conigli) era stata mantenuta bassa in modo che non era stata sufficiente per innescare problemi nei conigli al caldo, mentre invece i conigli esposti al freddo svilupparono gravi lesioni reumatiche, che non apparivano senza l’iniezione dell’infezione dentale.

Se ne deduce che stress ambientali di varia natura si aggiungono allo stress da denti devitalizzati così che producono sintomi, quando la somma dei contributi da stressori multipli supera una certa soglia. Affrontare un solo elemento della somma, tra quelli più grossi, è sufficiente per far rientrare i sintomi.

Un altro esempio è quello di una famiglia con cinque sorelle che fecero da infermiere a loro padre durante una lunga malattia fino alla morte per anemia perniciosa. I problemi dell’uomo erano iniziati a partire dalla morte della moglie. Le ragazze emotivamente provate per la sofferenza del padre svilupparono tutte una qualche condizione reumatica: reumatismo (due di esse), una condizione cardiaca (due di esse), nevrite (una di esse). All’esame della bocca Price trovò denti devitalizzati coinvoltie la successiva estrazione apportò la guarigione dalle patologie di tutte e cinque.

Il messaggio è che lo stress emotivo aveva indebolito il loro sistema immunitario in modo tale che non poteva più far fronte ai batteri che si nascondevano nei denti.

Price vaccinava (iniettava) gli animali con le tossine ottenendone grande danno, oppure danno parziale, o danno appena percepibile. E così, alle osservazioni su centinaia e centinaia di pazienti si aggiunsero quelle su 5000 conigli e altri animali.

Un esempio è quello di una giovane con uno stato di salute sopra la media che divenne madre. Durante l’allattamento la 22enne sviluppò un grave reumatismo. Un paio di denti devitalizzati infetti furono rimossi e il reumatismo immediatamente migliorò fino a scomparire. L’impegno della gravidanza e dell’allattamento può far innescare infezioni in denti indeboliti o devitalizzati e il sistema immunitario delle neo-mamme è particolarmente suscettibile ai loro effetti a distanza, ha meno capacità di arginarle.

Nelle persone che soffrono un grave incidente d’auto, da caduta o altro trauma fisico grave, un picco di prestazione è richiesto al sistema immunitario per far recuperare in fretta. Le persone con cure canalari, dice Price, sono quelle che in questa situazione hanno tempi di recupero più lenti del previsto. L’evento del trauma fisico può rappresentare quella fase di depressione acuta del sistema immunitario che fa si che l’infezione fino ad allora silente derivante da un dente devitalizzato si manifesti apertamente e abbia campo libero.

I batteri che viaggiano attraverso il flusso sanguigno nel corpo hanno capacità insospettate di scoprire quale è il punto più debole da scegliere come propria residenza, il punto dove avviene l’attacco cruciale e insorge la patologia.

Quello che avviene è che nel punto più debole dell’organismo finirà per esserci un sovraccarico di assorbimento delle tossine prodotte dai batteri ed è lì che, quando le condizioni sono propizie per lo spostamento anche dei batteri, questi sentiranno il suono dell’adunata.

p.124, “Una 20enne aveva problemi mestruali tali che doveva passare a letto parecchi giorni in corrispondenza del ciclo. La sua salute fisica e mentale stava progressivamente deteriorando. L’anamnesi rivelò che cinque anni prima era stata colpita da una palla da golf all’ovaia sinistra. L’evento era stato di lieve entità, senza strascichi di sorta e il fastidio dell’urto era durato davvero poco.

Oltre alla condizione mestruale, la giovane soffriva di una condizione nervosa acuta che coinvolgeva la respirazione ed era seguita da insensibilità e da grave dolore alla parte posteriore del collo che peggiorava all’inizio dei cicli mestruali. Nella bocca c’era un dente devitalizzato (molare inferiore) che alla radiografia mostrava una larga infezione e due denti devitalizzati incisivi che sembravano invece impeccabili. Con la rimozione del molare la giovane migliorò notevolmente, ma dopo alcuni mesi la sua salute divenne compromessa di nuovo. Dopo la rimozione dei due denti devitalizzati frontali riguadagnò peso e i suoi disturbi fisici e mentali migliorarono nettamente. Colture derivate da questi due denti servirono per inoculare quattro conigli femmina e due conigli maschio. Le quattro conigliette svilupparono tutte infezione acuta alle ovaie e l’apparato riproduttivo; i conigli maschi rimasero in buona salute.

L’estrazione produsse un cambiamento così grande nello stato di salute della ragazza che la madre disse che ora era una persona del tutto nuova, diversa da prima sia mentalmente che fisicamente. Ovviamente non ci furono ricadute dei disturbi mestruali e relativi dolori”.

Uno studio condotto da Price in cinque ospedali rivelò che le persone che accusavano evoluzioni gravi post-influenzali erano quelle che avevano infezioni ai denti devitalizzati.

Anche gli esperimenti su conigli furono in grado di mostrare che una polmonite normale diventava una grave polmonite stafilococcica con conseguenze molto più pesanti se si aggiungeva lo stress da esposizione a stafilococchi da denti devitalizzati.

Molte delle persone osservate da Price avevano avuto denti devitalizzati per decenni senza manifestare problemi di salute; ad un certo punto, dopo un’influenza, il paziente stentava a riprendersi e poco dopo s’innescava la malattia cronico-degenerativa: l’influenza rappresentaval’occasione in cui la focalità del dente devitalizzato prendeva il sopravvento su un sistema immunitario esausto per un surplus di lavoro cronico e in un momento di depressione acuta.

Il momento critico dell’estrazione del dente marcio

Si sa che nel momento dell’estrazione di un dente infetto spesso ci vuole una copertura farmacologica perché la stessa infezione che ha coinvolto il dente quando questo viene estratto è messa in circolo in gran quantità nel sangue.

Questo discorso è noto anche a chi ha estratto un dente devitalizzato coinvolto, o peggio ancora un osso particolarmente marcio. Tanto più ciò accade perché il dentista informato non può lasciare l’infezione sull’osso o sul legamento, quindi per il bene futuro del paziente deve raschiare l’alveolo al meglio che può e anche l’osso coinvolto su cui si è insediata l’infezione (vedi il protocollo nel capitolo 3).

Ci sono ricadute dei sintomi con fasi acute, febbri, etc. Questo disagio, un rimbalzo negativo dovuto al fatto che una dose acuta di tossicità viene riversata nel sangue, dura in modo intenso anche 10 giorni (poi si attenua progressivamente fino alla terza-quarta settimana).

Per anni silenziosamente l’organismo ha cercato di ridurre i danni e sopportare il dente devitalizzato in putrefazione operando un sistema di contenimento intorno ad esso, quindi mano mano che dalla mandibola ci avviciniamo al dente incriminato ci saranno degli strati sempre più concentrati di proteine e bioeteri tossici prodotti dal metabolismo dei microrganismi dell’infezione all’interno del dente o sull’osteite.

Vedete bene che questo è proprio il sito che il dentista deve andare a raschiare dopo l’estrazione del dente, e considerate che parte di questa tossicità sarà messa in circolo dovendo estrarre i denti devitalizzati coinvolti.

Sul rimbalzo negativo che ci sarà vi abbiamo avvertito, ma può essere limitato con un po’ di accorgimenti “naturali”.

Il cloruro di magnesio viene usato letteralmente al posto dell’antibiotico. L’infezione ha vita facile quando si è raggiunto un livello di impoverimento di magnesio nelle cellule fagocitanti [McCoy 1987]. Da Delbet a Durlach tanti hanno effettuato studi che dimostrano ineguagliabili aumenti delle difese immunitarie cellulari che derivano dalla somministrazione di cloruro di magnesio. Il meccanismo coinvolto in queste guarigioni è un’esaltazione, magnesio-dipendente, della chimica dei macrofagi [Kubena 1989 e 1990]. Questo potere antibiotico è stato confermato da studi veterinari di Kuck, Delbet, Neveu, Favier, Stankiewicz, Nicholson. [1968] lo ha usato con ottimi risultati nelle tonsilliti e nelle faringiti, nella raucedine, nel raffreddore comune, nell’influenza, nelle bronchiti, nelle broncopolmoniti, nelle malattie “dei bambini”. I risultati spettacolari del cloruro di magnesio in malattie terribili come la difterite e la poliomielite furono replicati a metà secolo ventesimo da numerosi autori: praticamente si otteneva il 100% di guarigioni senza lasciare alcuno dei danni tipici di quelle malattie infettive (se il trattamento con cloruro di magnesio veniva iniziato tempestivamente).

Citiamo Raul Vergini [1994]: “Nell’influenza i risultati del cloruro di magnesio sono spettacolari; ho seguito numerosi casi perfettamente guariti in 12, 24 o 48 ore senza utilizzare nessun altra terapia”.

Scrive Cristea [2003]: “Due pazienti con brividi, febbre, mal di testa, dolori articolari e tachicardia, VES alterata, erano stati trattati inutilmente con antibiotici per risolvere la possibile causa identificata nella positività alla Borrelia. Avendo identificato in entrambi uno stato di carenza di magnesio, fu iniziata la somministrazione di magnesio che in entrambi portò ad un immediato beneficio clinico che si mantenne nel tempo con la somministrazione di magnesio, l’esame rilevò la negativizzazione della presenza di Borrelia e la VES e gli altri valori di laboratorio precedentemente alterati si normalizzarono. Ne concludiamo che l’uso di supplementi di magnesio abbia rappresentato un fattore immunostimolante, ovvero che la carenza di magnesio precedentemente rappresentava la causa di una ridotta risposta immunitaria alla Borrelia”.

Vale la pena di dire, a favore di chi vuole rifornirsi di minerali per combattere l’infezione in modo naturale, che per milioni di anni le praterie degli oceani hanno elargito con generosità un super-concentrato di nutrienti colloidali, nella forma di alghe (hiziki, dulse, arame, wakame, etc, ..). Spenderò una parola sulle alghe hiziki che, messe a rinvenire 15 minuti in acqua diventano non solo un contorno appetitoso per qualsiasi piatto (anche per zucchine, zucca, fagiolini, cipolle, carote, etc…), ma un dessert (io le prendo alla fine, dopo la frutta!).

Per le febbri funzionano come il cloruro di magnesio: riforniscono di minerali i macrofagi esauriti dal protrarsi della situazione infettiva e favoriscono il rafforzamento delle ghiandole surrenali e l’equilibrio del sistema endocrino tutto.

Alcuni pazienti che rimuovono denti devitalizzati marci hanno delle febbri alte che non scomparirebbero nemmeno con la tachipirina.

Perché queste febbri scompaiono invece quando fanno qualche giorno di digiuno o almeno un’alimentazione esclusivamente di cibi semplici e ricchi, cioè alghe (minerali), verdure cotte o crude e frutta (vitamine)? Non è più solo una questione di contenuto minerale, ma anche di semplicità.

La resistenza ai virus si riduce a causa di sovraccarichi metabolici e tossici pertinenti al sangue.

Alcune osservazioni e ricerche di una settantina di anni fa misero in risalto che l’attecchimento e i casi gravi di poliovirus nell’uomo erano un fatto metabolico: laddove farinacei e zucchero bianco abbondavano, lì c’erano casi di attacchi gravi del polio, ma non nella popolazione che non si abbandonava ad eccessi alimentari in tal senso [Zia 1930, Sandler 1938, McCormick 1941].

Sandler [1941] sapeva cosa cercare e volle dimostrare scientificamente che il controllo insulinico nel sangue costituiva una barriera contro l’attecchimento del poliovirus. Il ricercatore di Toronto ì il controllo glicemico dei conigli con iniezioni di insulina e trovò che in corrispondenza di valori subnormali di glicemia i conigli sviluppavano l’infezione e la malattia. Fino ad allora nessun tentativo di far attecchire il poliovirus era mai riuscito in conigli (che notoriamente mantengono sempre la glicemia sopra i 100 mg/l, mentre i soli animali che potevano contrarre la polio con l’inoculazione sperimentale del virus erano le scimmie (i cui livelli possono facilmente scendere sotto i 50 mg/l.

I conigli sono anche resistenti ad inoculazioni del virus del cimurro dei cani. Uno dei più importanti centri di ricerca del mondo stava conducendo esperimenti proprio su questo negli anni ’40. Sandler informò i suoi colleghi ricercatori dei suoi risultati e li invitò ad inoculare il virus del cimurro nei conigli dopo aver abbassato il glucosio del sangue con insulina. Così essi fecero e per la prima volta al mondo un coniglio sviluppò la malattia del cimurro canino.

Sandler scrive: “I casi di infezioni che progrediscono rapidamente fino a paralisi completa e morte sono quelli in cui c’era stato un abbassamento notevole e prolungato dei livelli di glucosio del sangue. I casi in cui l’animale invece si è ripreso dall’infezione sono stati quelli in cui un abbassamento moderato di glucosio del sangue aveva avuto una breve durata e così solo piccole quantità del virus avevano raggiunto il sistema nervoso centrale, causando una qualche infiammazione ma non la paralisi. In questi casi abortiti l’organismo poté ripristinare i normali livelli di glucosio velocemente così da prevenire una invasione significativa del virus e quindi anche danni alle cellule del sistema nervoso”. Ecco la risposta del Dr. Sandler al dilemma della contaminazione e dei casi gravi invece che lievi.

Il virus non è niente, il terreno biologico è tutto(la tesi di Béchamp, che si narra il suo acerrimo rivale ideologico Pasteur avrebbe accettato in punto di morte).

Il fattore specifico che qui chiamiamo in causa è la “resistenza insulinica”, ovvero il bagaglio residuo di autonomia di fronte a regimi alimentari creati dal Neolitico in poi (con farine, eccessi di zucchero bianco, cereali, …).

Il sangue normalmente è una barriera, un livello di difesa. Poi la somma degli elementi stressori sul controllo glicemico (alimentazione sbagliata, tossicità, infezione acuta, mercurio, raschiamento osseo, …) aumenta fino al valore soglia in cui il sangue traghetta i virus in giro.

Anche qui, più che un solo possibile fattore causale, è decisiva la somma degli elementi stressori. Nell’equazione compaiono: gli impegni metabolici dell’organismo (scegliere un’alimentazione semplice o anche solo succhi di vegetali), i sovraccarichi metabolici dell’organismo (le intolleranze alimentari), le risorse ordinarie metaboliche e di difesa dell’organismo, la tossicità circolante e accumulata (in termini di metalli e sostanze xenoiotiche), il bagaglio di risorse straordinarie per mantenere nella norma i parametri di difesa, il grado di mineralizzazione necessario per un efficace confronto contro l’infezione acuta e cronica.

Anche nelle situazioni acute (come appunto il raschiamento di un osso o periodonto pieni di tossine), possiamo sempre tentare di favorire l’organismo nel suo tentativo di mantenere certi parametri di difesa della salute irrinunciabili.

I concetti che dobbiamo prendere in prestito sono quelli del “regime di crociera” per cui la macchina organismo umano è stata concepita, e in cui ha vissuto per circa 3 milioni di anni su questo pianeta.

Il riferimento è all’ampia letteratura medica dell’Igiene Naturale (vedi H. Shelton, A. Mosseri, JH. Tilden, …), che poi è un insieme di ragionamenti sui sistemi enzimatici e come non abusarne. Per approfondimenti vedi: www.soilandhealth.org (in inglese).

Tutti quelli che agiscono di conseguenza (o che migliorano almeno temporaneamente l’intestino) riescono a venirne fuori se antibiotici (nel 99.9% dei casi, riporta Miclavez [1999]), e limitando il disagio del peggioramento dei sintomi: ognuno deve valutare su sé stesso se, per i giorni in cui c’è tossicità di origine dentale in circolo, deve ricorrere al digiuno o a misure intermedie quali l’alimentazione senza farine o senza cereali e carni, o anche i cereali si ma solo nella forma di germogli di chicchi integrali, etc.

Ma prendete uno che si sia preparato bene all’estrazione del dente e che ad un certo punto nei giorni successivi provi a introdurre il glutine o i formaggi: la febbre e un’intensificazione acuta del malessere tornano perché l’organismo in quel momento è in una fase davvero impegnativa davanti alla tossicità circolante. Quest’uomo aveva avuto un’intolleranza ai formaggi o altro anche prima, ma con un prezzo da pagare minimo perché l’organismo accettava senza lamentarsi di spendere le sue risorse per “normalizzare”.

I bambini e le trame delle malattie che si ripetono sempre

La storia inizia nei nove mesi di vita fetale con il DNA umano che rivive in ordine cronologico le varie tappe di organizzazione cellulare raggiunte con l’evoluzione.

Intanto però l’esposizione del feto al mercurio dentale materno mette vari tessuti specializzati (astrociti, etc.) in uno stato di pre-sensibilizzazione al mercurio, che ha una rilevanza per i successivi incontri-confronti con la tossina [Montinari 2001]. L’accumulo preferenziale del mercurio dentale materno nel feto è stato ripetutamente dimostrato: si raggiungono livelli quattro volte superiori a quelli riscontrati nella madre. Ciò contribuisce a proteggere la madre, ma aumenta il rischio di intossicazione da mercurio congenita. A Minamata, in Giappone, è stato notato che donne relativamente asintomatiche e con livelli di mercurio entro i range normali durante la gravidanza, partorivano bambini soggetti a sviluppare disabilità cerebrali a causa dell’intossicazione da mercurio” [Godfrey 1990]. Drasch [1994] effettua studi di autopsia e ne conclude che è il caso di riconsiderare l’uso di mercurio dentale nelle donne per tutta l’età fertile.

Quel che è fatto è fatto, proseguiamo con la vita fuori dal grembo: nei primi anni di vita l’organismo ripassa e rafforza le strutture appena espresse dal DNA: la mielina viene mielinizzata, la mucosa intestinale viene solfatata, l’osso viene mineralizzato, le cellule immunitarie trovano la loro funzione e i loro equilibri, etc.

Relativamente alle cellule immuno-competenti, quel che il DNA ha in mente è di formare un esercito con una gran ricchezza qualitativa e quantitativa di determinanti di membrana pronto ad attirare in modo preferenziale gli intrusi ed, in ultima analisi, a difendere i fenotipi della membrana nucleare, delle vescicole lisosomiali e della parete del reticolo endoplasmatico.

Intanto le carenze della madre sono diventate le carenze del figlio. Inoltre lo svezzamento anticipato, dopo i vari sovraccarichi metabolici delle intolleranze alimentari della madre, è fonte di non pochi pensieri per il piccolo.

Ad agosto 2004 è nato il mio Principino, Saverio. quindici giorni di vita iniziarono per Saverio le famose “colichette”; tanto normali credo non lo fossero, per me ed il papà è stata una cosa straziante, eravamo disperati nel vedere il nostro piccolo contrarsi e diventare addirittura cianotico dal dolore. Messe da parte le goccine consigliate dal pediatra, la cui funzione dovrebbe essere quella di calmare i dolori del neonato (mio figlio, ahimé, non smetteva di piangere), ho consultato una voce alternativa in questo campo. Stavo allattando, evidentemente in quel momento Saverio aveva bisogno che migliorasse la qualità del latte e per questo era necessario che io dessi un’occhiata alle mie intolleranze alimentari e alle sue. Le contromisure con cui affrontai le colichette di Saverio furono 1. che io iniziai a prendere cloruro di magnesio e, 2. che eliminai dalla mia alimentazione ogni sorta di cereale contenente glutine, mangiando prevalentemente ortaggi e frutta. E dopo due giorni mio figlio aveva smesso di piangere per i mal di pancia, e per la prima volta dormiva per sei/sette ore di filato la notte e cresceva bello e sereno come il sole.

Ovviamente, per i problemi legati alla loro tossicità, non faremo le vaccinazioni. Il cloruro di magnesio mi sembra un modo più naturale, intelligente, informato di far crescere un corpo e una mente sana.

Le vaccinazioni spingono l’organismo verso un rilascio di citochine infiammatorie e un eccessivo generalizzato utilizzo di effettori Th2 (cioè allergie e tendenza ad autoimmunità). Questo fenomeno lo possiamo vedere anche nelle cavie di laboratorio: con le vaccinazioni sale il livello di allergie. Numerosi dati sono disponibili che mostrano che rinite allergica, asma bronchiale allergico, dermatite atopica, rappresentano il risultato di uno stato eccessivo Th2, con risposta nei confronti di antigeni ambientali altrimenti innocui. Le vaccinazioni spostano l’equilibrio Th1/ Th2 (rispettivamente il braccio e la mente del sistema immunitario) verso la predominanza di Th2. Con la vaccinazione si tira per il collo una parte immunitaria, tale che pavimenta la strada per un organismo con allergie [Muhlemann 1996, Reizis 1987, Goldman 1966]. Durante più di un secolo è stata nota questa correlazione [Petov 1930, Kong 1953, Jocquelin 1955, Hopper 1961, Bakanov 1968, Hannik 1969, Oricchio 1971, Delarue 1972, Fischmeister 1974, Schreurs 1980, Steinman 1982, Lohiya 1987, Yamane 1988, Aggerbeck 1995, Naito 1995, Mark 1995, Dannemann 1996, etc.]. Questo fenomeno patologico non è nemmeno più in questione, gli scienziati delle varie università ora lo discutono alla luce del sole, Martinez [1997], Blumberg [1991], Dankova [1993] e tanti altri si chiedono: cosa si può fare e pensare per avere vaccinazioni che non squilibrino il sistema immunitario?

Per parlare di attivazione autoimmune (malattie inguaribili) di solito si devono attendere i tempi per l’attivazione dell’HLA. Il meccanismo di questo è spiegato da Marichal [1990]: la fase di immunosoppressione precede sempre la fase di innesco dell’autoimmunità. E’ possibile spiegare questo con una metafora. Nel caso di una città fortificata con 20 porte nelle mura, prima il nemico era stato tenuto a distanza, molto fuori città; poi l’imponenza e il reiterarsi degli assalti conducono ad un assedio ed infine il controllo delle mura diventa carente, per esempio la maggior parte delle porte rimangono incustodite. Allora la difesa viene affidata principalmente all’opera della polizia municipale all’interno delle mura. Ma questa polizia in città, che ora controlla le carte d’identità dei passanti, diventa così oberata di lavoro, influenzata o ingannata da forestieri, che impazzisce e non riconosce più neanche le carte d’identità dei propri cittadini (AUTO-ANTICORPI!). In una situazione normale (le porte della città ben presidiate), le forze di polizia municipale (l’HLA della nostra metafora) adempiono a ben altri e più tranquilli compiti, cioè la presentazione dei peptidi alle cellule immunocompetenti o, rimanendo nella nostra metafora, dirigono il traffico e sono uno strumento cui la pubblica amministrazione affida compiti anche burocratici.

La ricchezza qualitativa e quantitativa di determinanti di membrana del sistema immunitario può essere sinteticamente rappresentata come segue. Le cellule più semplici faranno nel nostro organismo il lavoro di primo livello con gli intrusi neutralizzandoli se non particolarmente aggressivi e non presenti in quantità eccessiva: a questo livello, difesa e digestione si confondono nella stessa nozione-funzione di fagocitosi, come avviene negli esseri unicellulari. In caso che sia richiesto un impegno più consistente, l’aggressore entrerà in contatto con cellule maggiormente specializzate, i linfociti T, i linfociti B e le cellule da essi prodotte (immunoglobuline, etc.). I linfociti T (comparsi per la prima volta con gli invertebrati) sono la nostra cavalleria, hanno azione “citotossica” verso gli intrusi. I linfociti B (comparsi nei vertebrati) sono dei veri e propri luogotenenti ognuno dei quali dispone di artiglieria o arcieri: sono capaci di combattere l’avversario a distanza. Cellule specializzate inglobate da fette di tessuti, con compito di riconoscimento e smistamento immunitario, si formano in tutto il corpo (per es. la glia).

Nel bimbo piccolo, fino a quando alcune cellule non si siano specializzate e alcune strutture affinate, l’immunità è affidata completamente alle difese di primo livello, es. i suoi natural killer [Kimman 1989]. In questo momento non è proprio possibile permettere una carenza di minerali, su cui questo tipo di immunità è super-dipendente.

Raul Vergini [1994] presenta innumerevoli testimonianze risalenti ad un’esplosione di magnesioterapia in Francia intorno al 1900, con una efficacia incredibile per le malattie infettive: (dell’essere umano): difterite, poliomielite, tetano, pertosse, morbillo, rosolia, parotite, scarlattina, bronchiti, etc. etc., (dei bovini) febbre aftosa, brucellosi, bronchite verminosa, diarrea bianca dei neonati, enteriti acute e croniche, mastite post-parto, aborti in mucche gravide infette; (equini) adenite equina, tifosi; (dei suini) broncopolmonite; (dei conigli) coccidiosi; (dei polli) colera dei polli, peste aviaria, tifosi aviaria, difterite aviaria, polmonite; anche gatti e cani ne beneficiano come terapia per cimurro, tifo, gastroenterite infettiva e per malattia di carré, piroplasmosi, enteriti infettive.

Le malattie infettive venivano spente mano mano che si riforniva l’organismo di cloruro di magnesio. Il meccanismo coinvolto in queste guarigioni è un’esaltazione, magnesio-dipendente, della chimica dei macrofagi [Kubena 1989 e 1990]. Uno stato infettivo acuto altro non fa che depauperare progressivamente le riserve di magnesio della cellula (per cui si somministra magnesio e si supera meglio e in fretta l’infezione).

Nel bimbo piccolo, non essendo ancora completato il quadro delle risorse, mettere tanti luogotenenti è molto più pericoloso di non averne. Perché se questi iniziano a dare ordini senza un esercito che sia stato messo in correlazione con essi, gli ordini inevasi vanno ai tessuti specializzandi in fase immatura o finiscono direttamente all’HLA. Per questo l’organismo non vuole reazioni infiammatorie in questa fase della vita!

La vaccinazione è una deviazione sostanziale dai programmi del DNA ed è ben documentato che l’organismo ne esce più impoverito di prima (vedi alterazione della solfatazione, ipo-magnesemia, etc.).

Inoltre, le possibilità che l’evento tossico vaccinazione agganci l’HLA o i tessuti nervosi sono sostanzialmente più elevate quando parliamo dei primi due o tre anni di vita!

Nel corso dei primi 5 mesi di vita mia figlia ebbe lievi difficoltà che andavano fino a bronchiti ricorrenti e stipsi. Mi è stato spiegato in seguito che la mucosa intestinale della piccola creava le condizioni per l’intolleranza al latte della farmacia che affiancava l’allattamento mio. Per lo stesso motivo a 15 mesi la piccola ebbe la parotite in forma sintomatologicamente poco evidente.

Purtroppo, date le continue sollecitazioni a recarmi all’ambulatorio vaccinale per la somministrazione della prima dose di DTP (difto-tetano-pertosse), a 16 mesi ho fatto il grande errore: la piccola stette male dopo l’iniezione e a 19 mesi le fu diagnosticato il diabete insulino-dipendente.

Spiegazione: la sua permeabilità intestinale ha iniziato ad alterarsi quando vi è stata l’introduzione del latte “adattato”, in seguito la vaccinazione ha consentito che la barriera intestinale fosse definitivamente danneggiata e che i virus latenti sulla mucosa intestinale si attivassero (immuno-soppressione post-vaccinazione).

Che il diabete sia determinato con questi meccanismi è noto anche per la medicina ufficiale. Diabetologi del San Raffaele di Milano (da cui lo scorso agosto ho portato la piccola) hanno intrapreso uno studio sui bambini la cui età di insorgenza del diabete è al di sotto dei 4 anni e sono sicuri di poter affermare che l’aumento dell’uso dei vaccini ha fatto registrare un parallelo aumento del diabete infantile. Affermano altresì che la correlazione intestino-diabete esiste ma non ne conoscono fino in fondo i meccanismi di origine. Con questa mia testimonianza spero si possano preservare tanti bimbi da sofferenze inutili.

Vi sembrerà strano, ma l’organismo del piccolo è perfettamente in grado di affrontare questa piccola sfida-apprendimento delle malattie infettive dell’infanzia. Anzi, è necessaria e non c’è momento più opportuno. Sono sicuro che il DNA non lo posticiperebbe o lo anticiperebbe per nessun motivo.

Solo chiederebbe un po’ di collaborazione. Il morbillo non richiede alcuna particolare terapia se non il riposo a letto, minerali, la somministrazione di liquidi per combattere la disidratazione causata dalla febbre, eventualmente talco mentolato e bagni di amido per alleviare il prurito. Altro non si deve fare che far riposare l’organismo, anche dal punto di vista dell’alimentazione. Il dottor Gerhald Buchwald ricorda a questo proposito: “Mia nonna un giorno disse: – Il bambino l’anno prossimo andrà a scuola e non ha fatto ancora il morbillo. Di conseguenza fui mandato a giocare con un bambino malato di morbillo, che immediatamente mi infettò. Mia nonna mi mise a letto e mi fece degli impacchi umidi intorno ai polpacci. Abbassava la luce in camera e mi portava tante cose buone da bere e da mangiare, curandomi con affetto: e dopo pochi giorni era passato il morbillo”.

Prima della Seconda Guerra mondiale quasi ogni bambino si ammalava di morbillo; i genitori ci tenevano che i figli, prima dell’età scolastica, avessero contratto il morbillo e se all’età di sei anni questo non era ancora avvenuto, li mandavano a giocare con bambini infetti. Così facendo si evitava la perdita di troppe lezioni a scuola, oltre al fatto che si sapeva che, a quell’età, la malattia si manifestava senza complicazioni, mentre più avanti negli anni tutto sarebbe diventato più pericoloso.

I primi vaccini anti-morbillo furono somministrati tra il 1963 e il 1967 su un milione di bambini americani. Poco tempo dopo l’introduzione di questi vaccini i bambini cominciarono a sviluppare forme di morbillo atipico, da una parte una forma subdola, resistente al trattamento, dall’altra una forma leggera con lo sviluppo di chiazze rosse minuscole o addirittura senza chiazze. Questo è il decorso atipico, la salute dell’organismo rimane ostaggio della presenza del virus attenuato.

Al contrario, il processo di progressione di una malattia acuta come il morbillo (che coinvolge una mobilizzazione generale del sistema immunitario, compresa l’infiammazione dei tessuti di accesso, l’attivazione dei leucociti e dei macrofagi, e una quantità infinita di altri meccanismi) non lascia dubbio che tali malattie siano in effetti l’esperienza decisiva della normale maturazione fisiologica del sistema immunitario. Il virus del morbillo, inalato dalla persona vulnerabile, si sottopone a 10-14 giorni di incubazione, fagociti quali gli IgA sono attivi nel difendere l’organismo dapprima nelle tonsille, adenoidi, poi nei tessuti linfatici, infine passa nel sangue.

Il confronto ha solo bisogno di equilibrio e di rifornimenti adeguati, che spesso non arrivano (arriva il latte di mucca adattato e pastorizzato, arriva l’alimentazione desertificante, arrivano i vari sovraccarichi metabolici; arrivano fonti incaute di tossicità, es. mercurio).

La presunzione delle autorità sanitarie odierne è che lo spostamento verso effettori Th2 sia una difesa. Ma è noto che bambini il cui organismo non è in grado di produrre per niente questi anticorpi IgE (patologia denominata “agammaglobulinemia”), dopo aver contratto il morbillo o altre malattie infettive riescono comunque a guarire e ad avere dopo la guarigione una immunità permanente.

Abbiamo detto che anticorpi del tipo Th2 non sempre equivalgono a non contrarre la malattia. Nel 1984 il Ministero della Sanità degli USA dichiarò a tal proposito: “Un bambino che si trova in uno stato di sensibilizzazione immunologica, ma non è ancora immune, è per così dire in uno stato di immunizzazione inadeguata”, cioè c’è la prevista risposta con anticorpi al vaccino, ma questa non basta per prevenire la malattia.

I responsabili sanitari statunitensi, alla luce del sole, rispondevano al fallimento del vaccino per il morbillo, e al conseguente fallimento del concetto stesso di vaccinazione, chiedendo di vaccinare di più. Ma furono accontentati. Nel 1989 fu creato un tipo di vaccino per il morbillo altamente concentrato e quindi potenzialmente immunizzante più a lungo o meglio. Raccomandato dalla OMS (Organizzazione mondiale della Sanità), fu sperimentato sia su 1500 bambini di un quartiere di Los Angeles (Kaiser Permanente of Southern California) che su bambini del Messico, Haiti ed Africa (Centre for Disease Control, 1989-91). Fu rilevato che i bambini iniettati con tale prodotto stavano morendo in gran numero. Le bambine africane, cui nell’esperimento fu somministrata una dose doppia rispetto a quella dei bambini, avevano una mortalità significativamente maggiore di quella dei bambini. Nel 1992 l’OMS ritirò tale vaccino dal mercato. Per capire cosa successe, bisogna sapere che un aspetto assolutamente certo e riscontrabile in tutte le vaccinazioni consiste nella soppressione post-vaccinale delle difese immunitarie (se ne parla a pag. 21).

  • Più immunizzante significava:

  • più squilibrio verso Th2, e

  • più immunosoppressione.

Al contrario solo il bambino che supera il morbillo non sarà più suscettibile ad esso, e soprattutto l’esperienza di avere il morbillo non può fare altro che preparare l’individuo ad una reazione più rapida ed efficace a qualsiasi infezione che lo colpirà in futuro.

I ricercatori incaricati di produrre 50 cavie artritiche o 50 con asma o 50 con dermatite o con qualsiasi altra malattia esistono e sono sempre al lavoro. Come fanno ogni volta? (non si era detto che le cause delle malattie sono inconoscibili, o almeno indimostrabili?). Le malattie delle cavie della scienza sono prodotte principalmente per insulto tossico (mercurio, proteine di batterio ucciso, inoculazioni tossiche, …), per stress metabolico (alimentazione squilibrata), oppure le malattie “commissionate” vengono fatte derivare direttamente da una carenza cellulare di minerali essenziali (magnesio, zinco, in prima fila, selenio, etc.) prodotta per raffinazione dei cibi somministrati.

Perché questa “scienza della malattia” viene del tutto dimenticata quando ad ammalarsi è l’essere umano?

Una donna si reca dal dentista a trapanare via un’amalgama durante la gravidanza e la figlia nasce con una carenza di magnesio; questo caso viene riportato da Olle Redhe e Jaro Pleva su “International Journal of Risk and Safety in Medicine”, 1994, vol.4, p.229-236: che la bimba abbia una carenza di magnesio lo si vede dalla sua forte tendenza alle carie (dai 3 anni ai 5 tutti i denti dell’arcata inferiore sono già stati otturati con amalgama) e dalle allergie che diventano la sua vita normale. Viene spesso ricoverata in ospedale durante tutto il periodo dell’infanzia. Ovviamente le vaccinazioni e le cure antibiotiche subìte dalla bimba hanno peggiorato la carenza di magnesio.

“Nata con eczema, all’età di 5 anni debutta un grave asma che la obbliga a prendere farmaci ogni giorno. Il suo asma insorge quattro mesi dopo che due grosse carie vengono riempite con amalgama. Ha 15 anni quando gli autori iniziano la rimozione degli amalgami dentali, 11 in tutto in una bocca che presenta tessuti orali tutti in buone condizioni. Sei settimane dopo aver completato la rimozione dell’amalgama l’eczema sulla parte interna del braccio è in regressione. La paziente a questo punto può smettere di prendere farmaci, per la prima volta dall’età di 5 anni. Sette mesi dopo, la paziente ritorna da una lunga visita estiva nel sud California. Non c’è più traccia di eczema o asma nonostante il clima caldo ed umido e l’inquinamento ambientale cui è stata esposta a casa della zia, che di solito le avrebbe causato un notevole aggravamento dei sintomi. Ad oggi, dopo 8 anni, la guarigione totale permane”.

Quando è l’essere umano ad ammalarsi questi si ritrova di fronte all’unica, perfetta, macchina infallibile per la commercializzazione di farmaci brevettabili e interventi anti-sintomi, cioè il sistema della malattia ad eziologia sconosciuta, quello che ha messo nel dimenticatoio la questione della vulnerabilità del singolo individuo (per carenze di magnesio, tossicità cumulative, errori metabolici, etc.). L’episodio-clou nel libro di Vergini (sopramenzionato sull’uso di magnesio) è quando i sanitari governativi francesi capiscono l’utilità del cloruro di magnesio nella cura e prevenzione delle malattie infettive infantili e reprimono ogni tentativo di pubblicazione o di confronto con i dati presentati. Quasi nessuno si accorgerà che l’esercizio di una medicina/ scienza che ruota con i soldi di chi deve produrre farmaci brevettabili e altri fatturati è una lotta davvero miope.

Solo pochi (“fortunati” non posso dirlo, per tutte le disavventure che hanno subito in precedenza), arrivano dal medico clinico attento che spiega la loro situazione:

“Ci sono delle vere e proprie carriere per diventare malato, trame che si ripetono sempre, eventi che possiamo mettere in ordine cronologico e che contribuiscono ad accumuli tossici, danni, indebolimento dell’organismo e in ultima analisi la somma produce la malattia” [Thomas Herms, 2004].

“Si parte con eventuali rimozioni non protette durante la gravidanza, oltre che il numero di otturazioni dentali della madre, alimentazione e farmaci sbagliati, etc..

Lo step successivo che vede un ulteriore indebolimento delle mucose dell’apparato digerente sono le vaccinazioni cui il sistema medico costringe l’organismo del bimbo.

Ovviamente c’è anche lo step del latte vaccino pastorizzato; di fronte a questa e altre intolleranze alimentari presto nel bambino compaiono reazioni infiammatorie tipiche del tentativo del sistema immunitario di garantire l’omeostasi perduta.

Queste purtroppo innescano un altro step che aggiunge il suo peso al processo degenerativo, quello dei farmaci per sopprimere i sintomi, per es. si interviene con antibiotici e cortisone.

Le carenze non vengono messe in conto, nonostante questo organismo sta davvero facendo la fine di una foresta che diventa un deserto.

L’intestino è in disbiosi perenne.

La cellula subisce l’acidificazione perenne.

Già sono insorte le prime carie e la degenerazione del sistema odontoiatrico, e questa è una tappa fondamentale, che dà il via tra l’altro alle varie pseudo-terapie “otturazioni mercuriali”, “devitalizzazioni”, ecc.

Una nuova generazione di esseri indeboliti è stata prodotta che è pronta a condividere la degenerazione nelle sue varie forme con le prossime generazioni, per continuare la logica del deterioramento.

Arriva anche il momento critico descritto da Weston Price in primis e tanti altri clinici dopo di lui: Un organismo inerme davanti ad un disturbo cronico-degenerativo è anche un organismo che non riesce a gestire quello che sta succedendo in un osso che per anni ha subìto la tossicità del mercurio o quella prodotta da microrganismi che pullulavano nel dente cadaverico.

La necrosi del tessuto osseo è pronta ad allargarsi al minimo errore alimentare che fate, lo stato di salute dell’osso è fortemente in bilico e diventa veramente un cardine intorno al quale si giocano le possibilità di ritorno verso una buona salute”.

Sull’alimentazione raffinata possiamo aggiungere qualcosa.

Ockert [1999] riporta il caso di una grave intossicazione da amalgama: anche dopo la rimozione protetta la paziente è talmente mal messa che reagisce clinicamente ad un composito dentale. Viene effettuato un trattamento di otto giorni basato su una semi-dieta e trattamento con acqua e sale e argilla Hawaiana e fitoterapici, dopodiché la donna non solo vede una remissione dei suoi disturbi, ma non è più intollerante a quel composito di prima! Ockert riporta numerosi altri casi di terapie con questo metodo.

Che dobbiamo pensare? Che lintestino con le croste (che rimangono lì per anni) e i microorganismi alterati (disbiosi) è un ormeggio (campo di disturbo) piuttosto pesante. Che cosa funziona per questo? Giorni di digiuno a succhi, giorni di digiuno ad acqua, giorni senza cereali o carne o legumi (solo frutta, verdura e semi di lino).

Sui denti morenti e poi devitalizzati vedremo di più nel capitolo 2, sull’osso marcio vedremo qualcosa nel capitolo 3.

I meccanismi di tossicità delle vaccinazioni

Il fatto che una vaccinazione a basse dosi di batterio ucciso debba essere considerata un insulto tossico è stato confermato quando si è visto che l’iper-immunizzazione attiva patologicamente l’HLA, proprio come farebbe un’esposizione prolungata a un metallo tossico.

L’evento vaccinatorio è usato nei modelli sperimentali di malattia perché garantisce cavie più prone alle malattie e alle allergie.

Levine ricorda nel 1991 che fino ad allora il vaccino antipertosse era stato ritenuto indispensabile per creare patologie autoimmuni in cavie, ma che ora l’intensità della stimolazione immunologica poteva essere modulata in un ampio range, a seconda della scelta e combinazione di adiuvanti, vaccini e altre sostanze inoculate.

Caspary [1977] scrive: “La severità clinica dell’encefalomielite autoimmune nelle cavie è aumentata dal pre-trattamento con vaccino anti-cimurro, anti-morbillo e anti-tubercolosi. Il vaccino anti-morbillo dà un inizio più grave della malattia. L’aggiunta della vaccinazione anti-rosolia porta ad una leggera forma della malattia che riappare clinicamente se si rifà uso dell’appropriato vaccino”.

I ricercatori, quando arriva il momento che servono 100 topi con una certa autoimmunità (per lo studio sperimentale di tale malattia), hanno a disposizione un arsenale di “adiuvanti” (vaccini, batteri uccisi, mercurio, alluminio, etc.) da iniettare nella cavia in quantità e modalità ben etichettate. In cuccioli sani inoculati con una serie di vaccini comunemente usati sui cani, è stata rilevata la formazione di una serie di autoanticorpi, senza che a livello clinico fosse ancora possibile osservare una patologia autoimmune [Shoenfeld, 2000]. Attraverso l’iperimmunizzazione invece, poteva essere indotta in topi o conigli la manifestazione clinica dell’autoimmunità della tiroide [Kaithamana, 1999] o dei muscoli, citoplasma, miocardio [Onica 1977, Zablocki 1966]. La stessa cosa era stata dimostrata per i polli [Luster, 1976]. La rassegna della letteratura medica va avanti così: “l’uso di una vaccinazione XY può essere moderatamente ma non consistentemente efficace nel produrre encefalomielite”, oppure “l’uso simultaneo di vaccino YY e YX ..”

Ovviamente i danni acuti si ottengono con dosi maggiori o ripetute, o quando comunque lo stimolo tossico è abbastanza consistente, ma le dosi comparativamente piccole anch’esse consegnano cavie più prone alle malattie o, come dimostrava Price già nel 1920, animali che sono tornati alla normalità dopo aver superato lo shock tossico di basse dosi ma indeboliti. Ci sono una serie di meccanismi coinvolti

  • La vaccinazione non fa altro che realizzare quello che tutto il corpo e il sistema immunitario cercano di evitare o prevenire quando in contatto con un virus: ovvero l’iniezione immette la proteina tossoide direttamente nel sangue, senza che siano state attivate le difese locali e fagocitarie, offrendogli accesso libero ed indisturbato verso alcuni target più delicati e questa volta vulnerabili (neurologico, endocrino, etc.).

  • L’evento delle vaccinazioni comporta fenomeni infiammatori cronici con perdita notevole di zolfo [Noseda 1987, Zlatkin 1990, Goldberg, 1993, Zanni 1994]. Il neonato non abbonda di materiale per la solfatazione, per cui l’improvvisa perdita in questione mette in competizione tessuti cerebrali e intestinali per quel che resta di questo materiale cruciale. La natura si è intenzionalmente appoggiata, nel primo anno di età, a meccanismi difensivi che non prevedono produzione di anticorpi specifici, fornendo al neonato reazioni esclusivamente fagocitarie (di tipo IgA) e le difese immunitarie veicolate attraverso il latte materno.

  • Non a caso le cavie vittime di vaccinazioni accusano una varietà di sintomi tra cui dolori ed infiammazione intestinali, alterata permeabilità intestinale, danni cerebrali, patologie demielinizzanti e nelle vaccinazioni infantili i danni al cervello post-vaccinazioni sono ben documentati nella letteratura medica e vanno da epilessia, sindrome di deficit attentivo, dislessia, strabismo, all’autismo, .., ma possono riguardare anche pancreas, tiroide, cuore, etc. etc..

  • E’ noto che i vaccini coltivati su animali sono fra i più pericolosi veicoli della meningite virale o di qualsiasi altra contaminazione di origine animale. I vaccini sono prodotti nel 95% dei casi per replicazione del virus su tessuto animale (al 2004). Questi prodotti non li si tratta termicamente (perché altrimenti se ne perde l’effetto), ma chimicamente nella speranza che sia sterilizzato il vaccino da eventuali sconosciuti organismi patogeni (proveniente per es. dai reni di scimmia).

  • Ecco a grandi linee gli additivi e i neutralizzanti dei vaccini: formaldeide (un conservante), fenossietanolo (notoriamente usato come antigelo), anfotericina (un antimicotico), timerosal (un conservante mercuriale), b-propriolattone (cancerogeno secondo l’EDF), gentamicina, neomicina, eritromicina, polimixina, streptomicina (antibiotici usati per diminuire la possibilità di “virus selvaggi”, cioè dai tessuti animali di coltura del virus del vaccino), metanolo, glicerina, alluminio, etc. etc.

Le principali associazioni che si occupano dei danneggiati da vaccini sono le seguenti: ABIN (tel. 035 340208), AMEV(tel 055 4628901), ass.CO.M.I.L.VA. Milano (tel. 02 6436177), Associazione Vittime dei Vaccini (tel. 045/ 8402290), Associazione Universo Bambino (tel. 0182 88763), CILV (tel. 04761/ 810922), COS (tel. 051/ 548721), COVILISTE (tel. 0445 361653), CORVELVA (tel. 0423 600849), Federazione CO.M.I.L.VA. (Trieste tel. 040/ 393536, Rimini tel. 0541/ 332053, Imperia tel. 0184/206755, Roma tel. 06 52200408, Treviso tel. 0422/345008, Varese tel. 0331 320597), MIR (tel. 030/317474), VacciNetwork (tel. 059/ 310797, www.vaccinetwork.org).

  • i sintomi post-vaccinazione sono spesso sintomi di deplezione grave di magnesio. Il danno che l’insulto vaccinico produce a livello di glicoproteine determina una serie di fenomeni cronici (infiammazioni, squilibri endocrini, attivazioni patologiche …) che conducono alla carenza di magnesio. Con la somministrazione di magnesio infatti scompaiono sintomi di carenza di magnesio quali febbri, iper-eccitabilità, iper-sensibilità sensoriale, mialgie, artralgie e quant’altro. Il magnesio, del resto, è ciò che garantisce una protezione dall’infiammazione da evento tossico. Non a caso Montinari [2001] usa il cloruro di magnesio nei danneggiati da vaccino e Shu [1997] scrive: “Convulsioni generalizzate insorsero a 4 settimane di vita in un neonato cinese e poi ritornarono a 7 mesi e via via si aggravarono. Gli accertamenti durante il ricovero ospedaliero rivelarono ipomagnesemia in questo bimbo di 2 anni e mezzo, insieme con ipoparatiroidismo, cardiomiopatia e atrofia cerebrale. Si ebbe un buon recupero somministrando in media 0.500 grammi di ione magnesio al giorno): il bimbo ebbe una ripresa eccezionale nei mesi seguenti con questo trattamento. L’ipoparatiroidismo e la cardiomiopatia scomparvero gradualmente; anche se a volte ancora si ripetevano occasionali episodi di convulsioni e il ritardo psicomotorio persistette fino ai 6 anni di età. Sua sorella anch’essa aveva sofferto dopo le vaccinazioni di convulsioni epilettiche, anch’essa aveva avuto ipomagnesemia e con il trattamento magnesiaco immediato ottenne la scomparsa dell’epilessia; ora ha 2 anni ed è perfettamente sana”.

  • Le vaccinazioni possono causare infezioni croniche che si sviluppano in tempi più lunghi e in maniera asintomatica o atipica rispetto al normale sviluppo dell’infezione da virus. I primi vaccini anti-morbillo furono somministrati tra il 1963 e il 1967 su un milione di bambini americani. Poco tempo dopo l’introduzione di questi vaccini i bambini cominciarono a sviluppare forme di morbillo atipico, da una parte una forma subdola, resistente al trattamento, dall’altra una forma leggera con lo sviluppo di chiazze rosse minuscole o addirittura senza chiazze. Queste forme atipiche hanno l’effetto di provocare malattie croniche di tipo degenerativo, come sottolineano Domingue e Woody [1997]: “I ceppi vaccinali possono sopravvivere e persistere in uno stato latente nell’organismo, incubarsi e quindi causare stati patologici, tra cui nefriti, febbri reumatiche, stomatiti aftose, ematuria idiopatica, morbo di Crohn, etc.” [Clinical Microbiology Review, 1997]. Rassegne sul fenomeno delle infezioni subcliniche dopo la somministrazione di vaccini tripli sono di Trier [1992] e Laitinen [1974].

  • Wakefield [1995] dimostra che “il virus del morbillo iniettato con le vaccinazioni persiste nell’intestino dei vaccinati, segnalando un’alterazione dell’assetto immunitario dei soggetti sottoposti a profilassi vaccinale, generando le malattie più disparate dell’apparato gastrointestinale, tra cui il morbo Chron e subclinici effetti neurologici”. Un indizio dell’incubazione nell’organismo del virus attenuato da vaccino può essere la persistenza di elevati titoli di HI e di IgG, in presenza di reazioni a vaccini. Una letteratura altrettanto folta è stata prodotta da ricercatori veterinari, uno per tutti, Bennet [1989]: “Somministrando un vaccino sistemico allestito con calicivirus felino vivo in soggetti precedentemente immunizzati, il virus apparentemente si localizza a livello dell’orofaringe o anche nei legamenti”.

  • l’immuno-soppressione post-vaccinazioni; pochi giorni dopo la vaccinazione questa provoca (per un periodo che può andare da settimane a mesi) una pronunciata immuno-soppressione. Questa fase è un’opportunità d’oro per altri virus, fino ad allora rimasti latenti, di avere la meglio sulle difese dell’organismo e attivarsi provocando danni [Ward 1993]. Un vaccino diminuisce l’immunità mediata da linfociti del 50%, due vaccini insieme del 70%. In termini di numero di globuli bianchi, capacità fagocitante dei neutrofili polimorfonucleari, vitalità dei linfociti, segmentazione dei neutrofili [Robin, 1997]. La riduzione anche di produzione di interferone (Th1) può persistere per un anno e più dopo la vaccinazione. Di tutti i meccanismi noti, questo è quello più ampiamente documentato nella letteratura medica.

  • le vaccinazioni spingono l’organismo verso un rilascio di citochine infiammatorie e un eccessivo generalizzato utilizzo di effettori Th2 (cioè allergie e tendenza ad autoimmunità). Muhlemann [1996], Reizis [1987], Goldman [1966] ed altri mostrano che se i bambini hanno effettuato vaccinazioni si alza l’incidenza di allergie rispetto a bambini che non le hanno fatte. Durante più di un secolo è stata nota questa correlazione [Petov 1930, Kong 1953, Jocquelin 1955, Hopper 1961, Bakanov 1968, Hannik 1969, Oricchio 1971, Delarue 1972, Fischmeister 1974, Schreurs 1980, Steinman 1982, Lohiya 1987, Yamane 1988, Aggerbeck 1995, Naito 1995, Mark 1995, Dannemann 1996, etc.]. Questo fenomeno patologico non è nemmeno più in questione, gli scienziati delle varie università ora lo discutono alla luce del sole, Martinez [1997], Blumberg [1991], Dankova [1993] e tanti altri si chiedono: cosa si può fare e pensare per avere vaccinazioni che non squilibrino il sistema immunitario?

Nel frattempo i nostri bimbi diventano asmatici o affetti da altre condizioni atopiche. Dagli studi esistenti è emerso che i vaccini aumentano notevolmente l’asma nei bambini. Odent [1994] ha osservato che 243 bambini vaccinati per la pertosse avevano una frequenza di asma 5 volte superiore rispetto ai non vaccinati. Lo stesso risultato viene riportato dal Dr Julian Hopkin, con un’osservazione su 2000 bambini durata 10 anni, da Alm [1999] e Kemp [1997] in due studi magistrali. Muhlemann [1996], Reizis [1987] e Goldman [1966] anch’essi mostrano che se i bambini hanno effettuato vaccinazioni si alza l’incidenza di allergie rispetto a bambini che non le hanno fatte. Una correlazione tra le vaccinazioni e i parametri biochimici responsabili per l’attivazione dell’asma infantile vien dimostrata anche da Imani e Proud [1990]: la probabilità di avere asma era doppia in una popolazione di bambini che avevano ricevuto il vaccino triplo DTP (difterite-tetano-pertosse) rispetto a quelli che non lo avevano ricevuto.

Questo fenomeno lo possiamo vedere anche nelle cavie di laboratorio: con le vaccinazioni sale il livello di allergie.

Numerosi dati sono disponibili che mostrano che rinite allergica, asma bronchiale allergico, dermatite atopica, rappresentano il risultato di uno stato eccessivo Th2, con risposta nei confronti di antigeni ambientali altrimenti innocui. Le vaccinazioni spostano l’equilibrio Th1/ Th2 (rispettivamente il braccio e la mente del sistema immunitario) verso la predominanza di Th2.

Abbiamo già detto che la malattia cronica infiammatoria o autoimmune è l’evidenza del nostro bagaglio immuno-genetico che si attiva. Una vaccinazione in un organismo debole, o una iper-immunizzazione può provocare ciò. L’attivazione patologica dell’HLA post-vaccinazione. Herroelen [1991] riporta 2 casi di sclerosi multipla 6 settimane dopo la vaccinazione anti-epatite B. Entrambi i pazienti avevano la presenza degli HLA di tipo DR2 e B7, che sono correlati con la sclerosi multipla. Pope [1998] riporta un gruppo di vigili del fuoco che svilupparono artrite a seguito della vaccinazione anti-epatite B. Tutti questi individui avevano l’HLA DR4, associato con l’artrite. Nonostante una persona abbia gli HLA a rischio, questi rimarrebbero dormienti, spiegano i ricercatori, se non ci fosse l’esposizione al mercurio, all’alluminio e ai vaccini che ad un certo punto (per esempio in un momento di immunosoppressione) vanno ad attaccare direttamente gli HLA. Topi con HLA selezionati reagivano peggio alle inoculazioni di vaccini che non topi di controllo normali [Devey, 1990]. Come ulteriore esempio citiamo il modello sperimentale di retinite sperimentale: servendosi del bacillo della pertosse ucciso e del vaccino Freund si iper-immunizzano i topi verso una certa proteina. La prima modifica che testimonia l’avvenuto innesco patologico è l’attivazione delle glicoproteine equivalenti all’HLA DR nell’uomo; poco dopo si ha un fenomeno di degranulazione dei mastociti della coroide per la messa in azione degli IgE, da qui edema della retina, e infine una uveite diffusa.

Casi di diabete dopo la vaccinazione anti-parotite sono documentati da Sinaniotis [1975], Pawlowski [1991] e Vaandrager [1986]. Nel 1996 il New Zealand Medical Journal indicava un aumento del 60% dei casi di diabete infantile nell’anno seguente il periodo 1989-91 in cui era stato condotto un programma di vaccinazioni di bambini e ragazzi dai 6 ai 16 anni. Ancora più numerosi sono i riscontri di insorgenza di diabete post-vaccinazioni anti-morbillo-parotite-rosolia. L’immunologo Bart Classen afferma: “Noi pensiamo che l’effetto dei vaccini sulle forme di diabete sia di una importanza clinica enorme e che debbano iniziare immediatamente le sperimentazioni per individuare gli effetti dei vaccini su questa malattia e su altre forme di disturbi di origine autoimmunitaria”.

Su giovani militari di leva il fattore reumatoide ed altri autoanticorpi furono monitorati per i due mesi successivi alla vaccinazione antitifo e antitetanica. Nelle parole dei ricercatori, “questi risultati rivelano una risposta autoimmune subclinica, concomitante alla sensibilizzazione specifica derivante dalla vaccinazione [Procaccia, 1983]. Allo stesso modo Welch [1983] e Levinson [1988] hanno riscontrato un aumento nel fattore reumatoide dopo la vaccinazione di adulti sani con il tossoide del tetano e lo stesso aumento fu notato in individui vaccinati con l’antitifica [Nisini, 1993]. Ray e Black [1997]

La vaccinazione anti-rosolia, scrive Mitchell [1993], dovrebbe essere considerata quale un ulteriore fattore causale nella valutazione di sindromi muscoscheletali acute o croniche. 6 casi di artrite correlati alla vaccinazione della rosolia erano già stati presentati da Chantler [1982], 10 di artrite reumatoide da Ford [1982], 1 da von Wehren [1983], 6 da Tingle [1985]. Casi di artrite postvaccinazione della rosolia sono segnalati tra gli altri da Russo [1980], Delaney [1970], Gold [1969], Speier [1970], Grasland [1998]. La vaccinazione antiepatite B è stata decisamente correlata con un’elevata incidenza di artrite, studio effettuato su 2000 bambini da Fisher [2001]; in Francia rimborsi per sclerosi multpla insorta dopo questa vaccinazione. Casi di polimialgia reumatica postvaccinale sono segnalati da Liozon [2000] e così molti altri, fino al morbo di Bechterew postvaccinale [Buchwald, 1998]. Lupus eritematoso insorto a seguito di vaccinazioni viene documentato da Adunsky [1980], Grezard [1996], Maillefert [2000], Ries [1981], Schattner [1992], Senecal [1999], Tecson F [1978], Tudela [1992], Van der Straeten [1987].

Si trovano dozzine di libri sui danni da vaccino, io consiglio:

  • di Coulter Harris, “Vaccinazioni, il grande attacco al cervello e alla psiche”, NOI-Verlag Ed. Klagerfurt 1996

  • di Acerra Lorenzo, “Vaccinazioni, istruzioni per l’uso”, Demetra Ed., 2002 (quest’ultimo contiene buona parte delle fonti bibliografiche qui citate).

  • Libri sui pericoli delle vaccinazioni

L’aggancio con il discorso generale di questo capitolo è che, se arrivate ad avere un sintomo cronico (infiammazione ai legamenti, colite, tiroidite e quant’altro), il motivo è che c’è stato un insulto tossico (per es. vaccinazioni) di cui l’organismo non ha potuto farsi carico per il protrarsi di un’alimentazione del tipo regime-extra (moderna).

CAPITOLO 2

L’invisibilità del fenomeno da “dente morente” è la norma

Un esempio di grande convinzione dell’invisibile effetto a distanza (focalità) di denti infetti ci viene da uno scritto del 650 a.C in cui il re assiro Asarhaddon, avendo una grave poliartrite, chiede consiglio al medico Aradna e questo gli risponde che deve estrarre i suoi denti, solo allora si avrà la guarigione dalla malattia: “I denti del mio Re devono essere rimossi, perché è con essi che nasce l’infiammazione interna. I dolori scompariranno immediatamente e il suo stato di salute tornerà normale”. Vedete bene che con un regnante uno non poteva permettersi di sbagliare, se Asarhaddon non guariva dopo aver tolto i denti, il dolore sarebbe stato tutto del suo servitore Aradna che gli aveva consigliato una cosa simile!

Un caso clinico con assenza apparente nella radiografia di granulomi o infezioni (ma con un netto fenomeno di contenimento, intense macchie radiografiche bianche intorno al dente) ci viene da Price: Una donna 43enne con ulcere allo stomaco era stata visitata senza successo da numerosi specialisti. La malattia aveva raggiunto uno stato di invalidità ormai da sei anni, ella accusava inoltre dolori nevralgici, nervosismo, nevrite, indigestione nervosa. Alla panoramica si osservava una zona ossea densa proprio sotto le radici, anche se non risultavano altre anomalie, le cure canalari erano perfette e non risultavano granulomi. Tutti i denti superiori le furono rimossi da Price (gulp !?!..). Ciò determinò un rapido sollievo dello stato di salute che permise alla donna (!!..) di ritornare al suo precedente lavoro. Le colture dei denti coinvolti produssero fenomeni ulcerosi altrettanto gravi nei conigli.

Questo esempio farebbe rizzare i capelli a qualunque dentista, anche uno informato.

Quanti dentisti avrebbero messo in relazione i denti devitalizzati con i sei anni di sofferenza di questa paziente? E quanti dentisti informati avrebbero avuto il fegato di intervenire così drasticamente in mancanza di riscontri più chiari (le cure canalari ai suoi denti apparivano soddisfacenti, nessun segno d’infezione, i segni che nella radiografia indicavano l’osteite vengono oggi interpretati come normali)?

E se non funziona? È evidente che oggi nessun dentista può intervenire così, sta al paziente saper valutare l’argomento perché solo la sua determinazione e la sua richiesta scritta può scaricare il dentista delle responsabilità etiche, mediche e legali che una tale operazione comporta.

A parte la determinazione o la mancanza di coraggio nell’estrarre i denti, che generalmente rispecchiano le idee e conoscenze che appartengono a tutta una civiltà, un ostacolo decisivo è che la patosi periradicolare sotto denti devitalizzati è invisibile ai normali controlli che il dentista fa. Holtzmann [1998] mette quattro accademici a valutare la presenza o assenza di patologica infiammazione ossea periradicolare senza che l’osservatore sia messo al corrente dell’esito dell’esame successivo istologico. Risultato: la lettura di vari tipi di raggi X non mette in grado gli esperti di fare la giusta diagnosi. NON SAPPIAMO COSA STA SUCCENDENDO SOTTO IL DENTE anche quando leggiamo la radiografia. Lo studio fu effettuato sui denti mandibolari (inferiori) che sono infinitamente meglio visibili dei mascellari. Non si può fare diagnosi di successo endodontico basandosi sulla lettura delle radiografie da parte degli accademici.

Le cisti sono sacche di rivestimento cutaneo che funzionano da contenimento delle crescite microbiologiche o dei prodotti tossici del loro metabolismo.

C’è un problema con le cisti, anche se presenti non sempre vengono rilevate dalla ortopanoramica.

Un dentista che conosco afferma che fino al 50% dei denti devitalizzati, pur non mostrando il tipico alone nero periapicale all’ortopanoramica, hanno cisti che possono essere evidenziate se viene fatta la Tac o la scintigrafia!

Vediamo un esempio (Ray, 54 anni): «Due anni fa iniziai ad avere leggeri mal di testa, divennero forti un anno dopo e mi spinsero dal dottore che non aveva risposte per me, dunque mi diressi dal dentista (le otturazioni di amalgama erano già state sostituite con i compositi) e in effetti lui trovò infetto un molare dell’arcata superiore sinistra. Il dentista mi disse che il dente era morto e che avrebbe dovuto fare una cura canalare. cure canalari avevo letto la documentazione di Price, di Meinig, etc. e le smentite della American Dental Association, lessi ancora di altre persone che avevano avuto problemi con denti devitalizzati e decisi che avrei estratto il dente. Mi recai dal dentista, che mi disse che era una cosa insolita e mi chiese se ero sicuro che questa fosse la mia decisione. Preso atto della mia determinazione non cercò di ostacolarmi, comunque.

Che io abbia preso la decisione giusta ve lo posso dire ora che ho estratto il dente. I raggi X del dente non mostravano niente che potesse far pensare ad un’infezione, fatto sta che in una delle radici del dente ci trovammo di fronte una grossa sacca di infezione che non compariva ai raggi X! Il dentista è rimasto impressionato come me. La sacca mi proteggeva dall’infezione “invisibile” nel dente ma con il tempo il mio sistema immunitario sarebbe diventato sempre più debole. Se avessi acconsentito a fare la cura canalare certamente i mal di testa sarebbero diventati la norma, e chissà che altro effetto a distanza sarebbe comparso più in là» (http://melanie2.50megs.com/ rootcanalemails.htm).

L’invisibilità dei focus dentali alle normali osservazioni è l’argomento affrontato in uno studio di Maiolo-Barile [su MedicinaFunzionale, 2000, n.2 pp.2-6]. Viene sottolineato come “al Vega test si determini a volte risonanza con il segnale granuloma dentis anche per quei denti devitalizzati curati presumibilmente in modo corretto e che, ad un’indagine successiva non presentano lesioni apparentemente rilevabili radiologicamente”.

C’è un problema con il rilevare i denti marci. Ad esempio Roberto Z. mi invia una foto di un dente devitalizzato (schifoso) appena estratto: “Avendo tenuto immerso il dente per più di 24 ora in ipoclorito di sodio, dopo un po’ inizia ad emanare un forte odore di marcio!”. E aggiunge: “..e mi domando come sia possibile che ben due dentisti mi avevano detto che potevo tenere una “cosa” simile!”. E’ possibile, è possibile: fate un radiografia di questo o altri denti marci, essi risulteranno “impeccabili”: il marciume dentro il dente non è radioopaco. Per questo l’idea che i dentisti si sono fatti dei denti devitalizzati è di terapie impeccabili.

C’è un problema con il rilevare l’osteite quando cresce sotto il dente devitalizzato.

Abbiamo visto che all’esterno del dente devitalizzato un’infiammazione cresce nel tempo diffondendosi nei tessuti adiacenti, man mano che i prodotti del metabolismo batterico (tioeteri) fuoriescono da questo osso cavo morto e relativa capsula di contenimento, creando uno spessore di infiammazione ossea. Che i metaboliti dei batteri riescano a fuoriuscire attraverso le pareti intatte del dente, anche quando questo sia stato ben murato a livello apicale, è stato dimostrato per la prima volta da Steinman e successivamente da numerosi altri ricercatori. Fuoriescono per diffusione nei canalicoli della parete del dente (“cemento”).

Lo stato di infiammazione cronica di origine dentale produce un segnale che un omeopata che sa cosa cerca può rilevare con il Vega test. La “focalità” relativa al dente devitalizzato, che viene registrata dagli apparecchi di ElettroAgopuntura di Voll, è data da ‘area concentrata di tossine e tessuto necrotico o infetto che è ben perimetrato da un incapsulamento.

Per cui molti autori si servono del Vega test per arrivare a diagnosticare i disturbi cronici di origine dentale, cito un breve esempio tratto dalla letteratura medica [Godfrey ME., “Focus dentale come causa di nevralgia del trigemino: un caso clinico”, Journal of Advancement in Medicine, 1997, vol.10, n.4, pp- 267-272]:

Una 21enne lamentava da due anni un male all’orecchio sinistro. Il dolore era stato all’inizio intermittente, ma era poi diventato continuo e sempre più grave. Aveva consultato numerosi specialisti otorino-laringoiatri, dentisti, chirurghi maxillo-facciali, senza ottenere nessun miglioramento. Numerosi cicli di antibiotici le erano stati somministrati per una presunta ma non dimostrata infezione all’interno dell’orecchio, e per cercare sollievo dal dolore le erano stati somministrati farmaci anti-infiammatori non steroidei, analgesici e anti-depressivi (persino meperidina e morfina). La Tac e le altre indagini radiografiche erano state effettuate ma non avevano rivelato alcunché. Quando si presentò in questa clinica, la paziente aveva dolori molto forti nonostante fosse sotto medicazione combinata di carbamazepina, morfina e fluoxetina, e avrebbe dovuto essere operata dieci giorni dopo.

Il nostro approccio è stato di fare una valutazione con l’apparecchio EAV. Abbiamo riscontrato un focus alla mandibola, cioè risuonava l’ampolla test “osteitis”. Il 6° inferiore sinistro era il dente coinvolto. Il focus fu poi confermato dal dentista mediante il test della neuralterapia. Il sollievo dal dolore all’orecchio era apportato dall’iniezione nella zona del dente; il sollievo era immediato e durava per oltre 15 ore. La settimana dopo fu effettuata l’estrazione del dente con tutto il protocollo di bonifica dell’osteite sottostante, e la paziente guarì e rimase libera da problemi per cinque mesi, allorquando ci fu una piccola ricaduta che fu mandata in remissione con due sedute di neuralterapia della zona del dente estratto. Da allora la paziente è rimasta libera dal dolore all’orecchio per tutto il periodo di follow-up di due anni”.

Scrivono Maiolo-Barile: “L’omeopata individua con il Vega test la focalità e il dentista esamina l’ortopanoramica e interviene dove appropriato”.

Ma se all’ortopanoramica raramente si vedono cisti e non si vede l’attività del marciume interno del dente, il dentista perché va a vedere l’ortopanoramica?

Di tanto in tanto, per rafforzare lo sbarramento contro il sito osteitico infetto, si forma uno sbarramento condensante che appare o come focus luminoso a forma di ghirlanda che parte da sotto la punta della radice dentale, o come una forma di disco luminoso tra le radici.

Sono tali irregolarità che permettono di identificare il coinvolgimento di denti devitalizzati. Il Dr. W. Shankland ha scritto due libri in cui riporta le guarigioni di pazienti nel momento in cui era lo sbarramento condensante intorno ai denti devitalizzati che permetteva di individuare la focalità e dunque effettuare le corrette estrazioni.

Dato che l’osso è una struttura porosa tridimensionale, mentre i raggi X sono bidimensionali, la lettura ai raggi X è oltremodo difficoltosa e come minimo richiede un occhio allenato ed esperto.

Solo quando il 50% dell’osso è coinvolto (fenomeno infettivo gigantesco) i raggi X segnaleranno qualche variazione dell’osso nella direzione di aumento di porosità.

Alcuni esempi in cui erano state le intense macchie radiografiche bianche intorno al dente, in assenza di visibili granulomi, a propiziare la diagnosi di Price e l’intervento di estrazione vengono riportati in “Root Canal Cover-Up”, con le lastre radiografiche originali:

p.121, “dente con devitalizzazione che appariva perfetta fu estratto dalla bocca di una donna che negli ultimi due anni aveva avuto cinque attacchi acuti di infiammazione acuta dell’occhio. Una coltura di batteri prodotta dal dente in questione fu usata per l’inoculazione di un coniglio; dopo tre giorni l’animale aveva avuto un attacco acuto di infiammazione all’occhio destro. Intanto un altro dente devitalizzato fu estratto e l’infiammazione agli occhi della paziente era quasi completamente passata dopo tre giorni”.

p.77, “49enne aveva sofferto molto negli ultimi tre anni, il problema principale era del cuore, la diagnosi era miocardite e la pressione sanguigna era a 180. Lamentava estrema tensione alla testa e gli era stato trovato coinvolgimento dello stomaco. Le sue caratteristiche facciali rivelavano costrizione e tensione dei nervi. Due molari devitalizzati furono estratti da Price e fu trovata polpa putrescente in tutti e due. Questo paziente aveva fatto fare più volte valutazioni dentali e ogni volta gli era stato detto che i suoi denti andavano bene e che dalle radiografie non si rilevavano problemi. Da questi due molari estratti fu possibile originare una coltura di batteri anaerobici che furono inoculati in due conigli: il primo morì entro 12 ore con centinaia di piccole emorragie diffuse su tutti i muscoli del corpo e il secondo ebbe un rigonfiamento al cuore che, quando si andò a farne l’autopsia, rivelava intensa emorragia interna.

Un terzo dente devitalizzato fu estratto da questo paziente e fu impiantato in cinque conigli in successione: il primo coniglio sviluppò emorragia e infiammazione ai muscoli; il secondo sviluppò aumentati livelli di sangue nel cuore, atrofia dei muscoli, rigonfiamento da edema dei reni; il terzo sviluppò appendicite acuta, minuscole emorragie delle pareti del piccolo intestino, e congestione del sangue nei muscoli del cuore e nel fegato; il quarto mostrò atrofia di cuore e fegato, il quinto mostrò congestione di sangue nel muscolo cardiaco e nei reni.

Il paziente sviluppò una emorragia secondaria dopo l’estrazione dei tre molari superiori sinistri, che persistette per ore e che richiese la presenza di un infermiere per tutta la notte. Questi denti sono quelli che causeranno emoraggie ai conigli inoculati. Da lì in poi il paziente si riprese; non ci furono più emorragie e il paziente diceva di sentirsi bene come non era stato per anni. Le analisi precedenti alle estrazioni avevano mostrato un livello di calcio ionico che era molto sotto la norma (oltre che alterata azotemia, glicemia, urea, eritrociti, leucociti polimorfonucleari. Le analisi si normalizzarono, in particolare i livelli di calcio ionico furono i primi a rientrare nel range appena dieci giorni dall’estrazione”.

La questione che ci interessa è che, venendo a mancare al dentista il concetto di focalità e anche venendo a mancare strumenti affidabili di valutazione delle focalità dentali, le radici dentali di una persona con malattia cronica o disturbi periferici di varia entità vengono trattate e ritrattate anche per decenni e sono sempre un “successo”. “Insuccesso” è quando la formazione di pus è incontrollabile, solo allora ci si arrende, ma non prima che il dentista abbia dato sfoggio delle sue straordinarie abilità di domare questo cavallo imbizzarrito che caccia pus e dà fastidio.

Il semaforo verde che dice al dentista che l’infezione sta avvenendo è all’esterno del dente, i raggi X evidenziano materiale radiopaco (infetto) che appare alla radice del dente (alone nero).

Ma abbiamo già detto di questo, del fatto che l’ortopanoramica rivela una percentuale davvero bassa di cisti; a meno che uno non si metta ad usare la Tac, la scintigrafia o, meglio ancora, la radiografia digitale (per osservare addensamenti osteitici intorno all’infezione invisibile). E’ come quando uno vuole ottenere un dettaglio sulla superficie della luna: se usa il binocolo invece che un potente cannocchiale è segno o che non ha esperienza o che gli va bene la situazione che non troverà niente.

Del resto c’è un problema insormontabile con la lettura dell’infezione direttamente nel dente. La presenza di batteri anaerobici nella dentina non compare ai raggi X. La polpa in decomposizione non è radiopaca. Cioè nemmeno il marciume peggiore dentro il dente devitalizzato compare ai raggi X.

Una volta estratto il dente devitalizzato, possiamo metterlo a coltura o sezionarlo per l’analisi al microscopio, ma quello che succede dentro di esso quando rimane in bocca non è dato saperlo (la putrefazione non è radiopaca).

S’ortopanoramica i dentisti leggono come normali irregolarità dell’osso che potrebbero invece indicare un addensamento osseo come di perimetrazione intorno all’invisibile fenomeno infettivo, perché così è stato loro insegnato dai libri di testo universitari.

Le cose che il dentista normale sa è che quando esiste una terapia canalare “corta”, cioè dalla radiografia si vede che il dentista precedente non è arrivato fino in fondo all’apice radicolare nel togliere la polpa, è garantito che nel tempo la polpa non rimossa vada in putrefazione (fenomeni pulpitici sono invisibili ai raggi X).

Ma proseguiamo con il ragionamento del dentista normale. L’alone nero spessissimo non dà fastidio, diciamo che la regola è che il paziente non lo sente nemmeno, ma cosa può succedere? Che all’improvviso, da un momento all’altro, senza che ci sia motivo apparente, la zona si inizia a gonfiare, gli fa male, si gonfia, esce il pus, ecco l’ascesso.

Poi l’ascesso guarisce (con antibiotico, ma anche senza l’uso di antibiotico), e rimane li silente l’alone scuro ancora per un po’, e in modo ricorrente in tempi medio-lunghi può fare ascesso. Nella testa del dentista ci sono anche aloni neri di denti morti che non evolvono proprio in niente (è il paziente che evolve, cambia città o va da un altro dentista).

Ovviamente il dentista ragiona che meglio è fatta la cura canalare (rispetto alla rimozione della polpa del canale principale e riempimento), maggiori sono le possibilità che non evolva in ascesso.

L’unica preoccupazione del nostro dentista è che non evolva in ascesso. Castelluzzi, un’opera classica di riferimento dell’endodonzia, spiega che per un dente devitalizzato “Successo” è usato per indicare la “non formazione di ascesso” e “Insuccesso” è quando “c’è formazione di ascesso”. Una cura canalare corta che rimane lì con il suo alone nero senza creare ascesso è qualcosa su cui il dentista, a sua discrezione può intervenire o meno con il rifacimento della pulizia canalare, ma che fino a quando non evolve in ascesso è definita un “successo”.

Se questo è il modo di usare la parola “successo” allora non meraviglia che pazienti con denti focali vengano sballottati secondo schemi nei quali ovviamente il concetto di focalità vero non viene mai preso in considerazione.

E’ cosi che uno va sempre dal dentista (o dai dentisti) a rifare le stesse cure canalari in continuazione. Se la formazione di pus arriva fuori controllo, solo allora non c’è motivo per voler estrarre il dente. Molte persone che hanno contattato la nostra associazione sono invecchiate proprio in questo modo, con decine e decine di intolleranze alimentari che nel frattempo si formavano e di disturbi che venivano causati da denti devitalizzati focali.

Perché alcuni denti devitalizzati rimangono un successo nonostante siano fatti male o abbiano aloni peri-radicolari, e solo pochi provochino invece l’ascesso? Chiedetelo alla scienza della statistica, risponde il cervello del dentista e così sotterra la questione. La risposta del cervello alternativo sarebbe stata: la maggior parte degli organismi è in grado di incapsulare la focalità infettiva, ma ciò non ci autorizza ad ignorare la questione se non ci vogliamo trovare una tegola sul capo 20 anni dopo).

E’ evidente che il dente devitalizzato in putrefazione di norma lo troviamo perimetrato e perciò esso, invece di darci effetti acuti, pavimenta la strada verso una pressoché invisibile esposizione tossica a basse dosi cronicamente.

Il dentista normale si allarma solo davanti al pericolo di ascesso, e in ogni altro caso gira lo sguardo altrove, anche quando è posto davanti a qualche indizio.

Il problema dei denti devitalizzati

Solo se siete stati dentisti potete sapere la differenza tra i denti estratti vivi e i denti estratti devitalizzati. Questi ultimi sono rottami, tutti sgretolati, il marciume interno si può immaginare da alcuni preoccupanti spot neri che di tanto in tanto compaiono sulla parete.

Una volta estratto il dente devitalizzato, potreste sentire già da subito un odore nauseabondo (insospettato quando il dente era in bocca), ma aspettate un giorno o due, mantenendolo in soluzione sterile (ipoclorito), e potrete notare come dalla dentina inizino ad uscire enterococchi: questa prova è stata pubblicata ormai da vari autori, per esempio da H. Lodenkamper (Physikalische Medizin und Rehabilitation, Heft n.7 und Heft n.9, 1971).

Il prof. Jerry Bouquot (patologo, direttore al Maxillofacial Center per Diagnostics e Research di Morgantown, Univ. West Virginia) ha evidenziato il marciume in ogni singolo dente estratto in cui la devitalizzazione risalisse a due anni: uscivano cadaverina, putrescina, actinomiceti e batteri anaerobici (clostridia, etc.).

Non stiamo parlando di denti che avevano fatto ascessi o granulomi, al contrario erano denti impeccabili che non davano problemi locali e le cui devitalizzazioni erano state ben eseguite e sigillate.

La putrefazione all’interno del dente non è radioopaca e sfugge ai raggi X, secondariamente produce osteite (infezione – infiammazione – rarefazione nell’osso) che, essendo nel tridimensionale, sfugge comunemente all’analisi bidimensionale (ortopanoramica). Dunque fin tanto che i denti marci restano nella mandibola il fenomeno rimane nascosto.

Nella devitalizzazione del dente, la polpa nel canale principale viene estirpata e l’orifizio apicale da cui entrava il sangue viene blindato, per cui i tubuli dentinali del dente devitalizzato perdono il loro rifornimento di nutrimento: il dente è cadavere.

Coll’intento di garantire la sterilità del sito ostacolando la crescita di microbi che nella natura digeriscono i cadaveri per pulirne l’ambiente, vari miscugli di sostanze di riempimento e sterilizzanti vengono usate: formaldeide, guttaperca impregnata di metalli, antibiotici, citostatici, cortisone, questi qui più in passato che oggi, e nella versione più moderna, ipoclorito di sodio + riempimento in silicati. Il foro apicale principale viene murato oppure (sigh) un perno metallico viene infilato nella radice.

Il dente cosi preparato dovrebbe ora resistere a tempo illimitato. La realtà è però tutta diversa: entro pochissimo tempo il tessuto dentario, la dentina, si popola di microbi adatti a un ambiente di putrefazione e scarsità di ossigeno, che provocano alla lunga una decomposizione di tipo fungino del cadavere del dente. Questo fenomeno è tipico delle mummie che ospitano una flora microbica aspergillosa.

La migrazione in tessuti a distanza delle tossine è frenata per un po’ dalle risorse dell’organismo, ma più si va avanti e peggio è, così diffondono nel sistema venoso craniale e nei siti dei meridiani correlati con quel dente.

La modalità è quella della bomba ad orologeria, a doppio innesco: non solo bisogna aspettare il tempo che il dente marcisca un po’, ma anche quando il processo di diffusione tossica sia a pieno regime può rimanere nella penombra (mentre il paziente va da un medico all’altro per sintomi irrisolvibili e infine per stanchezza cronica). Conseguenze: degenerazioni come artrosi, arteriosclerosi, sclerosi a placche, cancro e quant’altro! Obiettivo finale di questa situazione ad orologeria innescata da denti devitalizzati è il della regolazione dei vari sistemi.

Con la devitalizzazione del dente abbiamo creato una situazione particolarissima: un osso cavo cadavere con i suoi microscopici tubuli ormai inutili e la polpa dei canalicoli secondari che offrono possibilità ineguagliabili di ospitalità agli organismi della putrefazione.

Chi ha una intenzione seria di dare una smentita sull’argomento deve fare un semplice esperimento: mettere a coltura i denti devitalizzati e vedere cosa ne esce. Non ci sono scuse: oggi all’università viene insegnato agli studenti che la comprova che un dente sia infetto la si ottiene mettendolo a coltura e osservando i ceppi di batteri che appaiono. Questo è esattamente il metodo principale usato dai vari ricercatori che citiamo di qui fino alla fine di quest’opera.

Scrive il dottor Meinig: “Iniziando a leggere l’opera del prof. Weston Price, mi trovai di fronte alle foto al microscopio che mostravano la presenza di batteri nei tubuli dentinali. La colonizzazione poteva essere dimostrata quasi nel 100% dei denti devitalizzati estratti, anche quelli che apparivano perfettamente fatti, anche quelli che non creavano aloni neri alla radiografia, anche quelli di portatori con apparentemente nessun problema. (..) Scoprii successivamente che altri due gruppi di ricerca (uno svedese e uno inglese) avevano pubblicato indagini in microscopia della dentina, ma solo di denti sani (fino al trauma fisico accidentale), nessuno mai aveva ripetuto la ricerca di Price sui denti devitalizzati, sul fatto che la loro dentina in putrefazione inevitabilmente si popolasse negli anni dei batteri anaerobici della peggior specie” (“Root Canal Cover-Up” p.171).

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L’irrorazione alle strutture dentinali e al dente viene stroncata per sempre con la terapia canalare: il dentista, oltre a spolpare il canale principale, lascia un tappo di cemento sulla radice apicale, cioè un muro che sigilli definitivamente il cadavere. L’interno del dente e i suoi canalicoli non vengono più né alimentati né controllati dagli spazzini veicolati con il sangue.

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LA DENTINA DEL DENTE DEVITALIZZATO SI POPOLA DI BATTERI,

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vedi foto : www.dr-thomas-herms.de/it-zahn.htm

C’era una volta Weston Price, uno che non si arrendeva tanto facilmente e così gli venne il sospetto che una cura canalare che aveva fatto ad una sua paziente (sebbene tecnicamente era perfetta e senza segni locali di reazione o granulomi che si evidenziassero ai raggi X), potesse essere la causa della grave condizione degenerativa che nel frattempo aveva sviluppato. Tolse il dente e pianificò di impiantarlo su un coniglio. I risultati confermarono i suoi sospetti: la donna guarì immediatamente e senza ricadute dall’artrite che l’aveva costretta alla sedia a rotelle negli ultimi sei anni e il coniglio si ammalò di artrite ed ebbe un declino dello stato di salute. Continuando le osservazioni in questa direzione egli scoprì che denti devitalizzati che non apparivano assolutamente infetti erano lo scrigno della malattia, estraendoli e impiantandoli sperimentalmente sottocute, la malattia del paziente veniva trasferita all’animale.

Come secondo traguardo Price, armato di microscopio e macchina fotografica, riuscì a documentare fotograficamente la localizzazione dei batteri. I tubuli dentinali sono così microscopici che se consideriamo quelli di un dente frontale e li mettiamo uno dietro l’altro a formare un filo, si raggiungerebbe la lunghezza di cinque chilometri e mezzo. In quanto al loro volume, essi sono grandi abbastanza che in ogni centimetro (dei chilometri di tubuli dentinali) potranno viverci comodamente milioni di batteri.

Lin [1991] spiega che tutto “questo spazio e la polpa che fornisce un ottimo mezzo di coltura per i batteri costituiscono un terreno franco, dove non arrivano né le cellule del sistema immunitario né gli antibiotici”.

Il prof. Price e il suo team di 60 batteriologi sfruttarono così i primi 1000 denti devitalizzati estratti: applicarono il miglior sforzo possibile per pulire fino in fondo tutto quello che era meccanicamente accessibile, dopodichè inserirono nei canali le soluzioni caustiche con più potere di uccidere batteri, e nel fare ciò si spinsero oltre tutti i limiti che potrebbero essere raggiunti se il dente fosse stato ancora su un essere umano vivente. E tenete presente che il dente ne rimaneva impregnato per 48 ore (mentre il dente del paziente odontoiatrico riceve soluzioni disinfettanti meno aggressive e per solo pochi minuti). E quale fu il risultato? I test batteriologici mostrarono che 990 denti su 1000 manifestavano ancora la presenza di temibili colture batteriche (che avevano vari effetti negativi sulle cavie esposte). Questo fu il terzo traguardo della ricerca di Price, ricavare colture batteriche dalla dentina di denti devitalizzati e dimostrare che avevano effetti negativi. Solo se il dente devitalizzato veniva portato a 600°C in autoclave si raggiungeva l’obiettivo della sterilizzazione e non faceva ammalare il coniglio! E’ impossibile nella pratica odontoiatrica sterilizzare/mummificare questi denti visto che la dentina e i canalicoli secondari della camera pulpare sono irraggiungibili e le soluzioni sterilizzanti sono troppo blande rispetto al contenuto batteriologico che con il tempo tutti i denti devitalizzati sviluppano.

M.J. Rosenau, a distanza di qualche decennio, ripercorrerà passo passo gli esperimenti effettuati da Price che dimostrano sia effetti acuti di queste tossine e batteri (che egli trovava nei denti devitalizzati clinicamente coinvolti, era una questione allora di dimostrare “la teoria focale dei virus”), e sia la preoccupazione successiva, cioè di creare un modello sperimentale di disturbi cronici a basse dosi di tossicità prodotta dall’infezione incapsulata.

I denti devitalizzati non sarebbero una preoccupazione solo se non esistessero le seguenti realtà:

1. gli effetti a distanza di focolai infettivi sono pienamente dimostrati oggi;

2. anche i denti devitalizzati apparentemente perfetti e sigillati hanno tutti un notevole carico bio-tossico, come dimostrato dal prof. Jerry Bouquot (patologo, direttore al Maxillofacial Center per Diagnostics e Research di Morgantown, West Virginia) che negli ultimi anni ne ha analizzati decine di migliaia;

3. la letteratura medica (disponibile presso la nostra associazione o presso www.ncbi.nlm.nih.gov/ entrez/query.fcgi?db=PubMed) che dimostra gli effetti nocivi di osteiti e cavitazioni si è decisamente rimpinguata recentemente: Shklar G [1976], Socransky SS [1976], Ratner EJ [1976 e 1979], Roberts AM [1979], Shaber EP [1980], Mathis BJ [1981], Tomeo C [1981], Bouquot JE [1982], Wang M [1982], Demerath RR [1982], Grecko VE [1984], Roberts AM [1984], Fromm GH [1984], Devor M [1984], Ratner EJ [1986], Wannfors K [1989], Raskin NH [1988], Dalessio DJ [1991], Bouquot JE [1992], Kirch W [1992], Ono K [1992], McMahon [1992 e 1994], Bamberger DM [1993], Montonen M [1993]. Shankland WE [1993], Crim JR [1994], Laughlin RT [1995], Mader JT [1996], Godfrey ME [1997], Suei Y [1997], Aitasalo K [1998], Karol EA [1999], DeNucci DJ [2000], DuPont JD [2000], Fristad I [2000], Sunde PT [2000], Brook I [2003].

4. le osservazioni cliniche sono imponenti (decine di migliaia di pazienti trattati e guariti: Price, Daunderer, Bouquot, Kreger, ..).

Torno torno il dente devitalizzato viene organizzato dal sistema immunitario un vero e proprio sistema di contenimento fisico, un incapsulamento; Price fu in grado di dimostrare anche ciò, sia valutando la variazione di composizione minerale intorno al dente infetto cronicamente e sia con vari esperimenti su conigli.

Il sistema immunitario adopera parte delle sue risorse per mantenere alzato tale schermo intorno a questa fortezza di microorganismi della putrefazione. E nel frattempo è stato dimostrato che questi microorganismi pleomorfici (mutati) ovviamente possono rimanere in grotte ossee (cavitazioni) anche per decenni, in attesa di ulteriori possibilità di espansione o di segni di cedimento dello stato di salute dell’osso e del sistema immunitario. I batteri anaerobici che i vari autori hanno trovato nei denti devitalizzati sono i lontani parenti dei batteri progenitori che vivevano di aria, ora il loro metabolismo si basa sul ciclo di vari tioeteri.

Il campo disturbo costituito da un dente devitalizzato è progressivo:

  1. la dentina e la polpa restante nei canalicoli secondari iniziano a marcire un po’;

  2. quando si raggiunge un livello soglia di marciume di parti interne, inizia la fase dell’infiammazione ossea;

  3. infatti il cadavere colonizza i tessuti circostanti con i prodotti di respirazione dei batteri anaerobici all’interno del dente,

  4. i prodotti tossici, colonizzando un tessuto, lo preparano per diventare terreno di coltura dell’agente che li produce: non è più solo il dente, ma ora anche l’osso sottostante diventa terreno di coltura autolimitante per i microrganismi patogeni;

  5. la radice e il periodonto infetti già da tempo hanno iniziato a scaricare tossicità in quella grande piscina indipendente in cui pescano i denti, il sistema venoso craniale;

  6. l’osso soffre sempre più, sia per il tenore di vita di questa persona, sia per le mire espansionistiche dei batteri.

Il lavoro di Stortebecker: tossicità nel sistema venoso craniale

All’esterno del dente devitalizzato si osserva un’infiammazione tutt’intorno che cresce nel tempo verso i tessuti adiacenti. I batteri in prima persona saranno pure immobilizzati e in lungo semi-letargo all’interno di quest’osso cavo morto e relativa capsula di contenimento ma le tossine (tioeteri), che producono mentre a loro modo respirano, fuoriescono e costituiscono uno spessore di infiammazione che a sua volta l’osso cerca di perimetrare.

A questo punto alcune aliquote di risorse del sistema immunitario sono occupate:

  1. nel mantenere alto lo schermo perimetrale intorno al dente che è un po’ marcio dentro,

  2. nel dover sopportare l’infiammazione cronica dei tessuti adiacenti al dente,

  3. nel dover sopportare le minime quantità di tossine prodotte dai batteri che raggiungono il sistema venoso craniale e altri tessuti a distanza dell’organismo,

  4. raramente, sfuggono da questa mappazza anche minime quantità dei batteri in persona.

Ho la buona fortuna di avere nella mia biblioteca personale degli scritti in inglese del prof. dr. Patrick Stortebecker (da cui la Stortebecker Foundation in Svezia). In estrema sintesi, egli dice che il sistema venoso cranio-vertebrale offre una comunicazione diretta tra denti e alveolo da una parte e cervello e cavità craniale dall’altra parte (principio della distanza minima) e ancora con buona parte del resto dell’organismo.

Iniettando una soluzione con mezzo di contrasto nella camera polpare radicolare di un canino 13 (arcata inferiore sinistra) si osservava la sua diffusione nel sistema craniale venoso; iniettando lo stesso mezzo di contrasto radiologico nella mandibola, anche qui si verificava alla radiografia la diffusione nel sistema venoso craniale.

La diffusione di tossine batteriche da radici dentali e osso mandibolare ai nervi del trigemino è stata particolarmente ben documentata [Furstman 1975, Arvidsson 1975, Gobel 1981]. Questi studi furono ripetuti tra il 1954 e il 1982 da vari ricercatori, tra cui il radiologo e chirurgo maxillo-facciale Sune Ericson, il radiologo John Molin e il chirurgo Birger Nenzen. Telegina dal 1966 al 1971 ha effettuato studi che confermavano ciò al Polenov Institute di Neurochirurgia di Leningrado, così come Batson [1940, 1942 e 1957] e Anderson [1951]. La maggior parte degli studi furono fatti su animali vivi o su cadaveri umani, ma Schobingen [1957] effettuò uno studio di diffusione anche su malati oncologici.

Perché la Natura ci ha lasciato questo sistema venoso continuo cranio-vertebrale, apparentemente così insidioso? Lo studioso svedese spiega che colpi alla testa, traumi fisici e anche pianti, rabbia o sforzi fisici intensi inducono tremendi cambiamenti repentini di pressione tali che se non ci fosse stato questo sistema venoso aperto, senza valvole, le nostre vite sarebbero state a rischio in ogni momento. L’esempio che Stortebecker porta è quello di un campione della corsa: quando al massimo della velocità l’atleta forza la sua testa in avanti e con violenza irrigidisce la sua muscolatura del collo, comprimendo le vene giugulari, la sola via di uscita per l’enorme quantità di sangue dalla calotta cranica, l’unico sfogo è costituito dal sistema venoso cranio-vertebrale.

Il risvolto della medaglia è che questo sistema venoso cranio-vertebrale presenta percorsi immediatamente accessibili dalle mandibole e dalle radici dentali per un eventuale trasporto di tossine originate da insediamenti infettivi.

Tla trattazione di Stortebecker ci conduce alla domanda: “ma queste tossine nel sistema craniale che fine faranno?”.

instabilità emotiva, fino a disturbi del comportamento

Daunderer sottolinea l’instabilità emotiva che i foci dentali causano: “Le tossine dentali come l’amalgama fanno sviluppare dei foci purulenti nella mandibola che irritano i nervi craniali e di conseguenza, portano ad un’irritazione organica che è alla base di disturbi emotivi. I sintomi psicosomatici si curano solo rimuovendo il pus (“somatica”) sotto il dente, poi l’irritazione del nervo (“psico”) scomparirà. Se le cause organiche di questi disturbi psicologici sono ignorate per un lungo periodo di tempo o se si tenta di intervenire solo con la psicoterapia, si scivola verso un danno organico irreversibile, a volte il cancro. Un giorno l’intero edificio che è la psichiatria dovrà essere costruito di nuovo, si vedrà che la storia inizia quando si va dal dentista, tutto quello che va monitorato è cosa passa dalle sue mani alla bocca del paziente e in che locazione. Se il dentista metterà amalgama nei denti dell’arcata superiore, allora appariranno disturbi psicologici; se la metterà in quelli inferiori, avremo danni immunologici, artriti reumatoidi, etc”.

Una citazione da “Dental infections and Degenerative Diseases”, volume II ci presenta un paziente di nove anni di età, la cui madre riferiva a Price: -Non può giocare con gli altri bambini senza dare schiaffi in faccia o produrre altri imperdonabili attacchi e senza provocazione. Fa questo anche con me e con il padre. Poiché per il momento non lo possiamo riportare a scuola (la maestra ha minacciato di lasciare la scuola se lui torna in quelle condizioni), ho pensato di approfittare per sistemare i suoi denti -.

“Caso n.458: Il ragazzo aveva tutti i sintomi di iperattività muscolare e nervosa, con una esagerazione della fase irritabilità. All’esame risultava aver perso la sua capacità di coordinazione, era impossibile per lui sedere dritto, aveva, di quanto in quanto in continuazione, contrazioni involontarie e movimenti a scatti e, come fanno questi pazienti, faceva tentativi di rendere una contrazione muscolare involontaria in una volontaria. Accadeva cioè che nelle ginocchia si originasse un sobbalzo involontario e allora, per evitare l’imbarazzo, trasformava quello in un calcio. e lo stesso accadeva riguardo al suo uso delle mani e braccia. Se aveva qualcosa nelle sue mani quando il movimento involontario si verificava, egli lasciava l’oggetto volare in aria in modo che il movimento apparisse come una sua intenzione. Spiegammo alla madre che suo figlio non era affatto un cattivo ragazzo, che aveva un’infezione della corteccia del cervello, che probabilmente derivava in gran parte da denti da latte divenuti pulpitici; e che quando l’infezione fosse stata rimossa ci aspettavamo che sarebbe tornato normale. Con grande difficoltà, come potete immaginarvi, riuscimmo a rimuovere i denti da latte coinvolti, che risultarono avere molta polpa infetta. Ne facemmo delle colture da inoculare a conigli, e in molti animali fu prodotto un coinvolgimento acuto del sistema nervoso centrale; in particolare quattro conigli di questa serie, erano così notevolmente disturbati al livello del sistema nervoso centrale, che non appena si agitavano un poco poco in più del normale cadevano letteralmente da un fianco. La biopsia della corteccia del cervello di uno di questi conigli mostrò multiple zone petecchiali di sanguinamento a spilli e zone di emorragie diplococciche, che portavano ad irritabilità e impetuosità, persino violenza, insomma un modello animale di questa sindrome. Le condizioni del ragazzo migliorarono dopo l’estrazione di questi denti, ritornò alla normalità molto rapidamente. Due settimane dopo era tornato a scuola e si comportava come un alunno normale e nel periodo di osservazione di cinque anni non ha avuto ricadute”.

Da notare l’attinenza con una pagina della medicina che ormai è passata agli atti: qualche tempo fa iniziarono ad essere effettuate tonsillectomie perché l’infezione della ghiandola stava causando malattia, ma per qualche decennio ancora non ci si rese conto che spesso, quando la chirurgia non era completa, si lasciavano pezzi infetti di tonsille (per cui la situazione non solo non migliorava, ma peggiorava: lo scrigno di infezioni era più attivo che mai). Quando questi pazienti ritornavano dal medico dicendo che la rimozione delle tonsille non aveva funzionato i medici accantonavano l’argomento tonsille infette e cercavano altre spiegazioni. Molti di questi pazienti, sia in base ai sintomi nervosi sia in base alla molteplicità dei sintomi, furono etichettati come nevrotici e vennero loro dati farmaci per disturbi mentali.

Anche Huggins spiega il rapporto dei focus dentali e l’instabilità emotiva: “Dopo aver raccolto dai pazienti cui si bonificavano le focalità dentali le stesse storie centinaia di volte, non posso non cercare di menzionare un aspetto ricorrente, anche se non so da dove iniziare per descriverlo. Il cambiamento in questione è l’instabilità emotiva. Un gruppo particolarmente numeroso è di quelli che mi dicono che prima avevano “flashback” ricorrenti, di spaventose esperienze risalenti a quando erano bambini piccoli. Altri pazienti ancora ottengono con la rimozione dei denti focali una drammatica riduzione dell’ansia, depressione o irritabilità, nell’arco di 24 -48 ore”.

Il libero flusso di tossine entro questo sistema venoso cranio-vertebrale ha implicazioni notevoli per l’eziologia di diverse patologie del sistema nervoso, dice Stortebecker, fino alla schizofrenia.

Mal di testa

Mal di testa di vario tipo possono secondo Stortebecker essere il risultato della diffusione di ogni tipo di composto tossico che si insedia in un dente, amalgama inclusa, ma soprattutto infezioni dentali e osteiti (vedi la testimonianza di Ray a pag.7).

Tiroide

Analogamente, una diffusione di tossine batteriche da focolai infettivi nella mandibola e radici dentali deve essere presa in considerazione in casi di tiroidite e cancro alla tiroide, come evidenziato dalla diffusione verso la parte anteriore del collo e nella regione della tiroide e da studi clinici dello stesso Stortebecker.

Sclerosi multipla

Una delle prime e più importanti domande sulla sclerosi multipla per chi indaga sulla sua eziologia dovrebbe essere: “Come mai queste placche disseminate dal cervello fino al midollo spinale hanno tutte la caratteristica di essere localizzate intorno ad una vena?”. Non è possibile che la noxa patogena provenga da qualche sito che si affaccia su questo enorme bacino, per es. le radici dentali, i denti infetti e le osteiti peri-apicali e ossee?

E così via prosegue per pagine la dissertazione di Stortebecker soffermandosi su questa o quella malattia in siti che attingono allo stesso circuito di rifornimento sanguigno del sistema venoso cranio-vertebrale.

Il famoso principio della “distanza minima” enunciato da Stortebecker, è confermato da migliaia e migliaia di casi di nevralgia del trigemino in cui la correlazione causale con denti infetti e cavitazioni è stata dimostrata da referti clinici e dalla guarigione post-bonifica. Uno di questi casi è riportato da Perna e Liguori (Journal of Neurosurgery, 1981, vol.54, p.553-555):

“25enne che soffriva da due anni di nevralgia del trigemino, dolori episodici dal lato destro del viso, dove iniziò a svilupparsi anche analgesia. L’esame angiografico una pneumoencefalografia evidenziarono un allargamento del forame ovale destro con distruzione ossea della base del cranio a partire da una massa non-vascolarizzata. Del diametro di 2-3 centimetri questa massa fu trovata nell’intervento neurochirurgico e aveva invaso il ganglio trigeminale. L’esame istologico rilevò un intenso processo infiammatorio oltre che una contaminazione fungina da Actinomiceti (marciume). Il sito primario di questa infezione da Actinomiceti fu trovato essere un’osteite periapicale del molare ipsolaterale, con granuloma che anch’esso era sfuggito all’esame radiologico. Il dente estratto messo a coltura produsse appunto questo ceppo di Actinomiceti”.

Bouquot documenta alcune migliaia di casi in cui le nevralgie possono essere messe in relazione causale con i denti devitalizzati, estraendo i quali i pazienti guariscono da queste condizioni croniche molto gravi.

Scrive Bouquot: “La nevralgia del trigemino e molte altre patologie nevralgiche della testa hanno avuto essenzialmente cause ignote fino a poco tempo fa. La scoperta recente è che un elevata percentuale di queste condizioni sembra che siano causate dalle infezioni dell’osso (osteiti e cavitazioni). La percentuale di guarigioni che si ottengono con la loro bonifica è imponente”.

Ratner [1976, 1979 e 1986] descrive vari tipi di mal di testa e di dolori nevralgici che si irradiano a seconda di quale sito dentale devitalizzato sia affetto da osteite.

Il lavoro di Price

Le radiografie dei denti e le foto relative alle patologie vengono mostrate per alcuni pazienti di Price nel libro di Meinig “Root Canal Cover-Up”:

p.97, Un paziente soffriva di problemi agli occhi e non poteva leggere se non intervallando periodi di riposo a letture molto brevi. Questo problema ormai persisteva da molti anni e le varie nuove prescrizioni dell’oculista non miglioravano la situazione. Dopo la rimozione delle infezioni dentali il paziente non ebbe più bisogno degli occhiali che aveva portato per 15 anni e letture anche molto lunghe non gli davano più alcun problema.

Molti pazienti del dottor Price che portavano occhiali ebbero miglioramenti tali dei loro occhi dopo l’estrazione di denti devitalizzati coinvolti che le prescrizioni per gli occhiali dovettero essere ridotte, o anche si poteva fare completamente a meno degli occhiali.

p.52, La coltura batterica derivante da un dente devitalizzato di un paziente con artrite, fu usata per esporre quattro conigli; in tutti e quattro i casi i conigli svilupparono reumatismo acuto, e in più due di essi ebbero problemi al fegato, uno lesioni alla cistifellea, uno difficoltà intestinali e due svilupparono lesioni cerebrali.

p.52, Consideriamo ora un paziente con miosite (disturbo dei muscoli), nevrite e lombalgia: i tre conigli inoculati con la coltura batterica originata dal primo dente devitalizzato estratto svilupparono tutti e tre reumatismo, in più due svilupparono lesioni cardiache, uno malattia polmonare, tutti e tre malattia epatica, uno coinvolgimento della cistifellea, due coinvolgimento intestinale e due coinvolgimento renale.

Il paziente intanto era guarito con la rimozione del primo dente devitalizzato, ma ebbe un secondo dente devitalizzato estratto. Anche questo fu messo in coltura e inoculato in nuovi conigli. Questa volta nessuno degli animali sviluppò reumatismi, ma tre svilupparono una condizione acuta a carico del fegato e uno lesioni al cuore.

p.52, La coltura di un dente devitalizzato di un altro paziente con reumatismo acuto provocò nei 10 conigli inoculati i seguenti disturbi: problemi al cuore (in tre casi), problemi ai polmoni (in tre casi), problemi al fegato (in tre casi), problemi allo stomaco (in due casi), problemi ai reni (in quattro casi), reumatismo (in cinque casi), miosite (in uno). Evidentemente i conigli potevano sviluppare ognuno più di un problema.

p.53, L’inoculazione di materiale batterico estratto da denti devitalizzati di pazienti con problemi agli occhi causava un’elevata percentuale di problemi agli occhi (ma non solo). Un paziente aveva esoftalmo (occhi protundenti) e accusava grave dolore per la rottura di vasi sanguigni. Dei 13 conigli inoculati con i batteri in coltura dal dente a lui estratto il 62% sviluppò coinvolgimento oculare, il 69% coinvolgimento intestinale e lesioni al tratto digerente, e numerose altre condizioni apparvero in modo sparso con lesioni a carico di altri tessuti.

p.53, Consideriamo un paziente che soffriva di grave diarrea e doveva andare al bagno ogni 15 minuti: tutti i quattro conigli svilupparono diarrea. In un altro caso di condizioni digestive acute, tre dei conigli inoculati del materiale batterico ricavato dal dente ebbero essenzialmente coinvolgimento dello stomaco e intestino, uno della cistifellea e fegato. Dopo di ciò fu effettuato un altro step e cioè il materiale prodotto dalla coltura batterica fu passato attraverso un microfiltro Berkefeld che rimuoveva i batteri ma non le tossine dei batteri. I conigli esposti solo alle tossine dei batteri soffrivano praticamente ugualmente: dei nove conigli trattati, il 44% svilupparono problemi intestinali, il 67% problemi al fegato, il 33% problemi al cuore.

p.77, Numerosi pazienti con angina pectoris nel momento in cui veniva affrontato il problema dei denti infetti avevano una rapida guarigione dai loro dolori cardiaci e ritornavano ad avere una vita vigorosa di nuovo, attiva e in piena salute. Un tipico caso clinico è il seguente: una 23enne soffriva di grave coinvolgimento cardiaco acuto e reumatismo; i suoi genitori erano morti di malattie cardiache a 55 e 60 anni. Il problema cardiaco della giovane era così intenso che poteva a malapena camminare da una parte all’altra della stanza. Dopo l’estrazione dei denti devitalizzati infetti, guadagnò 7 chili e una salute perfetta che mantenne nel periodo di controllo di cinque anni durante il quale poté riprendere normalmente i suoi studi.

La miocardite è un’infiammazione delle pareti muscolari del cuore. I casi acuti sono idiopatici, non si sa a cosa attribuirli. Ebbene il dottor Price ottenne dei risultati così netti e costanti con l’estrazione dei denti devitalizzati da dire che nella maggior parte dei casi la causa era quella.

p.79, Passiamo ad un caso di flebite con disturbi del tratto gastrointestinale, del fegato e della cistifellea: il coniglio esposto alla coltura prese dal dente devitalizzato estratto a questa donna soffrì di un disturbo acuto della cistifellea accompagnato da ulcere multiple e infezioni localizzate nelle pareti dei vasi sanguigni del coniglio. Il materiale batterico iniettato nell’orecchio di un altro coniglio causò il rigonfiamento dell’orecchio, che diventò fino a 20 volte piu grosso dell’altro orecchio. La flebite dell’orecchio del coniglio era molto dolorosa.

p.122, La maggior parte delle condizioni ai reni si sviluppano silenti e senza che per lungo tempo vengano diagnosticate come dimostra il caso di una donna 41enne con reumatismo e condizione cardiaca per la quale una valutazione di routine delle urine mostrò coinvolgimento renale. Il dente devitalizzato che le fu tolto fu coltivato in coltura per 24 ore e un centimetro cubo della soluzione fu iniettata in vena ad un coniglio. Dopo 49 giorni il coniglio morì. L’autopsia mostrò l’ingrossamento dei reni e, al microscopio, necrosi dei tessuti e dilatazione dei tubuli glomerulari che produceva macroscopicamente delle cisti. La spossatezza, il reumatismo e la nefrite della donna erano scomparsi subito dopo la rimozione dei suoi due denti devitalizzati infetti, nel periodo di follow-up di tre anni la paziente fu in grado di fare lavori pesanti continuamente e non ebbe ricadute di sorta.

p.125, Il dottor Price ha osservato la relazione in un gran numero di donne tra problemi a utero o ghiandola ovarica e denti devitalizzati infetti.

p.126, Vari mesi prima dell’estrazione di tre denti devitalizzati un paziente aveva accusato un doloroso rigonfiamento dei testicoli, che si pensò essere correlati con un coinvolgimento reumatico. Sia il reumatismo che il dolore testicolare furono di molto alleviati dall’estrazione dei denti infetti. In test su 100 conigli inoculati con la coltura batterica di questi denti devitalizzati solo pochi di essi svilupparono un coinvolgimento testicolare, più comunemente altre ghiandole o tessuti diventavano coinvolti.

p.127, Le irritazioni della vescica furono da Price trovate essere frequentemente causate dalle infezioni dentali. In uno di questi casi un 65enne era così piagato da una cistite che per cinque anni non aveva potuto uscire di casa perché doveva urinare ogni 30 o 60 minuti e lo stress per questo era insopportabile. L’infezione stafilococcica di quest’uomo migliorò entro 24 dall’estrazione di due denti infetti (molari inferiori). Dopo due settimane doveva urinare solo ogni cinque ore.

Ai tempi di Price fu Percy Howe il paladino di turno dell’ortodossia a sobbarcarsi il carico di dover dimostrare che le infezioni focali di cui parlava Price costituivano un’idea sbagliata e da scartare. E come ci riuscì? Con un singolo esperimento pubblicato nel 1930 in cui Howe usava streptococchi presi dal cavo orale (di persone sane) che iniettati nei conigli non li facevano ammalare per niente.

Ok, ok… ci arrendiamo, lo studio di Howe dimostra l’innocuità dei normali batteri presenti nel cavo orale. Ma sono gli streptococchi che nel dente devitalizzato diventano sempre più piccoli, anaerobici e aggressivi (perché completamente al sicuro dal controllo ambientale), sono quelli che preoccupavano Price. Lo studio di Howe, piuttosto che smentire il lavoro di Price, sottolinea un lato del discorso, elaborato anche da un ricercatore dell’Univ di Oslo, Sunde il quale dimostrerà nel 2000 che gli streptococchi presenti nell’osso cavo morto sono ormai i lontani parenti degli streptococci “tranquilli” coltivati nel cavo orale dove il sistema immunitario, la saliva e l’ossigeno impediscono loro di degenerare in forme aggressive. Proprio per questo i denti devitalizzati sono bombe ad orologeria!

Ancora oggi i dentisti che hanno sentito nominare Price sanno per certo che i suoi studi per qualche motivo non andavano bene. Price ha prodotto una casistica di successi clinici notevole, questa però è stata subito messa nel dimenticatoio come se la clinica oggi non fosse importante o scientifica. Price, Daunderer, Meinig, Huf, Herms, Huggins, Rosenau, così come tanti altri (Grossman, Kreger, Ratner, Hussar, Stockton, Stortebecker, etc.), sono arrivati a queste valutazioni grazie ad una grande determinazione e l’abitudine all’osservazione clinica, per cui si spiega anche perché gli altri non ci siano arrivati.

Affianco alle centinaia di remissioni cliniche ottenute, Price cercò di documentare con il miglior sforzo possibile della sua intelligenza e della scienza sperimentale il fenomeno che era coinvolto.

Dimenticati i successi clinici, l’argomentazione per cui i suoi studi sperimentali furono spostati nel cassonetto ai suoi tempi è che quella teoria degli effetti a distanza (teoria delle infezioni focali) la scienza in quel momento non la accoglieva (Howe prese dei batteri e tentò di disprovarla!).

Oggi gli effetti a distanza di siti infetti sono un mattone della medicina (tutti noi sappiamo degli effetti a distanza di tonsille infette o anche di resti di tonsille che devono essere rioperati perché le colonie batteriche ivi residenti producono effetti a distanza), per cui se ci sono fenomeni di evoluzione batterica nel dente devitalizzato ciò non può più non essere preso sul serio.

Solo che mentre nel disegno sperimentale più comunemente usato da Price si stava dimostrando la focalità acuta (perché dimostrare la focalità cronica in quel momento non era la priorità), i pazienti stavano subendo ovviamente una focalità cronica a basse dosi. Grazie alla capsula fibrosa che si sviluppa intorno al dente devitalizzato e il suo contenuto biotossico, ci allontaniamo dalle “situazioni di infezioni focali acute” e ci avviamo verso “l’infezione cronica a basse dosi di materiale batterico + focalità cronica del sito infiammato dalla presenza della capsula fibrosa”.

È stato detto del lavoro sperimentale di Price sui denti devitalizzati che non è mai stato replicato, informazione questa che è sbagliata.

I dottori H.D. Bumpus e J.G. Meisser [1939] pubblicarono sul Journal of Internal Medicine uno studio in cui essi recuperarono streptococci da infezioni dentali in pazienti con lesioni ai reni e quando esponevano conigli ai ceppi batterici isolati ottenevano patologie a multipli organi, la più comune delle quali era ai reni.

Il dottor R.L. Hayden [1956] riprodusse anch’egli questi esperimenti ed ottenne lesioni ai reni nel 40% di 416 animali esposti a infezioni di denti devitalizzati da sei pazienti con lesioni ai reni.

Il dottor H. Lodenkamper [1971] ha mostrato che dall’interno della dentina di denti devitalizzati estratti escono batteri patogeni, anche quando il dente venga messo in una soluzione sterile.

Il dottor H.A. Huggins [2001] ha replicato parte del lavoro sperimentale di Price, ma su maialini di guinea invece che su conigli, e ha ottenuto gli stessi risultati.

M.J. Rosenau, a distanza di qualche decennio da Price, ripercorrerà passo passo i suoi esperimenti che dimostrano sia gli effetti acuti di queste tossine e batteri (che egli trovava nei denti devitalizzati clinicamente coinvolti, era una questione allora di dimostrare “la teoria focale dei virus”), e sia la preoccupazione successiva, cioè di creare un modello sperimentale di disturbi cronici a basse dosi di tossicità prodotta dall’infezione incapsulata.

Nel suo primo articolo, pubblicato sul Journal of American Medical Association, Rosenau riportava di aver isolato batteri streptococci in un’ulcera intestinale di un paziente che soffriva di colite. La coltura batterica di questi streptococchi servì per iniezioni in numerosi animali e nella maggior parte di essi una simile colite poteva essere riprodotta. Dopo molte indagini per identificare il focolaio di quella infezione nel paziente venne scoperto un largo assorbimento periapicale in un molare devitalizzato. Colture prodotte a partire da questo dente estratto furono somministrate in vena a dei conigli. In 72 ore gli animali sviluppavano sanguinamenti, coliti necrotizzanti che contenevano lo stesso ceppo di batteri del dente del paziente.

E ora lo step sperimentale successivo. Il dente di un cane veniva infettato con il ceppo originario del dente devitalizzato. La valutazione ai raggi X mostrava che in corrispondenza di questi denti si sviluppavano granulomi periapicali dello stesso tipo trovato originariamente nel paziente. Dopo 16 mesi il cane sviluppò colite ulcerosa. Le patologie sviluppate erano le stesse, solo i tempi si allungavano (non più 72 ore).

Di altri ceppi di streptococci derivanti dai denti devitalizzati di pazienti con altre malattie furono testati gli effetti quando inseriti in denti di altri cani. 52 cani su cui furono prodotti denti infetti furono studiati e 1014 cani senza esposizione ai batteri dei denti devitalizzati furono usati come controllo. Tra il 47% e il 75% dei cani svilupparono le stesse malattie che avevano gli individui portatori dei denti da cui si ottenevano le colture batteriche. Le condizioni in questione ereno cistiti, ulcere allo stomaco, artriti, nefriti (malattie ai reni con formazione di calcoli), e varie malattie del sistema nervoso centrale e periferico.

A queste osservazioni sperimentali hanno fatto eco riscontri sull’uomo (una serie senza fine) da parte di clinici e tossicologi.

Nel libro (solo in inglese) “Death and Dentistry”, di Martin H. Fischer, il medico spiega con casi clinici come l’effetto a distanza di tonsille infette ma soprattutto di scrigni di infezioni in denti devitalizzati e osteiti sottostanti: “Una tendenza a coagulazione eccessiva è molto comune (80%) in pazienti con osteiti croniche di origine dentale: (p.8-9) quando l’embolia infettiva colpisce il pericardio abbiamo pericardite, se colpisce le valvole cardiache abbiamo endocardite, il muscolo cardiaco, miocardite, se colpisce i muscoli scheletrali abbiamo miosite, i legamenti tendinei, abbiamo fibrosite, le bursae sinoviali, abbiamo borsite o tenosinovite, se colpisce i legamenti abbiamo artrite, i bervi e i glagnli nervosi, abbiamo nevrite, il cervello, abbiamo cerebrite, la copertura del cervello, abbiamo meningite”.

Fischer continua spiegando gli effetti a distanza delle infezioni e osteiti dentali sulle ulcere gastriche e duodenali, colecistiti, cisti, polmoniti, bronchiti, reumatismi, asma, pleuriti, nefriti, iper- e ipo- tiroiditi, herpes, iriti, poliomieliti, sclerosi multipla, alcune patologie della pelle, diabete, emicranie, ipertensione ed altro. Egli riporta casi clinici e prove di laboratorio, esami, incluse fotografie dei denti devitalizzati coinvolti sezionati.

La stanchezza cronica

Una testimonianza di Jean Starr (in “Defense against Mystery Syndromes, Revealing the mystery of silver fillings”, Chek Printing Co., 1994) sugli effetti spettacolari di guarigione da immunosoppressione e stanchezza cronica:

L’estrazione di denti non è esattamente la procedura standard per liberarsi dell’amalgama, e neanche la raccomando in generale, ma credo che le scelte operate dal Dr Huggins nel mio particolare caso hanno salvato la mia vita. Tutto era cominciato l’inverno di 7 anni prima, quando nella mia bocca ci fu un rinnovo totale di impianti odontoiatrici, secondo quanto programmato con la mia copertura assicurativa dentale. Tutte le otturazioni in amalgama mi furono rimosse e sostituite con nuove sempre in amalgama, inoltre furono inserite corone di nichel e di oro. Fu in quel periodo che cominciò tutto: sensazioni di formicolii agli arti, fobie, fastidi al collo, difficoltà nel suonare il piano, problemi digestivi, battito cardiaco irregolare, problemi agli occhi, alterazioni ormonali, anemia cronica, rash cutanei, ghiandole frequentemente gonfie, insonnia, dislessia. I sintomi progredirono negli anni seguenti.

I dolori al collo e alle spalle divennero intensi, penetranti, del tipo che pizzica e che dà bruciori, e si irradiarono fino a raggiungere le braccia e la parte superiore del torace. I dolori al petto e i problemi respiratori divennero sempre più gravi. I miei muscoli si indebolirono sempre più. Mi cadevano oggetti di mano e le mie gambe e braccia sembravano arrendersi. Il mio stato di affaticamento cronico era arrivato al punto che potevo passare l’aspiratore solo in mezza stanza alla volta prima che fossi costretta a riposarmi per alcune ore.

12 luglio 1985, un giorno che non dimenticherò: fu come accedere ad un nuovo contratto di affitto del mio corpo e della mia vita, con una nuova qualità e una nuova salute rispetto al precedente. Nell’istante in cui il mio dente 4 fu estratto mi sentii rivivere per la prima volta in tanti anni. I dolori al petto e la sensazione di bruciore erano scomparsi, i miei occhi e il mio cervello cooperavano di nuovo. Potevo pensare con chiarezza. I livelli dei linfociti T furono osservato prima dell’intervento e 5 giorni dopo (per i medici specializzati nel sistema immunitario questi dati sono definibili come spettacolari):

11 luglio 1985 — 17 luglio 1985

T-4 15% 78%

T-8 13% 26%

T-11 40% 78%

B-1 9% 18%

Prima di ciò ero arrivata al punto da essere diventata tesa come una corda emotivamente, di più mi sembrava di star impazzendo. Il minimo rumore, un cane che abbaiava, lo squillo del telefono, facevano scattare una reazione emotiva: c’era proprio uno sbalzo interno, poi mi venivano le lacrime e nausea, e tutto sempre in questo ordine. E ciò poteva essere provocato da allergie chimiche, dall’odore di colonia o di profumi, dei prodotti d’igiene della casa. Avevo costanti episodi di perdita di memoria a breve termine e cattiva concentrazione. E se volevo raccogliere le energie necessarie all’operazione di vestirmi per uscire fuori di casa mi dovevo tenere una buona settimana a riposo.

Un esempio simile è quello di Maria Teresa, stessa stanchezza, stessa immunosoppressione. Le infezioni croniche di origine dentale fanno ricomparire gli stessi titoli virali sballati apparsi a seguito di danni da vaccinazioni infantili (che le erano stati riconosciuti dal Ministero con indennizzo). I titoli virali erano rientrati da anni nella normalità grazie ad una serie di terapie omotossicologiche e naturali, ma precipitano di nuovo con gli eventi che seguono:

Maria Teresa passa anni di sofferenza tra due dentisti, il primo che le devitalizza 17 denti sani e glieli riempie di perni, l’altro che le toglie i perni del primo dentista e alcuni denti li tratta con riduzione a moncone, in altri rifà le devitalizzazioni, in altri sostituisce i perni. Dopo un po’ di tempo decide alla fine di estrarre qualche dente, ma non raschiando causa formazione di tasche ossee. In tutto questo periodo la paziente gli chiede di valutare le infezioni sub-dentali e lui sempre nega tutto arrabbiato per l’insinuazione che ci siano. Ma ormai la paziente si dirige verso l’ipotesi delle infezioni e queste vengono confermate al Vega test (pulpite gangrenos., osteitis), persino le cavitazioni sono così gigantesche che si intravvedono alla Tac.

Alla fine Maria Teresa deve arrendersi al fatto che per qualche motivo questo dentista non le vuole fare e non le farà la bonifica chirurgica delle grotte ossee. Se vedo questo dentista con la diagnosi di tasche ossee e la sua ritrosia ad intervenire nella loro bonifica mi rendo conto dell’imbarazzo che nasce dalla non abitudine.

Cisti, tumori, fibromi

Si solleva una protesi, si constata che il dente dà un terribile odore di marcio, e il dentista senza esitazione si lancia nel rifacimento della cura canalare: due esempi con conseguenze terribili provengono da queste due persone che si sono rivolte alla nostra associazione A.D.O.M.:

34enne, ha fatto la rimozione dell’amalgama ed ha ottenuto una remissione da grave malattia cronica infiammatoria intestinale. Quando mi rifaccio vivo con lei è per chiederle se ha denti devitalizzati. Apprendo che quando il dentista olistico le tolse un ponte palladiato (per sostituirlo con materiali biocompatibili), uno dei due denti devitalizzati su cui reggeva il ponte dava un odore di marciume enorme. Il dentista RIFA’ le cure canalari di quel dente e chiude la questione con un provvisorio. Improvvisamente una ciste al seno diventa un tumore maligno enorme e viene operata chirurgicamente. Proprio pochi mesi dopo arriva la mia telefonata, le spiego che quel dente morto è ancora marcio e le invio questo documento.

37enne, ben informatasi sul protocollo di rimozione protetta, va da un dentista che in effetti le dà il massimo di garanzie sul suo impegno: disincastonatura, maschera, clean-up, etc. Durante la bonifica il dentista però non prende in considerazione l’estrazione di nessuno dei vari denti devitalizzati: rifà varie cure canalari e cerca di recuperare un dente devitalizzato particolarmente mal messo. Quest’ultimo nel giro di un anno fa un ascesso e alla fine deve essere tolto. Quando sento questa storia è perché la donna ha avuto un tumore maligno al seno.

Scrive Miclavez: “La mammella contrae relazioni col 4° e 5° inferiori e col 6° e 7° superiori. Questa correlazione si spiega per mezzo del decorso del meridiano dello stomaco. Questo, infatti, attraversa ed alimenta energeticamente la mammella. Un focus odontogeno può indurre, omolateralmente, l’insorgenza di noduli mammari. Per i noduli di vecchia data è necessario il trattamento odontogeno per evitare la degenerazione maligna, quando si aggiungano altri stimoli patogeni”.

La paziente all’inizio era particolarmente intossicata da amalgama e nonostante una dieta ferrea aveva faticato per tutto il periodo di bonifica dell’amalgama. Se avesse avuto allora le informazioni sui focus dentali avrebbe subito sospettato il coinvolgimento dei vari denti devitalizzati e avrebbe adottato una bonifica migliore e radicale.

Una ricerca approfondita sull’argomento “correlazione tra focus dentali e tumori al seno”, iniziata subito dopo aver appreso queste due vicende, mi ha portato a raccogliere dei dati da brividi.

Tom Warren: “A una donna che aveva tumore al seno fu chiesto di far estrarre prima dell’intervento chirurgico al seno un dente che faceva ascesso (agli oncologi non va di operare se ci sono segni di altre infezioni). Appena dopo l’estrazione del dente, mentre la lidocaina (neuralterapia) era presente nel suo sistema, una scansione digitale (raggi X) con apparecchio termografico rivelò una linea bianca spessa che partiva dal sito dentale, procedeva giù al collo, fino al tumore al seno e poi giù allo stomaco. Alla luce di questa scoperta il dentista, la donna e il medico concordarono di aspettare ad operare. Quattro mesi dopo la rimozione del dente infetto il tumore era scomparso”.

Il dottor Swilling, della Genesis Clinic in Tijuana (Messico) segue la stessa pista: “Nella nostra ricerca dell’origine della patologia cancerosa, i casi clinici da noi seguiti hanno evidenziato che le tossine di certi molari devitalizzati trovano la strada fino alla ghiandola mammaria. Dall’infezione locata nel dente devitalizzato si origina un percorso infiammatorio che nutrirà lo sviluppo di tumori al seno. Quando i denti devitalizzati coinvolti vengono rimossi, ciò ripristina le condizioni di salute del meridiano di agopuntura associato ad essi, e il tumore inizia a dissolversi o diventa benigno”.

Il dottor John Diamond (del Triad Medical Center, che collabora con il dentista Christopher Hussar, entrambi a Reno Nevada): “Se monitoraste le pazienti con tumore al seno che vi arrivano potreste scoprire anche voi come è capitato a noi che tutte hanno il coinvolgimento di devitalizzazioni in denti legati secondo la mappa dei meridiani all’area del seno coinvolta”.

Huggins [1999] anch’egli descrive questa correlazione:

Una donna un paio di anni prima aveva avuto un tumore al seno trattato con chirurgia e radiazioni. Era stata un’esperienza particolarmente sgradevole per cui quando iniziò un dolore all’altro seno non molto tempo dopo, non lo disse al suo medico per non essere mandata all’ospedale, ma si rivolse ad Huggins per la bonifica dei campi di disturbo della bocca.. Un dente fu estratto e si scoprì alla radice una grossa sacca di infezione che era risultata assolutamente invisibile ai raggi X. Non c’era stato nemmeno fastidio o dolore al dente. Due minuti dall’estrazione del dente il dolore al seno era scomparso! Nei due anni di follow-up ancora non c’erano state ricadute di dolore al seno.

Huggins, in un seminario alla Cancer Control Society [1993], riferisce di una correlazione dei denti devitalizzati anche con i tumori al cervello: “Una 26enne era già alla terza ricaduta con metastasi al cervello. Aveva tre siti della testa coinvolti e tre denti devitalizzati. La prognosi è che le restavano da tre a sei mesi da vivere. Questo era sei anni fa, quando le abbiamo tolto i denti devitalizzati. Oggi è in vita, la risonanza magnetica dimostra che i tumori sono scomparsi e lei ha recuperato uno stato di buona salute e senza ricadute” (Tape 93F014. Cancer Control Society, 2043 N. Berendo St, LA, CA 90027. Ph: 213 663 7801).

Stortebecker riporta casi di tumori alla tiroide e gliomi e mostra come siano correlati alle tossine batteriche che si nascondono nei denti:

Stortebecker P., “Microorganisms and chronic infections as a cause of cancer”, Stockholm: Natur och Kultur 1978, pp264, ISBN 91-27-00904-1;

Stortebecker P., “Chonic dental infections in etiology of glioblastomas”, abstr 8th Int. Congr. Neuropathology, Washington DC, sett. 1978, Journal Neuropath. Exp. Neurol. 1978, 37(5): 695

Stortebecker P., “Metastatic tumors of the brain from a neurosurgical point of view. A follow-up study of 158 cases”, J. Neurosurg 1954, 11: 84-111

Ecco alcuni esempi riportati dalla d.ssa Hulda Clark nel libro “La Cura di tutti i Cancri Avanzati”, Macro Edizioni, p.72), ben corredati di ortopanoramica:

il quinto dente dell’arcata superiore sinistra presenta verso l’alto un addensamento bianco (L) che emerge dalla punta della radice, come se ci fosse uno sciame di moscerini: si tratta di un’infezione, i batteri si stanno dirigendo verso il cervello; è così che in questo organo insorgono i tumori. Cercare di salvare un dente del genere sarebbe un grave errore, anche se “ha un bell’aspetto e non dava problemi”.

questa seconda panoramica, sebbene di qualità scadente, mostra un’ampia cavitazione in alto a destra. Uno o due denti, estratti in quel punto molto tempo addietro, hanno lasciato un addensamento bianco (cioè con infezione), lungo i bordi. Una pulizia profonda permetterà al materiale osseo di riempire nuovamente la cavità e metterà fine ai disturbi cronici di cui soffre questo paziente.

i test effettuati con il sincrometro su quest’altra paziente hanno rilevato che i batteri presenti nel dente solitario dell’arcata superiore sinistra, stafilococco e clostridia, stavano entrambi spostandosi in direzione del petto. Lo stafilococco stava producendo i fattori di crescita e il clostridio era impegnato a trasformare l’RNA in DNA, per stimolare la formazione del tumore in quel punto.

Due casi di tumore vengono presentati da Miclavez [“Odontoiatria Naturale”, 1998]:

Giovanna D., carcinoma non Hodgkin, risentimento linfonodale al collo sinistro. Le furono dati 3 mesi di vita. Estratti il 26 ed il 36 già alla prima seduta, vista la gravità e urgenza. Con un collega venne seguita la parte medica con supporto disintossicante e nutrizionale. Dopo 6 mesi la paziente è ritornata ingrassata e vispa. Migliorati i sintomi, biopsia negativa, ma linfonodi ancora gonfi. Rimanevano tre denti sospetti: il 24, il 27 e il 37. Alla domanda: “Che articolazione fa male?”, Giovanna fece vedere il ginocchio sinistro, menisco interno, che da 10 anni le impediva di salire bene le scale. Test dell’anestesia neurale con procaina: zona apicale 27, nessun risultato; zona apicale 37, nessun risultato; zona apicale 24, Giovanna saliva le scale ridendo, senza dolore. Tolto il 24, che pur era parzialmente vitale, il ginocchio non le fece mai più male.

Giuseppe I.: un simpatico signore di 86 anni, papà di un mio amico, che da una settimana non evacuava più le feci. Portato d’urgenza in ospedale, fu diagnosticato un tumore ostruente del retto, terminale. Venne prenotato per l’intervento chirurgico urgente. Il figlio disperato mi chiese di fare qualcosa. Alla visita intraorale, le gengive erano rigonfie ed infiammate. Alla lastra panoramica, grossi granulomi in zona molare, quindi intestino, stavano bloccando il riflusso linfatico intestinale. Tolti con grande fatica subito i denti, fra le lamentele del povero signor Giuseppe, che non capiva perché lo stavamo torturando. Iniziato il semidigiuno ed una serie di clisteri con olio e con tubicino sottilissimo, il signor Giuseppe al terzo giorno finalmente andò in bagno. Dopo 2 mesi dovette tornare in ospedale (lo portarono in un altro per evitare di trovare i chirurghi che lo volevano operare), per una ritenzione di urina, in quanto aveva la prostata ingrossata. Lì gli fecero anche un clisma, che risultò negativo; dunque del tumore niente più traccia: si era riassorbito.

Un pensiero anche a pazienti con cisti e fibromi uterini: bonificate la bocca dai cadaveri.Weiger [1995] mostra che i batteri sviluppatesi nei denti devitalizzati erano stati in grado di produrre cisti a distanza.

Ci sono dei casi in cui è più olistico smettere di voler salvare a tutti i costi una radice mal messa e dubbia: questa paziente guarirà solo nel momento in cui verrà bonificato anche il secondo dente devitalizzato.

Per non perdere la salute di questi pazienti bisogna aprire un nuovo capitolo dell’odontoiatria biologica e cioè quello in cui sia il paziente che il dentista avviino una valutazione che consiste nel capire se la presenza del cadavere dentale nell’organismo è ancora accettabile oppure non lo è più.

Chi è ben informato può permettersi di valutare la clinica, la radiografia digitale o la Tac, etc., e decidere quando estrarre e bonificare l’osteite sottostante o quando attingere a un compromesso rispetto all’estrazione. Miclavez: “Nei casi meno gravi starà al dentista ed al medico curante, di comune accordo, decidere se prediligere la salute del paziente o scendere ad un compromesso per evitare la protesi totale. In un paziente con un tumore, ovviamente toglieremo tutti i denti morti, se la patologia è meno grave cercheremo un compromesso”.

Il dottor Josef Issels, che nel corso di 40 anni ha trattato 16.000 malati terminali di cancro in Germania con la terapia Gerson, rifiutava di accettare il paziente se questi non andava prima dal dentista di riferimento ad estrarre secondo protocollo tutti i denti devitalizzati, in quanto riteneva che senza togliere i denti devitalizzati egli era impossibilitato ad ottenere buoni risultati su questi pazienti.

Un appello simile a pazienti con tumori lo fa la d.ssa Hulda Clark: “Dopo aver esaminato la vostra radiografia [la Clark, dà indicazioni nel suo libro], decidete da soli – non chiedete al dentista di farlo al posto vostro – e segnate i denti da estrarre. Il dentista potrebbe non essere d’accordo con voi, dato che il suo lavoro consiste nel salvare i denti. Il vostro compito, invece è quello di salvare la vostra vita. Non potete aspettarvi che il dentista sappia che la vostra sopravvivenza dipende da questo. Un’alternativa potrebbe essere quella di recarsi in un altro paese per cercare un dentista ben disposto (vedi fonti)”.

Bibliografia

I seguenti libri possono essere ordinati dalla Stortebecker Foundation for Research,

Akerbyvagen 282

S 18335 Taby/ Stockholm

SWEDEN

Stortebecker P., “Toll versus prevention of unnecessary diseases”, Stockholm: Stortebecker Foundation for Research, 1980, pp.99, ISBN: 91-86034-00-6

Stortebecker P., “How to prevent cancer of stomach and colon. Small microbes are big producers of carcinogens”, Stockholm: Stortebecker Foundation for Research, 1981, pp.72, ISBN: 91-86034-01-4

Stortebecker P., “Dental infections as a cause of Nervous disorders. Epilpsy – Schizophrenia – Multiple Sclerosis – Brain Cancer. Additional notes on Myasthenia gravis – High blood pressure”, Stockholm: Stortebecker Foundation for Research, 1982; pp235, ISBN 91-86034-03-0)

Stortebecker P., “Mercury poisoning from dental amalgam. A hazard to human brain”, Stochkolm: Stortebecker Foundation for Research, 1986; pp235, ISBN 0-941011-01-1

Stortebecker è anche autore dei seguenti articoli:

Stortebecker P., “Dental infectious foci and disease of nervous system. Spread of microrganisms and their products from dental infectious foci along direct cranial venous pathways eliciting a toxic-infectious encephalopathy”, Acta Psych Neurol. Scand, 1961; 36: suppl 157, pp.62

Stortebecker P., “The cranial venous system filled from the pulp of a tooth”, Proceed 3rd Int. Congr. Neurological Surgery, Copenaghen, Aug 1965, p.635-636

Stortebecker P., “Dental significance of pathways for dissemination from infectious foci”, J. Canad Dent. Assoc. 1967, 33: 301-311

Stortebecker P., “Motor Neuron Disorder. Deficiency of arterial blood supply to spinal cord and brain stem”, Stockholm: Stortebecker Foundation for Research, 1983, pp.166

Per chi legge l’inglese consiglio caldamente l’acquisto, presso la Pottenger Foundation ( www. price-pottenger. org ), dei seguenti libri

di Weston Price, “Dental Infections and Degenerative Diseases”, Vol. 1 & 2, 1174 pagine, in inglese;

di Weston Price, “Dental Infections Oral and Systemic”, 703 pagine, in inglese;

di George Meinig: “Root Canal Cover-Up”, 225 pagine, in inglese

Altre opere sull’argomento “denti devitalizzati”:

di Richard Hansen, “Root canals, cavitations and bone diseases”, in inglese

di Susan Stockton, “Beyond amalgam”, 72 pagine, Power of One Publishing, Colorado 2000, in inglese

di Hulda Clark, “La Cura di tutti i Cancri Avanzati”, in Italia: Macro Edizioni, 2002

di W. Shankland, “Face the pain”, Aomega Publisher (2000), in inglese

Segnalo infine il sito internet del patologo Prof. Bouquot:

http://www.maxillofacialcenter.com/indexNICO.htm

http://www.maxillofacialcenter.com/NICO/albums/homealbums.htm

Oltre a trovare una rassegna tra le più complete della letteratura medica, ci sono due sezioni molto interessanti:

quella che discute i riscontri all’ortopanoramica con i riscontri del patologo sull’osso;

una carrellata di foto che si occupa dell’osteonecrosi e che dimostra che il fenomeno è più comune e più drammatico di quello che saremmo portati a pensare dalle osservazioni cliniche.

Da notare che bisogna fare una distinzione tra osteomielite e osteonecrosi.

L’osteomielite è relativamente facile da rilevare all’ortopanoramica (come fitti addensamenti bianchi intorno alla radice dentale) e ancora meglio alla radiografia digitale.

L’osteonecrosi è qualcosa di diverso; un fenomeno generale di invecchiamento dell’osso per cui studi di autopsie hanno mostrato che l’osso maxillo-facciale ha subito stress cumulativi così forti che diventa di tutti i colori: nero, marrone, argento, blu, arancio,.. Impressionano le variazioni di consistenza e le brusche accelerazioni con cui nell’osso coinvolto cambiano le gradazioni di colore ripsetto alla normalità midollare che dovrebbe essere sul giallino pallido.

L’invecchiamento per tossicità non è facile rilevarlo come l’osteomielite!

Nell’osso in necrosi,

macroscopicamente si osservano:

microscopicamente si osservano:

Tessuto fibrovascolare necrotico,ischemico, Epitelio squamoso stratificato necrotico, Colonie batteriche con PMS sulla superficie, Colonie di batteri filamentosi e Cocal, Osteomielite (ciste periapicale cronicamente infiammata), Cellule infiammatorie croniche, Tessuto di granulazione con cellule infiammatorie croniche nel legamento parodontale, Granuloma periapicale fibroso, Perdita sparsa di osteociti, e osteonecrosi ischemica Necrosi di grassi, Vene dilatate invase da piastrine aggregate, Osso osteosclerotica non vitale, Edema del midollo.

CAPITOLO 3

Il dentista bio e i nosodi

Un’area concentrata di tossine si forma affianco al dente devitalizzato in putrefazione. Man mano che l’organismo organizza le sue difese intorno ad essa, la zona si autoperimetra con metaboliti infiammatori.

Come al solito, non è un certo materiale tossico a causare il sintomo, ma la reazione dell’organismo ad esso. Cioè è lo strato esterno, quella massa sferica ipo-polarizzata a 10 millivolte (invece dei 100 millivolt delle cellule normalmente funzionanti) a costituire un peso sull’organismo (nell’ambito della trattazione di pischinger sul mesenchima).

La virulenza e la quantità di tossine del dente in putrefazione aumentano nel tempo e arriva il momento in cui parte attiva di questo focus diventano il periodonto (l’articolazione che fa da paraurti al dente) e soprattutto l’osso. A quel punto il nocciolo tossico comprende anche del tessuto osseo necrotico o infetto, e la perimetrazione si allarga.

E’ il momento per l’omeopata di iniziare a pensare alle sue opzioni per intervenire.

Una prima ipotesi è quella di usare la neuralterapia, ovvero con iniezioni di procaina ri-polarizzare parte di quella massa ipo-polarizzata di contenimento. L’effetto è di sciogliere il disordinato strato di contenimento infiammtorio e chiamare l’organismo a formarne uno nuovo, più fresco ed efficiente. Ciò avviene sia intorno al nucleo del problema e sia lungo la scia di tossine che stanno trasmigrando da qualche altra parte (al cervello, al seno, al cuore etc.).

Per cui l’organismo ha l’opportunità con la neuralterapia di affrontare con rinnovato vigore e decisione la questione focale. Spesso i sintomi a distanza scompaiono per qualche ora.

Ripetendo la neuralterapia per qualche sessione si può verificare che l’organismo tollera/ neutralizza di più il segnale patogeno.

Il problema è che a volte il nocciolo del problema (il dente in putrefazione o l’osso necrotico che ospita le colture batteriche) è così “attivo” che ci possono essere dei peggioramenti.

Scrive Daunderer: “Una misura della portata del focolaio è ottenibile anche in quest’altro modo: Se non ci sono significativi miglioramenti nell’organo corrispondente dopo tre iniezioni di procaina a distanza di una settimana, il focus deve essere bonificato, cioè il dente deve essere estratto e la cavità del dente trapanata”.

L’omeopata può ottenere una misura della portata del fenomeno attivo anche in quest’altro modo: conta il numero di fiale di osteitis, o dei vari tipi di batteri attivi nell’infezione dentale, che deve poggiare nel pozzetto dell’apparecchio EAV per neutralizzare il segnale patologico.

Miclavez ad esempio consiglia che il dente “campo di disturbo” deve essere estratto se sono necessarie tre o più fiale di “osteitis” per neutralizzare la caduta di indice dell’apparecchio Vega.

Somministrare come rimedio il nosode relativo all’infiammazione (granuloma dentis) o quelli relativi all’infezione sull’osso necrotico (osteitis, kieferostitis, enterococchi, clostridia, cisti, le proteine delle sequenze micotiche, etc.), l’omeopata più o meno ottiene l’effetto delle iniezioni di procaina, e cioè una riorganizzazione dell’organismo per tollerare al meglio l’evento tossico specifico.

Ma quando la domanda è se l’omeopata può rigenerare un dente marcio la risposta è no. Il dente marcio continua a produrre le stesse tossine che produceva prima.

Visto che il dente in putrefazione è una presenza che si auto-alimenta, una cosa inarrestabile e progressiva, la tecnica sopra-citata diventa miope se approfitta dei tempi medio lunghi della progressione putrefattiva per non occuparsene affatto, se non abbiamo come obiettivo quello di considerare lo stato di marciume del dente o dell’osso necrotico coinvolto.

Il dentista “bio” ha la possibilità, mediante l’uso oculato del Vega o EAV test, di ricavarsi informazioni su tutto quello che non si vede facilmente dall’ortopanoramica (l’infiammazione cronica di origine dentale, granulomi, cisti).

E’ un vantaggio stratosferico che però viene dissipato nel momento in cui anche per lui l’obiettivo assoluto e pressoché unico diventa quello di sempre del dentista, non estrarre il dente qualsiasi cosa succeda, a meno che la sua arte non capitoli all’ascesso indomabile.

E per domare il dente in putrefazione imbizzarrito e per renderlo di nuovo più sopportabile all’organismo, il dentista “bio” ha degli strumenti in più rispetto al dentista normale: l’omeopatia, i nosodi, in prima fila, la neuralterapia, l’olio di origano e quant’altro.

Il dentista “bio” ha una convinzione in più rispetto al dentista normale che lo persuade ad optare per il rifacimento della mummificazione del canale, è cioè che facendo uso di rimedi omeopatici (nosodi) ne attenuerà la focalità.

Usare il nosode è come cercare di girare indietro le lancette del tempo. E devo dire che in molti casi questo è proprio quello che succede (ci si avvicina al “prima”, quando le difese locali erano attive abbastanza e non c’era focalità).

Questo non significa (purtroppo) che il cadavere che tende a marcire non sia più tale. Ma solo che grazie al nosode l’organismo lo sopporta per il momento meglio.

Questa operazione olistica è elegante nel caso di persone sane il cui sistema immunitario è in buona forma e per le quali la tossicità totale non è al di sopra del valore soglia in quell’organismo tale da produrre certi sintomi cronici.

Sono del tutto da tenere separate le due cose: sezione “anamnesi: persone che stanno complessivamente bene” e sezione “anamnesi: pazienti cronici”. Chi sconfina lo fa per inesperienza. O per dimenticanza che questa prima differenziazione con l’anamnesi va fatta alla partenza.

Un esempio: Marco ha la sclerosi multipla ed è iniziata a farsi sempre più insistente una diplopia con preoccupante coinvolgimento dell’occhio sinistro. Allo scopo di togliere le numerosi amalgami si reca da un dentista olistico che disincastona, usa la maschera ad ossigeno, etc., quindi particolarmente bravo e accorto, che usa la kinesiologia e il Vega test. A dire il vero l’approccio e la stessa conclusione che ora vediamo si erano già verificati con un precedente dentista olistico. E’ evidente al dentista che i problemi del nervo ottico dalla parte sinistra siano in correlazione con un dente devitalizzato con granuloma dell’arcata superiore sinistra che ha avuto una storia tormentata, il Vega test ne dà la conferma, il dente in questione risulta focale. E che cosa succede? Il dentista scrive il preventivo e si scopre che ha l’idea di voler rifare la cura canalare (arghhh..[+#]°++!??^é°§..) del dente focale e mettervi su una corona!

Che ha pensato il dentista? il problema delle cisti si risolveva svuotandole del loro contenuto con una siringa e ripulendo il canale principale? E i canali secondari irraggiungibili al dentista e pieni di polpa in putrefazione? Un dente marcio e che fa granulomi e che è morto, può mai riprendersi e non produrre più tossicità?E l’infezione che si è già insediata anche sull’osso, a chi avrebbe affidato il compito di togliere tale osteite senza estrarre il dente?

Immediatamente il paziente lascia là dove sta questo dentista e va da un’altra parte, altro che rifare la cura canalare. Non appena estrae il dente devitalizzato con granuloma secondo i protocolli tedeschi, egli ha una regressione della diplopia che non tornerà più.

Scrive Stortebecker [1986]: “Una osteite peri-apicale, soprattutto se il dente è localizzato nell’arcata superiore, può dare luogo ad una diffusione delle tossine ipso-laterale con conseguenza che il rifornimento sanguigno al nervo ottico sarà ostacolato il chè porta ad episodi acuti di vista sfocata, complicazioni temute in merito sono la perdita permanente di visus”.

L’idea che un dente morto che ha prodotto granulomi possa essere rimesso in piedi, che gli aloni neri di denti morti possano “riassorbirsi” cioè scomparire, mi sembra che fà capolino anche nella testa del dentista “olistico”, compresa a volte l’idea che gli aloni neri di denti morti possano non evolvere in niente (sono i pazienti che evolvono, ora si dice così, negli ospedali e in cure tossiche di malattie inguaribili, ora sappiamo uno dei perché dell’inguaribilità).

Quando il timer scatta, qualsiasi masso di cemento può immobilizzare il sistema di regolazione, e dunque tutti i pazienti con patologie croniche debbono essere considerati ostaggio di lavori odontoiatrici precedenti e focalità di denti devitalizzati.

Per quanto ammirevole è lo sforzo di salvare l’impalcatura devitalizzata, c’è un punto di non ritorno a partire dal quale una persona rimane ostaggio del tappo sul sistema di regolazione che gli resta sotterrato in bocca.

Per quanto si possa pensare di attenuare la focalità osteitica, qui non siamo nella sezione “anamnesi: persone che stanno complessivamente bene”.

Se uno ha le placche al midollo osseo, possiamo metterlo nel gruppo di quelli in difficoltà? Il punto di non ritorno è stato superato. Viene superato molto prima per i pazienti cronici che non le persone sane.

La mia critica la ritirerei del tutto se il dentista olistico, dopo che ha rifatto la cura canalare nel paziente con diplopia, lo salutasse dicendo: “La radice ripristinata che ti rimane in bocca è una bomba ad orologeria il cui innesco è stato posticipato (della serie: i cadaveri sanno aspettare). Meno di prima, ma forse già da subito il dente sta agendo come tappo per le capacità di regolazione dell’organismo. Per quanto tempo può servire che grazie al rifacimento e all’omeopatia la focalità sia attenuata non te lo so dire”.

Una paziente con morbo di Crohn ha avuto vicende simili al ragazzo con diplopia:

V., piano piano fa la rimozione protetta dell’amalgama, ottiene dei miglioramenti lievi, ma la sua autonomia non migliora più di tanto nonostante si aiuti con alimentazione e varie tecniche naturali (supplementi, fitoterapia, yoga, etc.). L’EAV e il test della procaina rivelano il pesante coinvolgimento di tre denti devitalizzati, che agirebbero da blocco di cemento sul sistema di regolazione. Un dente devitalizzato lo estrae da un dentista, poi tentenna e si rivolge ad altri due dentisti olistici che le propongono di salvare le due radici devitalizzate, cioè rifare le cure canalari coinvolte e farci sopra delle belle capsule!). Poi la paziente si decide per conto suo e fa estrarre i due denti devitalizzati coinvolti e guarisce dal morbo di Crohn.

E’ evidente che tutto questo succede perché negli ultimi anni non è circolata (neanche tra i medici o dentisti olistici) la letteratura medica che dimostra gli effetti a distanza del fenomeno invisibile di putrefazione dei denti devitalizzati.

Riprendiamo ad es. gli scritti del dottor Price, secondo cui vari pazienti con disturbi intestinali, diarrea, costipazione e colite acuta, potevano correlare questi problemi a denti devitalizzati o infezioni gengivali. La figura a pag.131 del libro “Root Canal Cover-Up” mostra l’infiammazione intestinale del colon, l’appendicite e il rigonfiamento della cistifellea in un coniglio esposto alla coltura di un molare inferiore infetto di un paziente che aveva dovuto estrarlo per risolvere una colite cronica.

Un caso di colite cronica correlata con un dente devitalizzato viene descritto da Miclavez [1998]:

Giacinto C., da 12 anni con colite cronica: dalla lastra panoramica, grosso granuloma in zona del 36. La mappa organi -denti mette in relazione il dente 36 con l’intestino crasso. Copertura omeopatica con Phocus Comp., poi estrazione del dente: il giorno dopo, subito risoluzione della colite, che non si è più ripresentata dopo 4 anni. Ogni tanto piccole ricadute, dopo eccessi di cibo, ma senza paragone con quelli di prima. Epicondilite sparita.

un altro esempio:

un dente moncone devitalizzato soffre un’infiltrazione dopo 5 anni da quando è stato fatto e si forma una fistola, la fistola viene operata (viene raggiunta mediante un buco lungo 7-8 cm nella gengiva sottostante). Per la miseria quanto accanimento e fatica per salvare una radice (quel che è rimasto del dente dopo che è stato monconizzato e devitalizzato). Il dente continua a buttare pus, tu vai da vari dentisti e che ti propongono allora? Vogliamo operarlo ancora? Per la miseria, un dente devitalizzato, ridotto a una radice, infetto, infiltrato, operato, sofferente, e tu me lo vuoi operare ancora? E’ questa la mentalità che si imprime nella mente del dentista, quella prevalentemente meccanicistica. Una radice devitalizzata non viene mai considerata un punto interrogativo dal punto di vista biologico.

A questo punto la paziente arriva ad un dentista conosciuto nell’ambito olistico e che per di più ha il laser (ma che non sa misurare/valutare la focalità del dente). Il laser è uno strumento che ha certo dei pregi, anche dal punto di vista olistico (trattamento conservativo delle carie, controllo batterico, etc.), ma non quando si tende a dimenticare la bonifica vera della bocca e ci si canalizza verso la routine a cervello spento: un intervento mensile di un minuto di laser (150 Euro) dà sollievo dal punto di vista del fenomeno purulento, quel tanto che basta per andare avanti un altro mese. L’operazione “salvate la radice Ryan” devitalizzata continua. Intanto l’organo a distanza (lo stomaco, in questo esempio) sta soffrendo, non lo vedi?

Di racconti del genere se ne raccolgono centinaia, quando uno tenta di andarne a fare una sintesi ognuno di essi da solo prende una dozzina di pagine.

La cronaca procede più o meno così: i denti devitalizzati venivano periodicamente ritrattati per anni fino a quando si riusciva ad intervenire sul pus- ascesso bloccandone la formazione (e nessuno sospettava la focalità di denti devitalizzati in assenza di pus).

Scrive tipicamente uno di questi pazienti: “Sono andata in continuazione da specialisti per capire cosa mi succedeva, ma dicevano che era lo stress, il sistema nervoso, malattia psicosomatica: sono andata da allergologi, otorino-laringoiatri, stomatologo, infettologo, ho fatto tanti esami ematici di screening, RX al cranio, elettromiografia agli arti inferiori, Ecodoppler arti inferiori, E.E.G., etc, RX al torace, pneumologo, neurochirurgo, etc., ..”.

L’impaccio del dentista “bio” è giustificato perché estraendo la radice lascia un buco, e un chiodo in titanio non è certo un’opzione elegantissima dal punto di vista dell’impatto sul sistema di regolazione (per di più è costoso e in più quanto tempo reggerà in quella bocca?). Mentre alla rimozione dell’amalgama e la bonifica dei metalli ci sono alternative biocompatibili, qui no, l’estrazione di una radice ti lascia con un buco e nessuna geniale opzione dal punto di vista della biocompatibilità (forse gli impianti in zirconia, forse ponti senza metalli che non devastino i denti affianco).

Tutti quelli che chiedono un approccio olistico serio dal dentista alzino la mano. Ma il dentista, ogni volta che è messo alle corde e deve dare una risposta pratica alle esigenze del paziente, può dare poco di davvero olistico. E’ arrivato il nostro turno. Rendiamoci conto delle NOSTRE possibilità di pazienti odontoiatrici olistici.

Ad esempio: appare una carie sui vostri denti; il dentista per quanto può essere olistico la deve otturare quella carie. Altro esempio: un dente con un osso in difficoltà, il dentista non può certo estrarlo, deve devitalizzarlo!

Arriva qui il turno del paziente olistico; cioè voi che cambiate marcia e fate guarire la carie, migliorate lo stato di salute dell’osso. Se ne parlerà ancora ad inizio capitolo 6.

L’anamnesi e la somma delle dighe di castori a monte

Il dente morente o devitalizzato dà il via all’evoluzione anaerobica dei batteri ospitati da quest’osso cavo morto, fortezza per pericolosi organismi opportunisti, la degenerazione dell’osso e l’esaurimento del sistema immunitario impongono un fardello importante su tutto l’organismo.

Le condizioni di salute del paziente sono forse l’indicatore più preciso che abbiamo del suo stato di tolleranza verso i denti devitalizzati.Se uno non sta bene, neanche lo stato di salute dell’osso è buono ed in grado di fare da baluardo difensivo di infezioni o necrosi adiacenti a denti.

Interrogato Price sull’estrazione dei denti devitalizzati, se debba essere fatta sempre su ogni persona, egli risponde: «Le persone sono diverse nelle loro capacità di difesa dalle malattie cronico-degenerative».

E continua: «Non sono pronto ad essere rappresentato dalla frase che “tutti i denti devitalizzati sempre e comunque debbano essere estratti”. Anzi, le mie osservazioni sono che circa il 25% del totale degli individui, rimanendo le difese del loro organismo elevate e proveniendo da famiglie che non hanno precedenti di malattie cronico-degenerative, possono lasciare i denti devitalizzati in bocca, finanche durante la loro vecchiaia, senza che contribuiscano all’innesco patologico di organi a distanza. La resistenza immunitaria è alta e il limite di sicurezza non viene superato.

Ritengo però che c’è un valore soglia che la gran parte delle persone supera ad un certo punto della loro vita, oltre il quale la rimozione dei denti devitalizzati coinvolti è necessaria per poter ristabilire delle normali condizioni di salute».

Il prof. dr. Boyd Haley [2004], direttore del dipartimento di “Chimica e Biochimica” dell’università del Kentucky, usando i più sofisticati metodi di ricerca, ha provato che tossine anaerobiche sono ubiquitarie nelle strutture profonde di tutti i denti devitalizzati.

Nel momento in cui anche solo minuscole concentrazioni di queste tossine vengono veicolate nel sangue, esse possono inattivare i più importanti enzimi nel corpo tra cui le creatinin-kinasi, le piruvato-kinasi, le fosfoglicerate kinasi, le adenilato kinasi, e i fattori di crescita fibroblastica.

Ciò “provoca l’indebolimento continuo, anche a livello immunitario, dell’organismo impegnato nella neutralizzazione continuata di tali tossine e batteri, certamente arrivando a disturbare i meccanismi di autoregolazione e le funzioni enzimatiche” [Herms 2002].

Non c’è un dente devitalizzato che dentro non sia necrotico; la programmazione genetica delle cellule in necrosi e farsi ripulire da organismi della putrefazione e batteri. Non c’è nessun dente devitalizzato che non rappresenti questa situazione di bomba ad orologeria.

Una bomba ad orologeria che ho ben presente (e che anche molti di voi già conoscono) è l’amalgama. Essa iniziava da subito (dall’inserimento nel dente) il rilascio cronico delle basse dosi di tossicità (mercurio), per il blocco delle capacità di regolazione nelle vittime di amalgama bisogna attendere che si raggiunga il valore-soglia (di accumulo tossico e sensibilizzazione) superato il quale l’organismo non è più in grado di compensare il fattore di disturbo della presenza di amalgama + fattore di disturbo del mercurio depositatosi nel corpo. Il fattore di disturbo della presenta delle otturazioni di mercurio è predominante; tolta l’amalgama dalla bocca si rientrava nella norma (remissione dei sintomi) perché si è di nuovo al di sotto del valore-soglia.

Per quanto l’amalgama rimanga silente nella popolazione generale fino al raggiungimento della soglia cumulativa di innesco, i vari eventi della vita dell’amalgama (inserimento, rimozione) e la stessa presenza dell’amalgama producono molta più reattività che non quella che può essere notata con un dente devitalizzato infetto o osteitico.

E’ una strana bomba ad orologeria quella dei denti devitalizzati. Non sorprende la diversità, visto che per l’amalgama le vie di distribuzione principali sono il respirare i vapori di mercurio e l’ingerire il mercurio ionizzato con la saliva, mentre per il dente devitalizzato infetto c’è un primo sbarramento potentissimo che è l’incapsulamento e l’osteite condensante, mediante i quali l’organismo opera una perimetrazione del dente.

Gran parte di quello che ad un certo punto fuoriesce viene bloccato lì e ne nasce un’infiammazione cronica che appesantisce la matrice di regolazione di Pischinger (mesenchima) e il sistema neurale ed energetico, mentre la tossicità che sfugge all’esterno vieen contenuta dall’osso o viene veicolata attraverso il sistema venoso cranio-vertebrale.

I casi in cui la migrazione infettiva diventa prevalente (per sfinimento dl sistema immunitario, per mancata possibilità di perimetrazione condensante del dente), la tossicità si scarica nel sistema venoso cranio-vertebrale e può diventare devastante (disturbi emotivi, agitazione, tiroiditi, schizofrenia, fino a cancro o sensibilità chimica multipla, etc.).

Tipicamente l’organismo che implorava l’estrazione del dente devitalizzato era quello di una persona che, nonostante un’alimentazione rigida, si ritrova sempre allo stesso punto di partenza, cioè in piedi in bilico su una fune dove deve sempre rimanere attenta per non cadere.

Queste persone le descrivi bene quando parli dell’impossibilità di ottenere una disintossicazione per quanti drenanti usino [Stockton 2000]. Di solito è negativa anzi la reazione al farmaco disintossicante (per es. reagiscono al mercurius omeopatico). Ecco, tutti quelli che ho conosciuto con reazioni al mercurio omeopatico o altri drenaggi forzosi erano persone che poi hanno scoperto la necessità di estrarre denti devitalizzati!

Il concetto dei grandi clinici tedeschi è quello di una barca con la quale, per quanto a lungo e con impegno ci si metta a remare, si rimane sempre al palo. Infatti per quanti drenanti, per quanti rimedi o alimentazione attenta: il campo di disturbo tiene legata con una corda la barca al molo, l’organismo al suo sintomo e la sua malattia cronica.

Questa cosa viene ribadita in un articolo di Huf [1999]: «Raramente i foci odontogeni sono la causa prima di una malattia, tuttavia quasi sempre funzionano da blocco, nel senso di una limitazione delle capacità di regolazione. Nella patogenesi delle malattie croniche si parla di sinergismo pluricausale che conduce al collasso dei meccanismi autonomi di regolazione. Dopo vent’anni di studi specifici e di esperienza ho appreso che non si ottiene alcuna guarigione da un processo patologico in corso finché non si elimina un sovraccarico causato da un focus».

Un esempio è quello di Maria Grazia, 36 anni: Nell’aprile 2001 un medico iridologo mi annunciò che dal citotest effettuato sui cibi risultavano una valanga di intolleranze alimentari, una situazione così non l’aveva mai vista; dovevo escludere quattordici gruppi di alimenti: le intolleranze più forti in ordine erano latte e derivati, tra i cereali erano vietati il grano tenero e il grano duro, il mais, l’orzo e il riso, tra gli ortaggi le solanacee (melanzane, pomodori, peperoni, peperoncini, patate), anche la carne bovina. Un primo concetto dell’intolleranza alimentare mi diventò chiaro nell’arco di tre mesi della rigida dieta di eliminazione indicatami dall’iridologo: un fibroma uterino si ridusse da 13 millimetri a 5 immediatamente; i calcoli renali trovati nel gennaio 2001 nell’agosto 2001 erano scomparsi naturalmente, l’acido urico che era sempre stato elevatissimo si era normalizzato. La nuova dieta ad esclusione mi teneva all’angolo: escludendo meticolosamente le intolleranze non avevo né gonfiori, dolori alla bocca dello stomaco e la stitichezza andava bene, quasi normalizzata… mentre appena riprendevo gli alimenti esclusi i problemi tornavano. Certamente avevo una grande motivazione per tenere in grande considerazione questa dieta ad esclusione: avevo avuti seri problemi neurologici e muscolari, per non parlare di pruriti intensi, cisti ovariche, cicli emorraggici, infezioni vaginali multiple, dolori ossei disabilitanti. All’inizio c’era grande confusione, non si capiva se sarei mai uscita da questa situazione di intolleranze, il medico stesso che ad altri sempre reinseriva gli alimenti dopo un periodo di astensione, a me non sapeva cosa consigliare perché i problemi tornavano subito. Nel corso degli ultimi tre anni ho fatto chiarezza su tutto ciò: il tema delle intolleranze alimentari è strettamente collegato agli enzimi che perdono magnesio e alla cellula che si intossica. Figuratevi che nel settembre 2004, dopo nove mesi di somministrazione in media di 3.0 grammi di cloruro di magnesio, il test intracellulare del magnesio sublinguale effettuato all’università di Trieste rivelò ancora un basso contenuto di magnesio! Allora non avevo neanche tolto la causa prima dell’intossicazione, una quindicina di amalgame dentali, cioè quelle otturazioni che rilasciano mercurio. Molti di questi denti sono curati alla radice con altri veleni e alla fine, devitalizzati, agiscono da freno per i tentativi di guarigione. Nel novembre 2004, avendo fatto rimuovere uno dei denti devitalizzati focali, ho avuto una reazione di eliminazione di tossine spaventosa quattro giorni dopo (agiscono da freno per i tentativi di guarigione), e da allora in poi si è normalizzata la funzione mestruale”.

Scrive il prof. dr. Klinghardt: “Ogni volta che si elimina un campo di disturbo, una certa quota di tossicità che l’organismo riteneva perché energeticamente impossibilitato, viene eliminata finalmente”.

Eliminata la diga, una certa aliquota di acqua arriva a valle e la situazione di disagio viene alleviata.

Sciolto il nodo, la barca può finalmente allontanarsi dal molo in mare aperto come tutti gli altri.

L’osservazione di Price è che l’estrazione del dente coinvolto produceva una guarigione anche quando un dente devitalizzato focale (in putrefazione) avesse agito come concausa (nel far precipitare una malattia) insieme ad un certo numero di altri stressori.

A questo punto dobbiamo decidere se è olistico salvare una radice mal messa e dubbia, oppure se è olistico considerare che quella radice è un punto interrogativo grosso come una casa e sta avendo un effetto tappo sui sistemi di regolazione dell’organismo.

I campi di disturbo… oltre alla metafora del treno sovraccarico (fatta a pag. xy) o quella del vaso che si riempie e che trasborda, possiamo usarne una forse ancora più precisa. E’ quella in cui dobbiamo pensare ad un blocco che i castori attuano quando costruiscono una diga e ottengono un ristagno di acqua nel loro laghetto artificiale a monte, tutta acqua in meno che nella calda estate non arriva nel lago a valle. La diga descrive con maestosa precisione quello che fa il campo di disturbo: il nostro organismo è l’insieme delle comunità intorno al lago a valle cui questa variazione volumetrica da’ fastidio; ci sono meno risorse per loro con un campo di disturbo. Allora ci dobbiamo dar da fare per smantellare le dighe (la somma dei campi di disturbo), o almeno le dighe più consistenti.

Supponiamo di avere una serie di villaggi a valle che sta soffrendo perché i castori hanno creato delle dighe che impoveriscono l’afflusso fluviale a valle.

E ora ci sono tre ingegneri diversi che affrontano la cosa ognuno a modo suo.

Il primo ingegnere sa che le difficoltà a valle dipendono dal ridotto afflusso fluviale e sa che il mancato afflusso fluviale dipende dalle dighe che i castori hanno costruito.

Il secondo ingegnere sa che le difficoltà a valle dipendono dal ridotto afflusso fluviale. Questo ingegnere però non solo non ha mai sentito parlare delle abitudini dei castori, ma se gli dicessero delle dighe a monte non saprebbe quantificare diga per diga quale di queste c’entri di più con la situazione a valle.

Il terzo ingegnere propone una cura antiparassitaria delle coltivazioni, la vendita della coca-cola se proprio qualche contadino si accorge che manca l’acqua, e in mancanza di successo un trattamento psico-somatico per gli abitanti dei villaggi a valle. Egli infatti conosce solo questa scienza che gli insegna da sempre che lo stato di salute dipende esclusivamente dal trattamento sintomatologico con prodotti di sintesi, non certo da come arriva il fiume intorno al quale si sono stanziate queste comunità.

Il “medico ortodosso” è il terzo ingegnere.

I campi di disturbo non esistono: non è provato “il discorso tossico dell’amalgama”, non è provato “il discorso tossico dei denti devitalizzati”, e “l’osso a gruviera” crea ogni tipo di imbarazzo da parte dei maxillo-facciali e altri specialisti che posti davanti a problemi seri sanno trovare scuse, o sanno nascondersi dietro “l’impeccabilità radiografica”, o sanno negare l’evidenza.

Saper essere ignorante sui campi di disturbo e saper essere ben istruito invece sulle equazioni della scienza farmaceutica è la base per poter svolgere serenamente il ruolo che il sistema che ha coltivato il medico si aspetta da lui quando gli mette a disposizione i pazienti: far consumare (a seconda dei sintomi) le varie combinazioni di farmaci tossici a persone con patologie ahimé incurabili.

Il “medico alternativo” è il secondo ingegnere.

Il “medico dei campi di disturbo” è il primo ingegnere.

Il discorso fatto dal primo ingegnere (sostenitore del sistema medico enunciato da Pischingher) è che l’organismo rimane in secca per una somma di campi di disturbo, di dighe di castori a monte. L’esperienza clinica su migliaia di pazienti (vedi anche www.sanum.com) è che i campi di disturbo di maggiore entità che l’uomo industrializzato incontra sono l’amalgama, i denti devitalizzati, i denti marci, l’osso in osteonecrosi, la “respirazione strozzata”, la caseina, il glutine, le croste intestinali e disbiosi.

E’ chiara per entrambi, primo e secondo ingegnere, la correlazione che c’è tra difficoltà dell’organismo e squilibrio del terreno biologico, solo che l’esperienza clinica ha insegnato al primo ingegnere il ruolo fondamentale delle dighe di castori dell’amalgama dentale, o dei denti devitalizzati, o del glutine, in tutta questa storia di siccità del fiume.

Nessun naturopata è solo un “secondo ingegnere” al 100%, i campi di disturbo aleggiano nelle sue teorie (“primo ingegnere”), ma alla fine uno si perde talmente negli strumenti e le risorse per attutire l’impatto della siccità che non ha più il coraggio o la memoria o la convinzione di organizzare una spedizione per andare a smantellare la diga dei castori dei denti devitalizzati, la diga dei latticini o tante altre dighe per smantellare le quali è necessaria una risoluzione radicale e la collaborazione del paziente.

Alcuni casi di scarsezza dei risultati anche dopo centinaia di questi tentativi, che pure richiedono dispendio di soldi e di tempo, sta a confermare che ci sono delle dighe maestose che decidono la partita (pischinger, campi di disturbo).

Le contromisure sono diventate il lavoro ufficiale del secondo ingegnere, e questo medico si è persino rassegnato a perdere quando la situazione è più complessa, mentre avrà buon successo per situazioni lievi.

Il “medico dei campi di disturbo” invece organizza spedizioni solo per smontare le dighe dei castori, e con grande vantaggio. Con il fatto di smantellare le dighe di castori, non di rado egli è come quello stregone che immediatamente fa passare la siccità, o fa rinverdire i campi.

La determinazione ce la mette il paziente

Non c’è dubbio nella mia mente che sono i medici olistici che devono dare istruzioni al dentista sui denti devitalizzati e le osteiti, che devono imparare a leggere le ortopanoramiche (perché è loro, presumibilmente, il compito di capire abbastanza per GUARIRE i pazienti).

Hussar scrive: “La mia osservazione è che l’80% delle patologie dei pazienti che si presentano nella mia pratica medica originano nella bocca. Non passa giorno che io non abbia una conferma di questa stratosferica percentuale. In un’era in cui la malattia cronica sta rapidamente sorpassando la capacità della medicina moderna di affrontarle, sembra logico attingere alla corretta bonifica chirurgica dei denti devitalizzati coinvolti e delle lesioni osteomielitiche della mandibola, per estirpare le condizioni croniche che questi generano”.

Siccome non è raro che un paziente diventi ostaggio di un silenzioso campo di disturbo di origine dentale (questo era vero 3000 anni fa e ancora di più lo è nella società dei denti devitalizzati) e siccome l’osteonecrosi cronica nella zona maxillo-facciale (cavitazione) non è caratterizzata da segni evidenti di infezione, infiammazione, arrossamento, febbre o pus, e siccome è una condizione che i dentisti non sono educati a riconoscere, chi tutelerà il paziente da questo mentre scivola nelle malattie croniche dai nomi più variegati?

Purtroppo di medici olistici che vadano a valutare i denti come primissima cosa nella loro indagine in Italia se ne contano sulle dita delle mani (ecco perché scarseggiano anche i dentistiche agiscano di conseguenza).

Per ritornare al dentista di oggi, egli è uno straordinariamente messo a disagio dal pensiero di andare ad estrarre una radice, figuriamoci un dente devitalizzato con tutta la sua corona intatta; i motivi:

1. al dentista serve una prova radiografica (legalmente valida) del pericolo del dente e della necessità dell’estrazione (che non c’è quasi mai),

2. l’informazione sui casini che possono fare i denti devitalizzati è così scarsa che già arrivati a questo punto della lettura siete più informati voi pazienti che non il vostro dentista,

3. anche un medico informato non può saper per certo se “il miracolo” della guarigione succederà (quali altri campi di disturbo determinanti si nascondono nell’armadio),

4. le alternative sono complicate (impianto o ponte) o non ci sono (dentiera o bocca senza denti),

5. il lasciare un buco semplicemente non è proprio contemplato dal dentista,

6. dal 1900 circa, da quando cioè si è iniziato a fare cure canalari, “vergogna professionale” è per il dentista l’arrendersi ed estrarre una radice morta se prima non si è combattuto fino alla morte per stroncare la reattività dei tessuti verso di essa (faremo qualche esempio nelle pagine a venire).

In attesa che i “medici dei campi di disturbo” scendano loro in prima fila nel saper valutare le ortopanoramiche, nel dare indicazioni mediante Vega test delle infiammazioni di origine dentale, nel saper valutare quando un dente in putrefazione è troppo per quel particolare sistema biologico (con sintomi cronici), chi si prende allora il compito di valutare quando viene raggiunto il punto di non ritorno?.. Qualche suggerimento? Avete capito bene: si voi, i pazienti.

Il paziente che guarisce è quello pronto a tirar fuori dall’armadio tutti i campi di disturbo “determinanti”. I campi di disturbo sono molti, ma quelli determinanti sono una cerchia ristretta. Il paziente deve abbandonare l’attitudine che egli paga uno specialista perché questi decida quali sono determinanti e quali no: solo lui stesso, il paziente, può riuscirci (il suo corpo e la sua storia sono un laboratorio unico, l’unico istinto giusto è quello che lui si porta dentro).

Questi pazienti cronici vengono da migliaia di tentativi, convenzionali e alternativi. Spesso le intossicazioni hanno portato il paziente a quel punto di non ritorno a partire dal quale dente devitalizzato non deve essere presente.

Il medico dei campi di disturbo (se esistesse, o se il paziente lo incontrasse) lo informerebbe che nessun altro medico o nessuna terapia smantellerà situazioni di indebolimento e patologie che rimangono marmoree fino a quando non si bonificano i denti devitalizzati e l’osso in necrosi.

E’ evidente che i pazienti più prudenti toglieranno i denti devitalizzati, effettueranno un programma di ritorno alla salute dell’osso, tutte decisioni queste prese in perfetta solitudine, perché non c’è il medico che conosce una via d’uscita dalle situazioni complicate.

E le altre persone? Quelle che, per quanto convinte possono essere, sono frenate dal fatto che la dentiera è una scomoda riabilitazione dentale, oppure che dicono: “e i lavori milionari che hanno appena finito di fare (perni, capsule, oro)? Non ce li si può godere per una ventina di anni ancora (fino alla pensione almeno!)”.

Ricordo loro il caso di un ragazzo con sensibilità chimica multipla che ha fatto tre anni di dieta senza glutine, senza caseina, alimentazione quasi da Igiene Naturale stretta, ha fatto due digiuni di quattro giorni, poi uno da otto giorni, poi uno da diciotto giorni, poi un altro da sette giorni: i miglioramenti c’erano, ma il ragazzo non è mai riuscito a raggiungere la situazione in cui i denti focali erano brace silente sotto la cenere. Alla fine, per ottenere notevoli e stabili miglioramenti, ha dovuto estrarre (molto controvoglia) i suoi cinque denti posteriori devitalizzati coinvolti.

Sembra la ricostruzione letterale delle conclusioni di Weston Price: se l’organismo è debilitato, l’unica via di uscita la guadagniamo togliendo i denti devitalizzati.

E a scanso di equivoci e di tentazioni di scorciatoie, non dimenticate il futuro del vostro stato di salute: tra venti o trent’anni anni dipenderà dalla condizione di salute dell’osso, per cui il discorso del lasciare i denti devitalizzati dubbi produce un bilancio complessivo che facilmente va in rosso.

Il bilancio a medio-lungo termine (anche solo dal punto di vista odontoiatrico) è presto fatto se uno considera la migrazione lungo l’osso della schifezza (tioeteri, proteine tossiche, la stessa infezione, metalli, etc.), che di lì a qualche decennio ti farà perdere anche gli altri denti sani.

A proposito del buco che lascia il dente estratto, conosco un dentista che si è studiato bene la faccenda e che mostra a tutti il buco di un premolare che ha estratto e dove non ha intenzione di far ricorso a nessun lavoro odontoiatrico. L’irriverenza del dentista è evidente verso la professione odontoiatrica che egli dovrebbe rappresentare e verso le idee secondo cui la nostra mandibola sarebbe programmata in modo che se cade un dente irrimediabilmente dovranno abboccarsi e poi cadere tutti gli altri poco dopo.

L’idea che questo dentista si è fatto è diametralmente opposta: cioè se si lascia un bel dente devitalizzato con la sua silenziosa osteite sotto, peggiora l’osso e quindi peggiorano i denti affianco.

Valutate voi. primo dentista che chiama in causa la sopravvivenza degli altri denti a supporto del preservare lo stazionamento del cadavere (dente devitalizzato) nella mandibola: l’ipotesi è che Dio avrebbe deciso che se si estrae un dente debbano inclinarsi e cadere tutti gli altri di lì a poco.

Un secondo dentista che (anch’egli) chiama in causa la sopravvivenza degli altri denti, ma a supporto della pratica di individuare i denti devitalizzati che causano al Vega test infiammazione + infezione cronica dell’osso ed estrarli: l’ipotesi è che se l’osso diventa un’industria di schifezza, questa ad un certo punto si redistribuisce: non fummo fatti per tenere un cadavere (dente devitalizzato) su un osso sano, perché la degenerazione e l’invecchiamento vengono accelerati dalle sue tossine e dunque questa parabola degenerativa mette in serio pericolo tutti gli altri denti presenti. Quale delle due scelte contrastanti voi farete? Quale verità si stamperà nel vostro cervello?

Di certo siete nati in un mondo fatto di medici che non sanno niente di tutto ciò e di dentisti con tutt’altre idee stampatesi in testa per cui, a dire il vero, questi pazienti li ho visti e li vedo che continuano a ricevere consulti e spendere soldi, che continuano a rincorrere medici dei drenanti e dei supplementi , etc. etc. sempre speranzosi che una prestazione medica o una terapia possa finalmente cambiare qualcosa.

E invece il disagio rimane, perché l’indebolimento dell’osso mandibolare, causato dalla somma dei campi di disturbo e dalla presenza di denti devitalizzati in primis, fornisce una splendida fortezza per le infezioni, insulto tossico cronico che decide la partita.

Per valutare lo stato di salute dell’osso, a parte le procedure standard, che sono descritte nelle pagine che seguono, ce n’è uno ulteriore, un metodo splendido e precisissimo, secondo me il migliore di tutti: fate un digiuno per due giorni, completo (al massimo dell’acqua, se lo preferite) e state ad osservare cosa succede alla gengiva: la gengiva resterà buona dappertutto tranne in alcune parti dove si farà bianca.

La gengiva si farà bianca anche se l’osso ha sofferto per lungo tempo di un’osteite, dalla gengiva verranno a galla tossine dopo appena due o tre giorni completi di digiuno: l’osso sta cercando di depurarsi.

La gengiva si farà bianca se c’è un granuloma sotto il dente.

La gengiva si farà bianca per un’estrazione fatta male in passato.

La gengiva si farà bianca per la presenza di un’osteite da dente devitalizzato.

Per cui abbiamo un modo straordinariamente semplice ed efficace per capire lo stato di salute dell’osso con appena due- tre giorni di digiuno.

La lingua in ogni caso si farà bianca, non fateci caso. A noi interessa osservare la gengiva: in generale questa rimarrà rossa nelle parti dove in profondità non ci sono fenomeni osteitici o granulomatosi di rilievo.

Lettura della radiografia : istruzioni

Dalla radiografia il dentista normale essenzialmente vede la qualità della cura canalare (profondità del riempimento del canale, eventuale contrazione riempitivo canalare) e se c’è assorbimento peri-apicale (aloni neri).

Il fenomeno infettivo vero e proprio, sia della polpa che dell’osso, è invisibile alla radiografia, per cui il dentista informato sarà attento ad irregolarità ed anomalìe dell’osso.

Solo ad uno occhio attento e pronto a cogliere dettagli (normalmente archiviati come normalità) l’ortopanoramica regala preziose informazioni sull’osso. Un osso sano mostra nella radiografia una struttura regolare, senza intervalli bianchi o neri.

Le degenerazioni croniche dell’osso di eziologia infettiva che dall’ortopanoramica si mostrano come focus luminosi a forma di ghirlanda che partono da sotto la punta della radice dentale; questi fenomeni di osteonecrosi si leggono anche da una forma di disco luminoso tra le radici.

Con l’opera di 2200 pagine “Handbuch der Umweltgifte”, 5 volumi, , EcoMed 1997 (disponibile presso Tox Center e.V., -Junker-Str-13, 82031 Grunwald), Daunderer lascia in eredità un lavoro preziosissimo di lettura delle radiografie della bocca, una summa dell’esperienza trentennale nella lettura combinata dell’ortopanoramica, la clinica e i riscontri alla biopsia del tessuto orale.

Altri libri che riportano alcuni esempi di radiografie di denti infetti e relative osteiti condensanti sono quelli di Price o di Meinig, che in generale danno le stesse indicazioni del prof. Daunderer: il fenomeno infettivo cronico genera una “osteite condensante” che alla radiografia fa apparire l’osso non più una struttura regolare, ma interessato da vari gradi di addensamenti luminosi, fenomeni che a volte compaiono concentrati alla radice del dente, a volte interessano in modo più diffuso varie zone della mandibola e della mascella.

La lettura radiologica digitale è una tecnologia che consente di ridurre la radiazione del 90% e migliora notevolmente la qualità dell’immagine, cioè fornisce una risoluzione maggiore delle caratteristiche di densità ossea. Ovviamente bisogna sapere cosa si sta cercando.

Scrive Daunderer: “Un medico con esperienza può identificare i foci anche solo dai raggi X, ma il medico senza esperienza li può individuare solo con la scintigrafia!”.

Da notare che le cisti, essendo delle sacche di rivestimento cutaneo invisibili all’ortopanoramica, a meno che non siano diventate gigantesche, sono rilevabili solo dalla Tac.

Sull’ortopanoramica (cioè la radiografia con le due arcate dentarie, anche detta ortopantomografia) la d.ssa Clark scrive: “Per prima cosa, fate in modo di ottenere una radiografia panoramica di buona qualità della vostra bocca, se possibile in duplice copia.

Siate voi a giudicare. Non è necessario aver conseguito una laurea in odontoiatria per giudicare se vi trovate dinanzi a una buona o ad una pessima radiografia. Le punte delle radici sono tutte visibili? Se la risposta è no, avete sprecato i vostri soldi; vi siete fatti fare la panoramica per poter vedere fino alla punta delle radici e anche oltre! Siccome la radiografia può essere visionata proprio nell’istante in cui viene fata, potete richiederne un’altra (vi costerà solo un piccolo extra e servirà a fornirvi il duplicato che avreste richiesto comunque).

Per leggere la vostra panoramica, fissatela ad una finestra. Per prima cosa, individuate l’angolo della vostra mandibola, osservando l’alto e il basso, il lato destro e il lato sinistro, con il destro (R) alla vostra sinistra, come se vi steste guardando frontalmente. Per esaminare il tutto servitevi di una lente d’ingrandimento.

La radiografia che vedete qui avrebbe dovuto essere rifatta, poiché, se diamo un’occhiata ai denti superiori, ci accorgiamo che le punte delle radici non sono visibili. Questo significa che la bocca non è stata posizionata correttamente ai fini della radiografia.

Inoltre, i denti alle estremità risultano completamente sfocati, così riguardo ad essi nulla può essere dedotto. Vuol dire che la regolazione dell’intensità dell’apparecchio a raggi X non era quella appropriata.

Passate poi ad esaminare i denti inferiori. Le punte delle radici sono visibili, ma non molto chiaramente. L’apparecchio a raggi X ha prodotto due linee verticali intense al centro, oscurando ulteriormente le radici (è un buon motivo per farsi rifare la radiografia immediatamente)” [“La cura di tutti i Cancri Avanzati”, p.83, Macro Edizioni 2002].

L’identificazione del focus dentale : istruzioni

Consideriamo un alveolo con infiammazione cronica secondaria a decadimento di polpa e periodonto a causa di batteri, funghi o tossine. Elenchiamo gli strumenti per identificare questo fenomeno infiammatorio o “focus”.

Strumenti: ortopanoramica, lettura radiologica digitale, anamnesi, test della procaina, EAV o Vega test.

Strumenti meno comuni: Tac, (CAVITAT), termografia, valutazione batteriologica di campione bioptico

(Jerry Bouquot, Univ. West Virginia), test sulle tossine batteriche (Affinity Labeling Technology, email: shaley @altcorp. com).

La lettura digitale radiologica

La radiografia ovviamente non dà informazioni dirette sul fenomeno di decomposizione della polpa o su infezioni dentinali, però bisogna essere pronti a saper riconoscere osteiti condensanti, osteonecrosi, rarefazioni ossee che nei casi di denti cronicamente infetti ci fanno sospettare una focalità infettiva. Molto molto meglio è se la lettura viene effettuata con l’ausilio della lettura digitale computerizzata. La lettura della radiografia insomma può andare oltre la solita ricerca di aloni neri o anomalìe del riempimento del canale radicolare.

l’anamnesi

La presenza dei “cadaveri” (i denti devitalizzati) è semplicemente incompatibile con ogni tentativo di recupero dalla malattia cronica.

Gli esperti che hanno seguito i malati cronici fino alla loro guarigione non hanno dubbi: l’estrazione si rende tanto più necessaria quanto più l’organismo si è allontanato da un buono stato di salute. Quanto più si è allargato il focolaio infettivo tanto più sta impegnando le risorse del nostro sistema di difesa.

il test con procaina

Avevamo lasciato questo ammasso di cellule sotto il dente coinvolto in “scarica perpetua”, diciamo a 10 mv, mentre normalmente tutte le cellule sono polarizzate a 100 mv.

Andando a fare un’iniezione di procaina, la massa di cellule si ripolarizza abbastanza fino a far scomparire l’effetto a distanza.

La radice del dente sotto indagine viene trattata con un’iniezione di procaina (senza aggiungere altro, né vasocostrittori né conservanti), che resetta temporaneamente i tessuti ossei dentali coinvolti da infiammazione cronica per cui un sintomo direttamente correlato all’infiammazione (un mal di testa, ad es.) recede per una dozzina di ore, ovvero per il tempo in cui fa effetto l’anestetico.

l’EAV o Vega test

Scrive Cignetti [2001]: il focus dentale (un’osteite, un granuloma o la presenza di batteri in corrispondenza di un dente devitalizzato), può essere meglio visualizzato mediante tecniche bio- elettroniche (EAV o Vega test) in quanto spesso ai raggi X non è possibile evidenziarlo”.

Non è sempre facile con il Vega test capire quale è il peso di una focalità rispetto a quello di altri stressori che sicuramente sono presenti allo stesso tempo. Miclavez ad esempio consiglia che il dente “campo di disturbo” deve essere estratto se sono necessarie tre o più fiale di “osteitis” per neutralizzare la caduta di indice dell’apparecchio Vega (concetto di intensità relativa del campo di disturbo).

Una misura della portata del focolaio è ottenibile anche in quest’altro modo: “Se non ci sono significativi miglioramenti nell’organo corrispondente dopo tre iniezioni di procaina a distanza di una settimana, il focus deve essere bonificato, cioè il dente deve essere estratto e la cavità del dente trapanata” [Daunderer 2001].

L’apparecchio Vega o EAV serve anche per evidenziare altri eventuali campi di disturbo, ad es. le viti metalliche usate nell’implantologia.Le viti metalliche che funzionano da impianti dentali, usando le parole di Pischinger, “portano con sé un importante fattore di disturbo, determinato dall’infissione di un materiale non riassorbibile né eliminabile nel contesto del connettivo lasso”. Il medico che ha come obiettivo del suo lavoro il ripristino delle capacità di regolazione dell’organismo si avvicinerà ad esse come ad un’altra bomba ad orologeria, che sarà tanto più pesante sul sistema di regolazione quanto più peggiorano le condizioni di salute di un individuo. Per cui il monito ad una persona con disturbi inspiegabili e soprattutto ad una persona con malattia cronica è lo stesso (“PERICOLO: campi di disturbo”) e mi sento esentato dal dover produrre una filippica anche contro l’implantologia.

Battistoni [1998], usando come esempio una bocca con molti impianti metallici e varie cure canalari, scrive che questi pazienti “possono in qualunque momento sviluppare una patologia focale (concetto della bomba ad orologeria) e necessitano oltre che di frequenti controlli all’EAV, anche di un’idonea terapia volta a mantenere il più possibile efficienti i sistemi depuranti dell’organismo. Terapia che non sempre riesce ad evitare l’insorgenza di patologie organiche da impianti e terapia che spesso non consente di raggiungere un punto dove è possibile risolvere le patologie stesse senza dover rimuovere gli impianti. Ciò ad esempio è avvenuto per la paziente di cui vediamo l’ortopanoramica in fig5 (vari impianti metallici e vari denti devitalizzati), che soffriva di una grave forma asmatica, insorta dopo il posizionamento degli impianti in regione premolare superiore e molare inferiore di destra, in cui è stato necessario rimuovere ambedue gli impianti presenti, dopo numerosi tentativi di terapia omotossicologica, per ottenere un miglioramento sintomatologico. La soluzione in questo caso è stata parziale a causa del rimaneggiamento osseo della zona a seguito del posizionamento degli impianti e della loro successiva rimozione. Si è comunque passati da crisi asmatiche quotidiane a crisi molto più leggere che si presentavano circa due volte all’anno e si è riusciti va sospendere la terapia con broncodilatatori, cosa in precedenza assolutamente impensabile”.

L’estrazione di un focus dentale: istruzioni

adattato da “Meinig G., “Root Canal Cover-Up” [1994].

Considerata l’inclusione di materiale batterico e la possibilità di ricrescita difettosa, un dente focale viene estratto dal dentista informato nell’unico modo che non causi la permanenza del focus nell’osso (cavitazione) e che viene descritto di seguito.

Dopo l’estrazione del dente viene eseguita la rimozione di tutto il periodonto sottostante e il fresaggio della cavità ossea sottostante, in modo da rimuovere uno strato osseo di un millimetro (dovunque, importante l’area apicale). La fresa da usare è quella apposita per il fresaggio dell’osso, cioè una fresa a bassa velocità con una palla grossa.

Una mini-siringa (12 cc) con un becco di plastica curvo (monoject 412) e una soluzione salina sterile vengono usate per irrigare la cavità durante le operazioni di incisione, in modo da rimuovere più facilmente i detriti ossei e periodontali man mano che vengono incisi via.

Nella cavità dentale, dopo che è stata così trattata, si inserisce una goccia di procaina (un anestetico locale non vasocostrittore); si danno trenta secondi di tempo a questa applicazione di procaina, poi si aspira dolcemente in modo da rimuovere l’80% circa della procaina che ancora si pesca nella cavità, in modo che una parte della cavità ancora rimanga coperta con uno spesso strato di procaina.

Questo step della procaina contribuisce a resettare le cellule in modo da incoraggiare l’azione osteoblastica (ricrescita) e la guarigione ossea.

Alcuni dentisti ritengono che l’uso di antibiotici sul sito trattato avrebbe l’effetto opposto, quello di bloccare la ricrescita e corretta rigenerazione dell’osso, ma questa possibilità deve ancora essere comprovata con dati.

In corrispondenza di un dente devitalizzato che negli anni ha nutrito un’infezione anaerobica, i ricercatori (a partire da Price fino a Bouquot) hanno trovato un coinvolgimento dal primo al secondo millimetro dell’osso sottostante, cioè l’osso è diventato terreno di coltura di questi batteri e quindi per estirpare l’infezione deve essere pulito con fresa.

Alcune considerazioni ed eccezioni a questo protocollo devono essere fatte per i denti del giudizio, le vedremo nel prossimo capitolo.

Il protocollo qui descritto, che serve per evitare la formazione di cavitazioni, non è che sia così tanto sconosciuto o americano o tedesco; scrive Cacciatore [2001]: “I residui di legamento periodontale dove l’alveolo non sia stato ben curettato, rimanendo in situ, ostacolano la giusta ricrescita e formano delle cavità microscopiche che possono ospitare batteri con la loro sequela di conseguenze. Occorre guardare bene le RX endorali ma soprattutto ascoltare dal paziente gli eventuali fastidi lamentati; la cavità andrebbe sempre riaperta e curettata a fondo per eliminare gli eventuali foci successivi”.

Il legamento periodontale sotto il dente tra l’altro è il principale deposito di focolai infettivi, ed è lasciato al suo posto quando il dente viene estratto. Grave errore: “Ogni operatore che lavora con l’EAV”, scrive Huf [1999], “conosce la frequenza dell’osteite persistente post-estrazione che secondo la mia esperienza è da considerare intorno al 65%”.

Huggins fa il paragone: è come se una gravidanza si risolvesse nel parto solo del bimbo e non del materiale relativo alla gravidanza che non è il bambino; la mamma in questo caso sarebbe in guai grossi.

Il dottor Huggins racconta che una volta che iniziò a documentarsi sulla faccenda delle focalità dei denti devitalizzati e aggiunse la loro estrazione al protocollo di bonifica nella bocca di pazienti con malattie gravi, e vide che ciò gli dava un impatto immediato ancora più positivo per lo stato di salute rispetto a solo la rimozione dell’amalgama. Poi però osservò che c’erano numerose ricadute a distanza di qualche mese (cavitazioni). Il protocollo per prevenirle era già stato descritto da numerosi autori per cui Huggins si convinse a dare loro ascolto con il risultato di ottenere guarigioni senza ricadute.

accortezze per i denti del giudizio

C’è un’eccezione in cui non si ricorre allo step del fresaggio dell’osso descritto nel protocollo di prima, i denti del giudizio: l’operazione di fresaggio su questa zona è straordinariamente complicata e delicata per cui ci si accontenterà di grattare l’alveolo con un cucchiaio apposito.

I siti di estrazione dei denti del giudizio possono dare luogo a cavitazioni e focalità dentali molto più frequentemente della norma.

Ci sono due motivi.

Il primo è che essi contengono numerosi microscopici vasi sanguigni che possono essere danneggiati dal trauma fisico più facilmente di quelli di altri denti.

Il secondo è che nell’estrazione dei denti del giudizio, vasocostrittori sono usati spesso intenzionalmente per bloccare il rifornimento sanguigno all’alveolo dentale e la gengiva affinché gli effetti dell’anestetico sia prolungato e il sanguinamento ridotto.

Bisogna invece assicurarsi che il dentista non usi queste iniezioni di anestetico che contengono vasocostrittori (es. epinefrina), perché l’effetto vasocostrittore aumenta le probabilità che l’intervento inneschi fenomeni che portano ad osteonecrosi.

E’ importante infine che il dentista dopo l’intervento immetta sul sito dell’intervento una goccia di procaina, che ripolarizzando le cellule favorisce la corretta rigenerazione ossea.

Daunderer spiega che, man mano che si puliscono chirurgicamente le osteiti persistenti post-estrazione, bisogna stare attenti ad individuare e bonificare ogni altra fonte di marciume. Se infatti sono lasciate altre fonti di marciume, le zone su cui si è intervenuti chirurgicamente verranno da esse nel tempo colonizzate.

Il sito del dente del giudizio è pesantemente innervato e iper-delicato, per cui le persone (che hanno denti devitalizzati che producono marciume e l’intervento di estrazione dei denti del giudizio) inizieranno ad manifestare importanti peggioramenti all’incirca sei mesi dopo l’estrazione del dente del giudizio.

Adler spiega che cicatrici, infezioni o infiammazioni croniche nei siti del dente del giudizio possono contribuire ai seguenti disturbi a distanza:

(per il rapporto con il sistema nervoso centrale): agorafobia, claustrofobia, modifiche nel comportamento, epilessia, patologie psichiatriche;

(per il rapporto con il cuore): angina pectoris, infarto acuto del miocardio, disturbi del ritmo cardiaco in rapporto alle connessioni con il cuore,

(per il rapporto con intestino tenue): disturbi digestivi come senso di gonfiore addominale, pesantezza addominale;

(per il rapporto con le ghiandole surrenali): tendenza al raffreddamento, disturbi ortostatici, ipotensione, allergia, malattie autoimmuni;

(per il rapporto con il rene): nefriti, cistiti recidivanti, insufficienza renale.

(per il rapporto con il sistema ormonale): sterilità della donna, cisti ovariche, amenorrea, dismenorrea, endometriosi.

Gli effetti di cicatrici, infezioni o infiammazioni croniche (necrosi ossea o cavitazioni) sono iperbolicamente più comuni per i denti del giudizio estratti che per lo stesso fenomeno in altre aree, in quanto l’irrorazione in quella zona è più flebile (vasi capillari più delicati) e in quanto quella zona un crocevia delicato per i numerosi afferenti del sistema nervoso vegetativo.

Lettura delle cavitazioni

Su internet ho trovato una lista di dentisti in Gran Bretagna per chi deve togliere l’amalgama in modo protetto, per alcuni di essi viene specificato che sono informati e fanno la valutazione sulla questione focalità dei denti devitalizzati e viene chiarito se la bonifica la fanno loro o (più spesso) la demandano a dentisti più esperti.

Questi buchi (“tasche ossee”) sono davvero difficili da distinguere all’ortopanoramica perché è come cercare di vedere un po’ di aria dentro l’osso.

Cavitazioni del diametro di un centimetro generalmente sono del tutto invisibili, e anche quelle più grandi richiedono un’esperienza clinica notevole per l’individuazione solo mediante raggi X. Lo stesso Huggins (dentista di riferimento nel libro della Hulda Clark, che ha formato vari dentisti sul tema cavitazioni) dice che “uno sguardo solo analitico non scoverà le cavitazioni, ci vuole una certa dose di immaginazione per poter leggere tutte le ortopanoramiche con successo (oltre che un curriculum di qualche centinaio di casi trattati alle spalle)”.

Le cavitazioni anche se le vedi al Vega test, come fai per decidere dove andare a rimuovere osso (scavare grotte)? Il buco dell’osso a gruviera sei sicuro che lo troverai? O stai facendo un macello inutilmente?

Un discorso a parte sono i dentisti tedeschi di Daunderer, credo che lì, dando per scontata l’impossibilità di trovare i buchi, tolgano volumi e volumi di osso, indifferenziatamente, e anche se il paziente sta bene.

E’ del tutto giustificata la perplessità operativa da parte del dentista, anche esperto, per stanarle: andare alla ricerca di questi buchi nell’osso è da incubo, perché la certezza non ce l’hai mai che mano mano che trafori e levi osso alla fine troverai il buco (la cavitazione).

Mi scrive un dentista: “Qualche anno fa, mi recai a Londra nello studio del dott. Hempleman, che operava chirurgicamente sulle cavitazioni per curare le depressioni su pazienti che venivano da tutte le parti del mondo. Il mio stupore fu legato al fatto che radiograficamente io non riuscivo a vedere nessun tipo di alterazione a carico dell’osso, eppure in sede chirurgica la cavitazione era presente”.

Alcuni di questi dentisti all’estero usano “termografia”, altri “infrarossi”, il “Cavitat”, però mi viene fatto presente che si spera che con aggiornamenti tecnologici questi strumenti di scandagliamento dell’osso diano risultati un po’ meno equivoci e sbiaditi.

Mi riferisce un dentista italiano: “Ho pulito per quanto possibile l’osso di una paziente con grave nevralgia del trigemino, ora sta molto molto meglio da sei-sette anni, ma al test Vega risulta sempre -osteitis-”.

In Italia ci sono dentisti che conoscono i protocolli di valutazione e di estrazione dei denti devitalizzati infetti; per cui loro con questo protocollo del corretto modo di fare estrazione prevengono la formazione di “cavitazioni”.

Per es. Barile (Alba, CN), la Di Giosaffatte (Pescara), Beckman (Bassano del Grappa), Ronchi (Milano), Miclavez (Udine), dei quali so che conoscono i protocolli, che sono più o meno in grado di dare una valutazione informata su queste situazioni focali dei denti devitalizzati, ma che cercano sempre un compromesso per non estrarre se possibile, a meno di verdetto medico o di forte determinazione del paziente cronico che ha raccolto i vari indizi.

Devo aggiungere, sul territorio italiano, due dentisti tedeschi nella provincia di Bolzano, i dottori Bischoff e Hemerling, nessuno dei due parla italiano.

In Svizzera c’è il dottor Thomas Rau, direttore della Paracelsus Clinik, 9062 Lustmuhle bei St. Gallen, Switzerland

em: info @ paracelsus. ch tel.: +41 071 335 71 71 fax: +41 071 335 71 00

In Francia c’è il dottor Robert Hempleman, tel. (+ prefisso per francia ) 04. 93.38.10.83

Cannes,, Park, 1 ave Anglais (corner 82 bd Carnot)

Aggiungo il recapito di un dentista in Germania (parla solo tedesco, pochissimo l’inglese), fornito da Daunderer in persona:

Dr. Klaus Kreger

Kassenzahnarzt

82110 Germering (Halt Harthaus) Waldhornstr. 5

tel. 089 842828 (S-Bahnlinie 5)

Vicino Hannover ho conosciuto il medico Thomas Herms, italiano, (<thomas-herms @ gmx. de>) che mi ha consigliato i seguenti due dentisti esperti nella bonifica della bocca, osteiti e denti devitalizzati inclusi:

Dr. Karl-Heinz Zunk e Dr. Maike Finger

In der Teichwiese 1

38550 Isenbüttel

tel.: 05374 / 4565 fax: 05374 / 4584

email: kontakt @ zahnarztpraxis-zunk. de

Arrivati a questo punto della lettura è quasi certo che ne sapete più voi che il vostro dentista da cui andrete per fare domande in merito. Per evitare questa situazione in cui uno domanda ad un altro che ne sa meno di lui, date l’opportunità al dentista di leggere questo bagaglio di dati e di casi clinici.

Sono contento perché nell’affrontare buona parte delle questioni di base mi sembra che non mi sia dilungato oltre il necessario. Considerando che è più facile far leggere un manoscritto di 65 pagine che uno di 265 pagine, ad un certo punto ho frenato col trascrivere altri casi clinici e altra letteratura medica (per ampliare il materiale partite dalla bibliografia o rivolgetevi a noi dell’A.DO.M.).

CAPITOLO 4

Il pluri-metallismo

Un metallo immerso nella soluzione del suo sale assume un potenziale ben definito (detto standard, perché misurato per tutti nella stessa cella e rispetto all’elettrodo di riferimento ad idrogeno) che riporto tra parentesi (in Volt): Au+ (+ 1.50), Pt++ (+ 0.86), Pd++ (+ 0.82), Hg++ (+ 0.80), Ag+ (+ 0.80), Cu+ (+ 0.47), Sb+ (+ 0.23), Pd+++ (- 0.12), Sn++ (- 0.14), Ni++ (- 0.23), Cd++ (- 0.40), Fe++ (- 0.44), Cr++ (- 0.56), Al+++ (- 1.70). E’ osservazione comune, comunque, che si formino differenze di potenziale persino tra amalgama e amalgama, questo perché si tratta di amalgama di diverso tipo o di diverse età. All’anodo (cioè il metallo meno nobile), gli atomi di metallo si staccano dalla superficie solida ed entrano in soluzione sotto forma di ioni metallici e di qui potranno migrare nell’organismo.

“Inerti”, i metalli che la parola definisce “nobili”, lo sono solo nella cella immaginaria, non quando sono accoppiati con un elettrodo diverso. Anzi, il mercurio che ha un potenziale elettrochimico non come l’oro ma comunque da metallo quasi nobile (0.80 il mercurio, 0.82 il palladio), è splendido per fare batterie. Gli elevati potenziali positivi dei metalli nobili (+1.50, +0.86, +0.82, +0.80, di oro, platino, palladio e mercurio rispettivamente) proprio perché lontani dai potenziali elettronegativi di tutti gli altri, quando accoppiati con un qualsiasi altro elettrodo diverso ci assicurano le differenze di potenziali tra le più elevate.

La differenza di potenziale è una forza motrice della corrosione. La bocca non è la cella elettrolitica di riferimento, soprattutto visto ciò che avviene in odontoiatria: Ci sarà un solo manufatto, o non ci saranno invece ponti e perni metallici a iosa?

Vero è che i metalli non nobili hanno una forza motrice verso l’ossidazione intrinseca, come ad es. il cromo la cui reattività intrinseca gli fa formare spontaneamente un ossido. Producendo facilmente i metalli non nobili uno strato superficiale di ossido, si verificano varie fasi di neutralità o meno elettrochimica che questo strato di ossido garantisce, ma sempre prevale il logoramento e lo spostamento lento del potenziale per effetto degli ioni dell’ambiente esterno.

Essendo l’ambiente orale con tutta la saliva una splendida cella galvanica, i vari metalli presenti nelle protesi creano comunemente in bocca differenze di potenziale da 200 milliVolt fino a 1000, ma ovviamente il 99.9% dei dentisti non ha un multimetro digitale per farne una valutazione. L’effetto negativo è duplice: 1. c’è un micromaperaggio continuo impiantato in una forma di vita; 2. aumenta la corrosione degli ioni metallici.

Scrive Raue: “Nel 1977 ho iniziato ad usare di routine nella mia pratica quotidiana di dentista un microamperometro per le misurazione delle correnti endo-orali. Nel periodo che va dalla metà del 1977 alla metà del 1980 su ben 978 pazienti ho rilevato valori sospetti, cioè dai 6 mcA in su, e quando questi valori sospetti erano associati con sintomi clinici ho consigliato di intervenire. 99 pazienti hanno accettato la bonifica delle amalgame coinvolte nel bimetallismo; essi avevano tutti sintomatologie che si erano dimostrate resistenti ai vari tentativi terapeutici effettuati fino ad allora da cliniche e specialisti, le quali sono sparite completamente con l’eliminazione delle correnti endorali: mal di testa (57 casi), vertigini (20 casi), nausea e vomito (6), emicrania (6), svenimenti (4), fibrillazioni oculari (3), ronzio auricolare (1), gusto sgradevole (1), dolore alla mandibola (1).

La vera natura dei sintomi di questi pazienti non potrà mai essere diagnosticata da quei medici che ne ignorano la causa e la complessità, ovvero l’esistenza dell’elettrogalvanismo orale ed i suoi effetti sull’organismo. Nelle università di oggi gli studenti sentono poco e niente sulla possibilità e le conseguenze della formazione di correnti intra-orali. Nella pratica della medicina attualmente l’effetto batteria nella bocca è largamente trascurato.

Fin dal 1879 (Dr. H.S. CHASE) si pubblicano regolarmente comunicazioni che attestano l’insorgere di turbe dovute al polimetallismo delle ricostruzioni dentarie. Sono innumerevoli i ricercatori che hanno pubblicato studi su sintomatologie trattate con l’eliminazione del galvanismo orale. Non posso dire con esattezza quali siano le ragioni che portano medici e dentisti a non riconoscere queste scoperte. Una di queste potrebbe dipendere dal fatto che spesso questi pazienti affetti da sintomi causati da galvanismo orale non consultano i loro dentisti, ma si rivolgono ai loro medici generici o a specialisti che cureranno la malattia ignorandone la causa. Vengono dunque fatte diagnosi errate o diagnosi ‘facili’, appartenenti spesso al quadro delle malattie neurologiche, per sintomi come mal di testa, emicranie, distonia vegetativa, false depressioni etc.. Vengono prescritti molti farmaci. Alcuni possono attenuare i sintomi. Spesso questi pazienti sono considerati ipocondriaci e nevrotici. Questa situazione deve finire. Le misurazioni delle correnti orali dovrebbero diventare una procedura di routine nella pratica di tutti i medici e dentisti”.

Come con gli aloni neri radicolari che a volte compaiono e per i quali era discrezionalità del dentista intervenire, in maniera identica viene affrontato il pluri-metallismo:

  • a volte i pazienti riportano fenomeni elettrici;

  • l’amperaggio che si misura non ha assolutamente nessun significato sulla clinica; nessun impatto negativo sulla salute è provato o provabile, anzi l’insegnamento universitario nega decisamente alcunché di effetto a distanza sull’organismo.

Chiedete sempre (per sicurezza) al dentista olistico se ha un microamperometro in studio con sé.

Insulti ambientali di pertinenza odontoiatrica

altri metalli dentali sensibilizzanti:

del palladio, nichel e altri metalli fonti di intolleranza parleremo nella “Capitolo 6”. Una rapida dimostrazione della particolare vulnerabilità delle vittime da amalgama e del fatto che l’organismo è uno, gli stressori multipli ci viene da una pubblicazione del dottor Paul Engel [2003]:

“H.R., una 47enne che si presenta con mal di testa, emicrania, capogiri, problemi agli occhi, parestesie alle mani, tensioni al collo. Le 12 otturazioni in amalgama vengono rimosse tra il dicembre 1993 e il febbraio 1997. Il miglioramento della salute è immediato e notevole, non ha praticamente più emicranie già ad aprile 1997. A febbraio 2000 riporta che non solo non ci sono state ricadute di emicrania ma che sono scomparsi anche i mal di testa, le tensioni al collo sono migliorate, non ha più dolori alle spalle, la pressione sanguigna si è normalizzata. La differenza dello stato attuale di salute con quello di prima viene definita “come il giorno e la notte”.

A marzo 2002 viene inserita una protesi mobile in metallo. Compare gusto metallico e riappaiono dei mal di testa [galvanismo? Nichel? Cromo? N.d.T.]. I mal di testa smettono alcuni giorni dopo la rimozione della protesi ma riappaiono quando questa viene reinserita. Ad aprile 2003 la protesi mobile in metallo viene eliminata e sostituita con una senza metalli. Il risultato è che i mal di testa non ricompaiono più”.

dente infetto e implantologia post-estrattiva: TESCHIO NERO, altro che amalgama.

Il mettere perni su siti in cui è stato appena estratto un dente infetto è una cosa infernale, ma così tanto che se esiste l’inferno questa è la procedura numero uno che sicuramente adottano anche là.

Il fenomeno esiste (neanche troppo sommerso) anche in questo mondo ed è una delle pagine più brutte che l’odontoiatria fatta male possa scrivere nella storia delle persone.

Mi scrive una paziente che si era raccomandata con il dentista perché già era messa male:

“Alla prima seduta mi ha tolto due denti, gli unici senza amalgame ma che facevano pus e senza curare nulla mi ha immediatamente inserito due viti”.

Delle cose che vi possono fare invecchiare in fretta, questa è la più infernale di tutte.

Un caso di monconizzazione post-apparecchio (!)

Donna 30enne, durante una visita di controllo annuale dal dentista le viene aperta una questione apparentemente innocua: il 4° inferiore destro.. è leggermente tirato indietro, che ne pensa di farsi aiutare dall’ortodonzista, fare spazio, tirarlo fuori e riallinearlo? Lei accetta. Dopo due anni di apparecchio ortodontico, quello classico con le molle per ciascun dente, le quali vengono tirate dall’ortodonzista alle visite periodiche, il risultato è che l’arcata superiore tirata era andata verso destra, i due denti centrali non erano più centrali. Citata in tribunale, il verdetto era che l’ortodonzista aveva sbagliato ma non doveva risarcire il danno.

Ma aggiungiamoci ora la parte che riguarda il suo socio dentista: la paziente ha appena fatto in tempo a chiedere “non era meglio il mio dente rientrato un po’, invece di denti centrali che centrali non lo sono più?”, che lascia la stanza dell’ortodonzista e va in quella del dentista suo collega.

I dentisti super-temibili li riconoscete molto facilmente: è il dentista che corre sempre da un paziente ad un altro, entra e esce dalle varie sale, mantiene continuamente tutti questi pazienti in attesa mentre fa un pezzettino di lavoro ad uno, poi ad un altro ed un altro, prima di tornare da quello precedente a fare un altro pezzettino di lavoro? Il dentista che segue era di questo tipo.

“Che casino” pensa tra sé e se, resosi conto del lavoro schifoso che è venuto e senza dire niente (“ora si metta comoda”) inizia a lavoricchiare con indifferenza, fatta l’anestesia, la ragazza chiede ma che state facendo, ma lui : “giù, non ti muovere proprio ora..” ed è così che i denti vengono ridotti a moncone!! La cura di tutti i fastidi: ridurre a moncone il dente.

Vi giuro, non si capisce mai quando uno sta seduto in quella sedia, cosa vi stanno per fare e quali altre opzioni vi sono davvero per quella situazione. Il dentista farfuglia qualcosa, ma ha molto a che fare con le idee che gli si sono stampate in testa, le convinzioni che gli sono state inculcate, per cui davvero prendetevi una settimana minima di riflessione e confronto con altre idee e dunque nuove prospettive, non fatelo intervenire subito.

Per inciso, lapparecchio dell’ortodonzia ortodossa, quello con le molle per raddrizzare i denti, ragazzi, non ha proprio senso.

Non ho il tempo di dire tutto ora, ma i denti storti sono un effetto dei rapporti muscolari, del loro funzionamento e del loro mancato rilassamento. La vera scienza olistica studia questo e i rapporti con le asimmetrie craniche.

Il paziente olistico avrà un atteggiamento da “molto scettico” fino a “del tutto restio” rispetto al tirare i denti di qua o di là con molle.

Mentre il dentista applica l’ortodonzia ortodossa “delle molle” succedono le seguenti cose:

la vera questione non viene tirata a galla;

il paziente soffre disagi immensi, masticatori, alle gengive, emotivi, etc.;

l’ortodonzista ha un reddito periodico (ai controlli);

si creano e favoriscono ulteriori scompensi cranio-sacrali;

se tutto va male non avete garanzie contro l’errore e il risultato finale.

Vedete voi se ha senso.

Il dentista e le “monconizzazioni” facili!

C’è un aspetto della vita lavorativa del dentista che cerchiamo ora di portare fuori dall’ombra: “Più preciso e conservativo vuoi essere e più diventa difficile!». Per questo ho sempre nutrito ammirazione per i dentisti che lavorano bene. Lavorare bene nel silenzio è più eroico che lavorare bene. Per capire ancora meglio mettiamo sotto i riflettori i denti monconi, uno spartiacqua tra il dente otturato ma vivo e il dente devitalizzato.

L’operazione di monconizzazione del dente che ora descriviamo è fatta 8 milioni di volte in un anno (dati dichiarati) sull’insieme delle persone che si recano negli studi odontoiatrici italiani.

Dovendo coprire un dente, il dentista sceglie l’opzione della capsula e che fa? Si fa mandare dal laboratorio uno di questi cappucci (capsule) e lo infila sul dente che precedentemente è stato preparato.

La “preparazione” del dente per l’incapsulamento è qualcosa di shockante: al dente viene letteralmente tagliata la testa fino a giù nella gengiva, si parla di abbassamento del dente.

La distruzione della corona di dente sanissima è necessaria allo scopo di avere una struttura portante per la capsula, bisogna limare il dente fino a giù e fino a renderne la superficie molto sottile. La pratica comune è quella di devitalizzarli questi denti nel momento in cui vengono monconizzati.

L’alternativa alla monconizzazione è la ricostruzione.

La ricostruzione ha i vantaggi che non richiede la devitalizzazione, che non richiede l’abbassare e il limare parti non compromesse del dente, che porta ad una spesa sostanzialmente inferiore per il paziente.

La prima grande differenza tra “capsula su moncone” e “ricostruzione del dente” è quella relativa alla realizzazione.

E’ richiesta attenzione, pazienza, e soprattutto è richiesta una marea di tempo per fare una ricostruzione.

Visto che il dentista facendo la monconizzazione per la capsula spende 10 volte meno tempo che non ricostruendolo da come sta, si capisce perché la riduzione a moncone diventa una tappa della vita di un dente.

La vita dei nostri denti può venir deviata artificialmente dalla pratica odontoiatrica. La vita lavorativa del dentista medio è incompatibile con il non deviare artificialmente la vita del dente allo step “monconizzazione”. E molti denti salvabili ci rimettono la testa (tutto smalto sano) e il nervo (devitalizzazione).

La forzatura (ovviamente per il dentista) sarebbe quella di infilarsi in un lavoro impegnativo dal punto di vista tecnico e dal punto di vista del tempo quando invece un’opzione “più ragionevole” è a portata di mano (ovvero la monconizzazione con incapsulamento).

D’altra parte, se non ci fosse questa differenza nell’impegno per la realizzazione, probabilmente a nessuno verrebbe in mente che per coprire un dente sano questo debba essere ridotto a radice e per questo anche devitalizzato (intendiamo con radice quando un dente è ridotto all’incirca al livello della gengiva).

Si farebbero solo ricostruzioni: ricostruzione (intarsio) in vetro-polimero, ma anche in ceramica, o ricostruzione in composito.

Limare il dente, abbassarlo, prepararlo con il motosega, non ha mai senso! Questo il punto di vista “irragionevole” di un numero sparuto di dentisti che mi sono simpatici. Se hai ancora dente, anche pochissimo, questo potrebbe e dovrebbe essere mantenuto e rialzato con una ricostruzione.

L’altro discorso è che ci sono pochi Michelangelo dell’odontoiatria, mentre invece la massa offre un livello tecnico medio delle ricostruzioni davvero basso: è noto che la maggior parte delle ricostruzioni che ci sono in giro sono inaccettabili, vedi punti di contatto anteriori, posteriori, durata, occlusione, etc.

Una ricostruzione ha molto più senso quando sei uno di quelli bravi, che fanno lavori di precisione frutto di grande maestrìa (precisione ed esperienza) e soprattutto frutto di grande attenzione e pazienza; la ricostruzione per farla bene devi proprio saperla fare.

Per cui nella testa del dentista la spiegazione è anche questa: visto che il lavoro che farei di ricostruzione sarebbe insoddisfacente, mentre quando faccio il moncone viene soddisfacente, la mia scelta è il moncone.

Qualcuno di voi vuole ancora chiedere: perché allora non si fanno le ricostruzioni al posto delle monconizzazioni?

L’altra domanda è questa: “Ci sono dei denti, tra questi 8 milioni annui, per i quali l’abbassamento e l’operazione di limatura potevano essere evitati?”.

La risposta è “Tutti”. Il fatto di limare il dente per prepararlo non ha mai senso (eliminare materiale biologico sano?! Devitalizzare?).

La capsula sopra un dente dal punto di vista della conservazione di materiale biologico sano ha senso SOLO quando E’ GIA’ ridotto ad una radice. In ogni altro caso, se hai ancora dente, anche pochissimo, questo dovrebbe essere mantenuto.

Molti sfortunati portatori di denti monconi sanno benissimo perché questi possono produrre tutta una serie di visite dal dentista: quando i bordi della corona sono posizionati sotto gengiva, questa può gonfiarsi o ritrarsi; così aumenta la possibilità di infiltrazione del cibo, il consolidamento della placca, con maggior pericolo di carie e malattie gengivali.

Il brutto è che la proposta di monconizzare viene fatta anche in casi in cui è assolutamente fuori luogo (su incisivi, canini,..), fa notare un dentista per niente alternativo del San Raffaele su Starbene: “Troppe volte denti recuperabili con eleganti ed efficaci restauri in composito, notevolmente più economici e che non richiedono devitalizzazione, vengono invece incapsulati” scrive Aiello [2001].

E aggiunge: “Devitalizzare sempre e comunque (un dente moncone) era la prassi di un tempo, oggi si è scoperto che una volta devitalizzato il dente si sgretola molto rapidamente rispetto ad un dente sano, per cui la vitalità del dente è vista come un patrimonio da salvaguardare”.

«Gli americani appena vedono un dente un po’ storto lo limano e lo incapsulano», conversazione con un amico dentista. «Non è possibile chiamarlo “errore”, è un “approccio professionale”».

«Una tecnica invasiva?», dico io. «Si, bravo “invasivo”, ma da annoverare fra le tecniche possibili, le “scuole di pensiero”».

Questa è una delle tante pagine brutte che l’odontoiatria ha scritto, e chissà quando si riuscirà a porre un freno al fenomeno.

Il brutto è anche che prima che il paziente sappia cosa ha intenzione di fare il dentista o di sentire quale opzioni ha a disposizione, la riduzione a moncone è già bell’e effettuata.

Riuscirete ad impedire che il dentista riduca inutilmente qualcuno dei vostri denti a moncone? Ecco l’opportunità dell’educazione dei pazienti.

Mi dice una mosca bianca: «La mia priorità, la sfida, è quella di modificare il meno possibile un dente sano o le sue parti sane; se il dente è già distrutto, allora va bene, si può fare quello che si vuole. Io sono 15 anni che non limo a moncone un dente sano a scopo protesico. Se il dente è già limato, distrutto, allora lo uso da appoggio, se no se il dente è integro io non lo limo, non lo tocco”.

Salvaguardia di materiale sano o sacrificio? L’interrogativo si affaccia dappertutto, anche quando è il momento di fare le cure canalari. Dice la mosca bianca di prima: «La priorità secondo la mia scuola di pensiero (per non indebolire il dente) è fare la cura canalare allargando poco, ma più conservativo vuoi essere e più diventa difficile! ».

Allargare troppo non è un “errore”, è una scuola di pensiero. Il valore biologico del tessuto sano spesso scompare dall’equazione e allora le scuole di pensiero diventano invasive.

Uno può essere più o meno invasivo in qualsiasi operazione o circostanza, è per questo che diventa importante che il dentista faccia uso dell’ingrandimento, microscopio, occhialini 4X, etc.: se il dentista vede di più ha maggior controllo e (se rientra nelle sue priorità), può salvaguardare più tessuto sano.

La scelta del dentista (tra salvaguardia ma tempi lunghi – attenzione e esercizio di precisione – e scelta invasiva ma rapida e semplice) avviene senza che voi sospettiate niente perché non conoscete le scelte possibili e le “scuole di pensiero”.

E anche quando siate state avvertiti con questa lettura avrete un bel da fare a chiedere per qualsiasi piccola manovra nella vostra bocca che il dentista vi presenti a livello di possibilità un confronto tra le tecniche più invasive (con sacrificio di materiale dentale sano) e quelle meno invasive.

Un altro spartiacque artificiale (cioè dentista-indotto). Quello tra il dente strutturalmente sano ma con una piccola carie e il dente meccanicamente molto manipolato dal dentista: consiste (sigh..) nel riflesso condizionato del dentista che invece dell’otturazione in composito mette otturazioni che richiedono una ritenzione meccanica e dunque per un puntino nero di carie deve scavare un traforo megagalattico di materia sana del dente, “preparandolo” all’otturazione dalla ritenzione meccanica.

Poiché l’amalgama (diversamente dai compositi) è un materiale che necessita la ritenzione meccanica, richiede l’escavazione di un traforo megagalattico di dente sano (la quale operazione è tanto più ridicola se si confronta con le carie superficiali cui è applicata).

Questo fenomeno sommerso è tutt’ora in corso, ieri mi ha telefonato una madre che dice che al figlio di 13 anni per una piccola cariettina gli è stata messa un’amalgama con relativa fossa di ritenzione.

Anche la ceramica richiede una ritenzione meccanica e dunque non è adatta a carie piccole. Questo mi fornisce lo spunto per mostrare come il cervello di un dentista olistico può andare in profondo sonno Rem. Un mio amico è andato da un dentista che usa la ceramica perché valutata più compatibile; l’abitudine però era talmente acquisita che, a fronte di carie quasi invisibile, il dentista gli ha fatto un buco mega-galattico nel dente (certamente fuori luogo per una cariettina) allo scopo di fargli ritenere la sua cara ceramica.

Io lancerei un consiglio allora: quando andate nello studio del dentista, dite sempre che la carie volete vederla con lo specchietto o, meglio ancora, davanti ad una carie prendetevi un piccolo spazio di riflessione o, meglio ancora, riflettete sulle considerazioni fatte in questo manuale quando narro di come le mie due carie sono guarite (cloruro di magnesio, alimentazione).

Trafori in denti sani come appoggio per ponti?

Mi rendo conto che se uno vuole aggiungere all’odontoiatria olistica di prima (estrazioni di radici morte sospette, niente metalli, etc..) anche la priorità di non sacrificare materiale dentale sano, si merita di essere mandato a quel paese dal dentista perché tutte le richieste precedenti che avete fatto sono incompatibili con questa.

Facciamo l’esempio che vi manchi un dente, ad es. il 6° inferiore. E mettiamo il caso che questo elemento mancante sta in mezzo a due denti sani.

Se per qualche motivo uno decide che vuole mettere la ceramica integrale (con o senza base metallica) la tecnica conduce ad una consistente riduzione con la fresa dei due denti adiacenti. Quanto più si vorrà usare la ceramica integrale senza basi metalliche, tanto più sarà necessario effettuare una “preparazione adeguata”. Preparazione adeguata (sigh..) significa limare molto il dente.

A ragione il dentista vi dirà: “Allora!, vuoi fare l’implantologia, o vuoi smantellare il dente affianco?”.

Volendo fare un ponte e mantenendo come priorità quella di non distruggere gravemente i denti affianco sani, le opzioni sono i ponti “california” o “maryland” metallici che richiedono pochissima abrasione dello smalto del dente affianco. Quali sono questi metalli possibili del maryland? Il nichel-cromo, che ovviamente sarà il primo da escludere per i problemi legati all’uso di nichel, poi c’è il cromo-cobalto, e il cromo non è certo poco aggressivo o sensibilizzante come metallo, per cui volendo usare un’attenzione in più (se uno vuole evitare i sopracitati) può usare l’oro galvanico.

A ragione il dentista vi dirà: “Allora!, vuoi evitare i metalli o vuoi preservare materiale dentale sano?

Per fare dunque questo ponte, la contrapposizione è tra:

1. intervento poco e niente invasivo sul dente sano: ponti “maryland” o “california”, i microintarsi vengono appoggiati nei solchi e nello spessore dello smalto, l’aggancio si costituisce di nichel, cromo oppure solo oro galvanico, rivestito esternamente;

2. se i denti affianco sono sani, l’intervento più invasivo è la preparazione dei denti sani per poggiarci un ponte in metallo-ceramica o anche in ceramica integrale senza base metallica; il massimo di preparazione devastante è necessaria per piazzare la ceramica integrale senza altro.

Vi parlo ora di Maryland senza metalli che è l’opzione numero tre, però non so ancora che idea farmi sulla durabilità di un certo manufatto.

Il vantaggio sarebbe che sono poco invasivi rispetto al dente affianco e non hanno metalli. Certo si potrebbe anche aggiungere un elemento di acetalica con ganci in acetalica, ma allora l’inaffidabilità della tenuta e la scomodità sale esponenzialmente.

3. manufatti in fibra ricoperti di resina o di ceramica possono essere usati per ponti maryland senza metalli. Debbono però rispondere al punto interrogativo della resistenza nel tempo allo stress masticatorio (garantiranno un periodo di permanenza in bocca sufficiente per ammortizzare il loro costo?);

Si tratta di un’armatura del manufatto in fibra di vetro che viene rifinita esteticamente con rivestimento in resina o ceramica. La fibra proviene dalla ricerca spaziale ed aeronautica, e visto il colore accettabile della fibra di vetro (traslucente) l’industria odontoiatrica se ne è appropriata. Contrariamente ad un manufatto in metallo-ceramica, la fibra non è rigida, ma tende ad assorbire e distribuire il carico masticatorio lungo la sua struttura, con caratteristiche gnatologiche assimilabili al dente naturale. (BellGlass tel. 256233, ArtGlass, Targis vectris, Gradia, etc..).

Gli svantaggi: dando però meno garanzie di resistenza nel tempo a fronte dello sforzo masticatorio, gli Euro che il paziente paga per questi manufatti vengono ammortizzati su un periodo decisamente più corto; alla luce di possibili fratture e rifacimenti ex-novo questi ponti senza metalli potrebbero diventare un investimento (in biocompatibilità massima) costosissimo.

Riuscirà il paziente ad avere la fotocopia dei bugiardini prima che il lavoro inizi e non dopo, quando l’omeopata gli dice che quel materiale è problematico?

Eugenia va dal dentista e spiega che lei è una paziente con particolari necessità, è allergica ai metalli, l’oro giallo a volte può usarlo a volte no, il nichel e altra ferraglia sono assolutamente da escludere. Spiega che ha avuto continui problemi di salute in corrispondenza di precedenti trattamenti odontoiatrici e che non sta molto bene al momento. Insomma quello che farebbe uno che abbia appena finito di leggere questa guida. Il dentista la rassicura dicendo che non c’è nessun problema in quanto userà materiali che non danno alcun tipo di problemi. Fiduciosa perché il dentista ha capito la sua situazione la donna decide di iniziare i lavori con lui.

Il dentista le ha messo tutta una serie di manufatti e ponti che, a suo dire, oltre alla ceramica contenevano solo oro e nessun altro metallo. Sono passati cinque anni, un omeopata fa notare alla paziente che i numerosi metalli delle protesi fisse le causano attività galvanica e fa notare l’intolleranza verso questi materiali, la donna parla della visita dall’omeopata, spiegando i suoi problemi di salute, e dopo notevoli insistenze riesce ad avere le fotocopie dei materiali usati da questo dentista; con sorpresa apprende che c’era di tutto:

Basi metalliche per ponti

  • alluminio (15%), stagno (12%), cromo (1%), nichel (1%), vanadio, manganese, zinco

  • oro (39%), palladio (35%), argento (19.5%), stagno (5%), platino (1%), iridio (1%), rutenio (1%), indio (0.5%)

  • palladio (25%), argento (70%), rame (1%), stagno (1%), iridio (1%), indio (2.8%), zinco (1.4%)

Apparecchio mobile

  • Palladio (63.5%), cromo (28%), molibdeno (6.5%), manganese (0.6%)

L’esperienza mi fa dire che quando il dentista afferma che il suo materiale è “quello buono”, cioè “anallergico”, il più delle volte intende che ha evitato leghe molto contaminate con metalli come rame e nichel, ma ciò non significa che questi siano assenti del tutto.

L’esperienza mi fa dire che il termine “manufatto in oro-ceramica” viene usato nel foglietto del consenso informato destinato al paziente per spacciare qualsiasi cosa, non è detto che il lavoro non contenga rame, cadmio, palladio, cromo, etc. etc. , come infatti questi metalli altamente allergizzanti sono praticamente sempre contenuti nelle basi per ponti dentali e nei perni cosiddetti aurei.

Se un dentista nel consenso informato scrive “protesi in oro-ceramica” e non vi consegna il bugiardino è quasi sicuro che il nostro oro è di quello mescolato ad altri metalli, così come lo è il 99% dei prodotti odontoiatrici simili presenti sul mercato.

Se il dentista stesse usando l’oro puro, cioè “oro galvanico”, questa scritta apparirebbe in bella evidenza perché quelli che lo usano lo fanno con vanto.

Visto che il dentista può ottenere manufatti con una durezza superiore mischiando un 40% di oro ad altri metalli, sono molto diffuse queste leghe che contengono di tutto, cui ci riferisce in generale come “platinate”, “palladiate”, oppure “non nobili” (se contengono in elevate percentuali rame, cromo e altri metalli dal potenziale elettrico positivo).

All’inizio c’erano solo le leghe platinate, poi si intravide l’opportunità di sottrarre del platino e sostituirlo con palladio. Maggiore era la percentuale di sostituzione del platino con palladio e maggiore era il risparmio sul materiale di partenza.

Ma il palladio ha notoriamente un’elevata potenzialità di inibire enzimi (1 grammo di palladio è tossico come 100 grammi di platino). Inoltre il palladio ha una capacità decisamente superiore di indurre sensibilizzazioni nel tempo. Il motivo per cui una cosa così problematica è entrata in odontoiatria è che è convenuto a tutti, a quelli che lo dovevano smaltire come rifiuto tossico e a quelli che lo mettevano nelle leghe auree al posto del più costoso platino.

E mentre i dentisti sono alla mercé di venditori di materiali odontoiatrici che pavimentano la strada tra i rifiuti industriali più impuri e il loro inserimento nelle bocche della gente, i tedeschi avvertono contro gli effetti del palladio, la Svizzera qualche anno fa bandì il palladio (ancora prima che l’amalgama), oggi i nostri omeopati in Italia sapendo della questione iniziano a testare il palladio trovando praticamente sempre problemi.

Parlo ad un dentista olistico dell’opportunità di evitare almeno il palladio e mi risponde picche: “Il palladio è un metallo prezioso e nobile, come il platino blah blahh..” (come da opuscolo pubblicitario). Ma che dici?? Se il paziente cui voi dentisti olistici avete messo una corona rinforzata con base palladiata dopo qualche tempo va da un omeopata o da un altro dentista olistico, sarà possibile (mediante Vega test) rilevare nel suo caso l’effetto a distanza, ad es., sui reni del palladio che magari deve ancora finire di pagare ma verso cui è già scattata la sensibilizzazione e dunque il blocco del sistema di regolazione.

Thomsen [2001] riporta un esempio tra i tanti di intolleranza a leghe dentali palladiate: “57enne che accusava inon chiara origine e cefalea diffusa che si irradiava nel territorio di diversi meridiani, pertanto risultava difficilmente associabile ad aspetti sistemici. All’analisi sistemica mediante EAV si evidenziarono valori instabili generalizzati (cadute d’indice) su tutti i punti delle mani e dei piedi. Il riequilibrio della risonanza fu ottenuto solo con le fiale Degu Sdf D6 e Palladium met. D6. Il ponte palladiato fu rimosso; il giorno successivo il paziente riferì che sia l’ipertensione che la cefalea erano scomparse.

Dopo che furono trascorsi 10 giorni caratterizzati dall’assenza di disturbi, il ponte fu nuovamente inserito, sempre senza utilizzare materiali fissanti, nemmeno provvisori. Il giorno dopo, i disturbi erano ricomparsi: ipertensione ed emicrania diffusa. Occorre sottolineare che nel corso dell’analisi preliminare era stato accertato che la lega era preparata “lege artis” cioè non presentava alcuna dissociazione elettrolitica”.

Ragazzi non credete che non vi capisca, quello che ho detto nella sezione precedente lo dimostra. Perciò vi lascio in pace se volete usare l’oro oppure anche l’oro platinato (perché ha una durezza maggiore), badate però che non vi sia palladio vi prego! E quando in bocca già c’è un tipo di metallo abbiamo raggiunto il capolinea: non dovrebbero essere aggiunti altri metalli!

Informazioni su materiali problematici e possibili alternative

Le dentiere. La parte plastica delle dentiere è del metacrilato lavorato, cosiddetta “acetalica”, bianca.

La parte rosa delle dentiere deve il suo colore a molecole organiche (polimeri) chiamati “lacolines”, per dare il colore della gengiva.

La dentiera viene generalmente proposta con una base metallica per dare una consistenza più sottile e più affidabile al manufatto: palladio, cadmio, cromo-cobalto, nichel, berillio. Chiedete sempre la composizione. Il berillio (spesso presente intorno all’1.8%) è usato perché permette al materiale di essere presso-fuso in uno stato più fluido, ma ha una potenzialità tossica notevole.

Spesso il materiale pubblicizzato come anallergico non è quello che non contiene nichel, ma che ne contiene non più del 30% (in alternativa a protesi mobili in cui la percentuale di nichel arriva fino all’60%, per cui i fastidi diventano quasi subito evidenti).

Qualcuno usa un accorgimento intermedio, e cioè in alternativa ai vari metalli che abbiamo citato, usa l’oro puro come supporto per la parte di plastica della dentiera.

Chiedete sempre la composizione, meglio ancora chiedete l’opzione più sicura che è una dentiera completamente in acetalica con ganci anch’essi in acetalica.

Le protesi mobili di plastica sono ottenute mediante stampaggio per iniezione di polimeri di monomero acetalico, di monomero metacrilato o monomero vinilico. Nuovi prodotti sempre in plastica ma alternativi all’acetalica credo stiano arrivando dall’estero che dovrebbero dare più flessibilità ai ganci.

Come fare il byte per chi è palesemente allergico al metacrilato? Un mio amico intollerante al metacrilato si fece testare all’EAV il byte (in metacrilato) e risultò che gli dava fastidio, e infatti scoprì che stava meglio quando non lo metteva la notte. Ma avendo bruxismo durante il sonno aveva bisogno di mettere su il byte di notte. Girammo vari dentisti che proponevano opzioni anallergiche, ma alla fine scoprimmo che tutti i byte sono fatti di metacrilato e chi è allergico che fa? Abbiamo trovato un’azienda che fa byte in poliuretano termoplastico, Durasoft (la loro iniziativa è meritevole per cui faccio loro pubblicità per chi avesse lo stesso problema: produttrice SCHEU DENTAL, importatore TP Italia, tel 035 4520001).

Importante. Cementi e colle per installare corone e ponti.

Innanzitutto facciamo una classificazione generale; ci sono:

  1. cementi carbossilati 2. cementi zinco-fosfati

  2. cementi vetro-ionomerici 4. cementi ibridi (vetro-ionomerici + resina)

  3. cementi compositi 6. altri

Otturazioni bianche: istruzioni per l’uso

Dobbiamo innanzitutto spendere una parola contro le resine vetro-ionomeriche.

Il fatto che rilascino fluoro dovrebbe essere un fattore di predilezione verso di esse secondo le idee stampatesi nella mente del dentista, ma il fluoro è un veleno e il sovraccarico tossicologico di questo rilascio è perciò sconsigliabile a chiunque e soprattutto al paziente intossicato con una situazione enzimatica già molto compromessa (il fluoro inibisce tutti i nostri enzimi). Inoltre fare otturazioni con vetro-ionomeri fluorurati richiede la verniciatura e cioè il bario, che lentamente verrà rilasciato nell’organismo.

Escluse le resine vetro-ionomeriche, non ci restano che i compositi.

Attenzione ai correttori di tonalità che il paziente o il dentista scelgono per ottenere un’otturazione simile al colore del dente.

Il dentista senz’altro preferisce la tonalità più vicina al colore del dente, io invece consiglierei al paziente la tonalità più trasparente che c’è, per cercare di evitare le aggiunte di pigmenti (a volte cadmio).

Alcuni compositi non sono coinvolti in questo, il Pex ad esempio è del tutto privo di metalli. Il Pex inoltre è l’unico materiale che non contiene monomeri metacrilati.

Prima del Pex c’era una sola tecnologia: il monomero di base, che può diventare anche una miscela di monomeri diversi, era uno della famiglia dei metacrilati (Bis-GMA, uretano dimetacrilato, polietilenglicole metacrilato, HEMA, altri monomeri con diversi gruppi funzionali attaccati al dimetacrilato).

Tra questi compositi metacrilati ogni azienda propone un prodotto che in effetti per il risultato finale (la tollerabilità da paziente a paziente) si può differenziare grandemente dagli altri.

I dentisti olistici che conosco si appoggiano a 3 o 4 marche di composito, che poi cercano di testare con EAV o Vega test su ogni paziente per dare ad ognuno quello cui è più tollerante.

I risultati di tollerabilità delle varie marche di compositi in effetti sono diversi, sebbene la tecnologia è una, i produttori fanno scelte diverse (solventi, composizione, monomeri di base, attivanti, etc.).

Faccio qui una lista dei prodotti compositi cui attingono i dentisti che conosco:

Miclavez usava il Compress

Di Giosaffatte usa il Pex, il Definite, l’ Admira

Barile usa lo Z250 (3M); il Post ; ..

Ronchi usa il Pex

Simo, la persona con i problemi di sensibilità dentinale più gravi che abbia mai incontrato, alla fine ha scoperto che solo con il Pex stava bene.

Un suggerimento di Simo sulla fattura del composito: “Siccome l’ultimo strato che il dentista tira di otturazione in composito, quello a contatto con l’aria è anche particolarmente reattivo (questi materiali sono messi strato dopo strato e sono fatti per polimerizzare con il prossimo strato) allora il consiglio è di fare l’otturazione un po’ abbondante per poi tagliare via l’ultimo strato. Lo strato interno era polimerizzato tutto e così rimane quello in superficie.

Perché alcuni dentisti insistono sull’amalgama.

I difetti dell’amalgama sono la sua tossicità verso l’ambiente, la sua elevata conduttività elettrica, l’elettrodeposizione dei metalli alla radice del dente (che pone le basi per la degenerazione dell’osso), la sua reattività a fonti di calore nella bocca, l’estetica, la corrosione (che origina esposizioni dell’organismo alle basse dosi di mercurio ingerite con la saliva (e l’evaporazione di mercurio inorganico (che viene assorbito attraverso le vie aeree).

Chi sono questi dentisti che sono pronti a essere etichettati come antiquati perché usano ancora le otturazioni grigie mentre la gente vuole quelle estetiche (le otturazioni bianche)? Sono coloro che si sono fatti fermare dall’ostacolo comodità e l’ostacolo abitudine.

Un requisito molto importante che il dentista spesso richiede ai prodotti e le soluzioni adottate è che siano tecnica-insensitivi (cioè uno non deve essere preciso e attento). Tanto è vero che oggi ci sono cementi di sesta generazione che sono prodotti e pubblicizzati per essere tecnica-insensitivi. Ma l’amalgama è la regina della tecnica-insensitività: la può mettere chiunque, anche se è la prima volta, anche se non è dentista, e non sbaglierà.

A dire il vero un dentista giovane che usa resina mi ha fatto rendere conto che l’abitudine è molto importante. Mi dice che lui mette la resina, sa farla in modo che duri (ora vedremo le istruzioni) e che se un paziente venisse nllo studio e gli dicesse di fare l’amalgama lui andrebbe un po’ in panico perché non è abituato mentalmente agli step preparatori per mettere l’amalgama. Dovrebbe visualizzarli mentalmente sul manuale e ripassarli e realizzarli con molta lentezza perché ormai non è proprio abituato.

Come mettere una resina bianca per farla durare più a lungo possibile (Miclavez ha fatto uno studio in cui dimostra che dura più la resina che l’amalgama).

  1. il composito viene attratto dalla luce. Quindi, devi polimerizzare verso le pareti di adesione.

  2. bisogna prevenire l’umidità applicando la diga di gomma. Se sono presenti quantità di acqua infiltratesi a causa dell’assenza di diga di gomma, la polimerizzazione darà luogo ad un composito la cui durata nel tempo è segnata. Per quanto straordinario possa sembrare, i dati sui volumi di vendite commerciali mostrano che il 94% dei dentisti quasi sempre non usa la diga. “La diga ti sembra una scocciatura da stare lì a mettere, ma se uno si abitua è semplice, ci vuole un attimo”, mi dice un dentista.

  3. le lampade di vecchia generazione servono a poco con i compositi; hanno ragione i dentisti che dicono che il composito fatto con una lampada di vecchia generazione durerà in media solo tre anni. C’è stata l’era in cui è uscita la lampada al plasma, alcuni ora usano il laser per far indurire i compositi, ma la soluzione che io propongo sono le lampade Modulate, cioè con un software, a seconda di quello che devi fare ci sono dei programmi diversi. Questa nuova generazione di lampade fa davvero la differenza. Ovviamente vale sempre il consiglio di controllare periodicamente la lampada, cioè ci sono dei sensori specifici per calibrare e tenere sempre calibrata la potenza di riferimento della lampada.

  4. Ci sono delle situazioni in cui più comunemente si possono lasciare dei punti d’ombra (non raggiunti dalla lampada e non polimerizzabili); il dentista accorto imparerà evitare di creare lui stesso manovre che producono punti d’ombra e imparerà a riconosce le situazioni inevitabili in cui l’insidia dei punti d’ombra deve essere affrontata. In questi casi il dentista accorto rallenterà e farà piccole stratificazioni (per evitare una polimerizzazione solo parziale in corrispondenza dei punti di ombra). A dire il vero le piccole stratificazioni vale la pena di farle sempre.

Cure canalari : novità e regaletti da evitare

Ci sono delle novità degli ultimi anni sul fronte cure canalari.

La prima novità è l’ossido di calcio usato come riempitivo (al posto di guttapercha o cementi silicati).

Le altre novità sono degli ausili per migliorare la sterilizzazione di tessuti a ridosso del canale principale: endox, ozono, laser.

Endox: è un dispositivo che il dentista usa come aggiunta per sparare corrente e decontaminare il canale: un elettrodo si immerge nel canale radicolare prima della fase d’immissione del riempitivo, si danno tre scariche di corrente a 1200 Volt, che è stato dimostrato annientano 2 o 3 miliardi di streptococchi. Usato anche su tasche gengivali.

Ozono: esistono adesso macchine tipo l’Helazon che permettono di sospingere in uno spazio ermeticamente delimitato ozono alla concentrazione di 20.000 ppm (contro i 200 ppm della ozonoterapia).

Laser: usato per stecchire la carie senza dover rimuovere troppa polpa (come è successo fino ad oggi), migliora anche la bonifica apicale dal materiale batterico attivo in fondo alla radice del dente, ma ovviamente non si può giostrare molto con la direzione del fascio di luce, per cui rimangono sempre non garantiti i tubuli laterali disposti perpendicolarmente al fascio emergente.

Ossido di calcio (noto come Biocalex): Diversamente da altri materiali riempitivi per cure canalari (che hanno un marcato potenziale a contrarsi), il Biocalex si espande una volta inserito, assicurando il massimo riempimento e sigillo del canale. Il Biocalex è composto da ossido di calcio cui è stato aggiunto ossido di zinco e una soluzione acquosa di etilen-glicole.

L’ossido di calcio ha affinità per i fluidi, migrando per questo motivo in tubuli dentinali altrimenti inaccessibili. Questa espansione dell’ossido di calcio è seguita da solidificazione e trasformazione in idrossido di calcio. Successivamente l’idrossido di calcio è convertito a sua volta in carbonato di calcio, creando un muro di calcificazione che sigilla ancora meglio le aree riempite (che altrimenti avrebbero offerto spazio e terreno di coltura a possibili migrazioni di materiale batterico).

In conclusione l’ossido di calcio ha un effetto alcalinizzante locale che induce il tessuto biologico a calcificare così da sigillare i canali. Ma l’effetto alcalinizzante è un battericida naturale esso stesso, in quanto i batteri proliferano meglio in ambiente acido.

Numerosi studi hanno confermato non solo l’effetto “calcificazione” sui milioni di tubuli dentinali, ma anche buoni livelli di asepsi rispetto ad altri materiali. Da alcuni studi recenti sembra che il livello di sicurezza (dell’asepsi ottenibile) salga ancora di più quando si combina per es. con la tecnica del laser.

L’idrossido di calcio è usato come isolante delle polpa sotto le otturazioni dentali, ma ATTENZIONE a NON PENSARE CHE E’ LA STESSA COSA. Solo l’ossido di calcio ha il vantaggio che mentre si trasforma in idrossido di calcio sigilla e si espande.

L’idrossido di calcio ha un altro svantaggio: i produttori a seguito di una causa legale sono stati obbligati in Svezia nel 2000 a dichiarare tutti i componenti perché si sono avute reazioni allergiche e si è scoperto che il 40% del prodotto era etil-para-toluene-sulfonamide (Dycal, Dentsply). Anche vari riempitivi per cure canalari contengono etil-para-toluene-sulfonamide, ma non c’è obbligo di dichiare tale contenuto (!§%).

Per quanto riguarda i vari regaletti da evitare….

si usa ancora (sigh) endometasone. Usato come cemento per medicazioni intermedie o come cemento definitivo per chiudere le cure canalari insieme alla guttapercha, è una mostruosità dell’odontoiatria, un residuato bellico che ancora resiste in un numero non indifferente di studi dentistici. Mats Hanson lo usa come esempio per far capire quanto larghe siano state le maglie della marcatura CE per la commercializzazione di prodotti odontoiatrici: “Considerate che ora ha la marcatura CE una delle cose più terrificanti che l’odontoiatria ricordi, Endometasone, un materiale per trattamenti canalari che fu bandito dalla Svezia già nel 1983 (contiene formaldeide, piombo e numerosi altri ingredienti tossici). È una barzelletta o cosa questa certificazione che accetta una mostruosità simile?” [Heavy Metal Bulletin, 2 ottobre 2000].

Guttapercha con e senza cadmio. La guttapercha non è radiopaca ai raggi X e dunque deve essere impregnata (dal produttore) di una soluzione di ioni metallici. La migliore accortezza che il dentista può avere su questo argomento è controllare sulla confezione che ci sia la dicitura “priva di cadmio”. Se non c’è questa scritta allora la guttapercha contiene cadmio. I prodotti senza cadmio sono decisamente più biocompatibili rispetto agli altri.

Derivati del trisolo come disinfettanti. Il caratteristico odore che sentite nello studio odontoiatrico è proprio quello del trisolo. E usato come disinfettante nelle cure canalari e anch’esso non ha una buona compatibilità biologica e dovrebbe essere evitato.

Eugenolo. Chodi di garofano, l’eugenolo ha proprietà anti-putrefattive per cui viene usato nelle cure canalari. Sfortunatamente è un po’ irritante per cui alcuni dentisti preferiscono non usarlo.

Cosuccie assortite lasciate nei denti devitalizzati: o gli antibiotici che venivano lasciati nel canale dentale non si usano più, almeno non secondo i dettami della moderna endodonzia; la soluzione standard per le cure canalari è l’ipoclorito di sodio e nient’altro.

Spero che questa informazione vi serva per salvarvi dai numerosi dentisti che, come accaniti, continuano a lasciare (SENZA DIRE NIENTE) questi regaletti nei denti devitalizzati di pazienti a volte anche allergici o fortemente intolleranti.

la formaldeide. A sottolineare i pericoli tossici della formaldeide, che è generalmente usata come disinfettante delle cure canalari, abbiamo un’edizione in pillole delle idee di Daunderer:

“In casi di mal di testa casi è molto importante estrarre i denti trattati con formaldeide.

L’intolleranza sviluppata verso la formaldeide (nel trattamento canalare) si manifesterà possibilmente come disturbi della memoria, confusione mentale, paura del nuovo, difficoltà ad essere felici delle piccole cose, accresciuta sensibilità al dolore, atteggiamento di sottomissione, temperamento focoso, sensazione di stare sotto una palla di vetro, incapacità a fare movimenti delicati con le dita

La perdita di capelli (a chiazze, circolari, laterali o totali) è sempre una combinazione di amalgama (spesso materna) e della disfunzione del metabolismo della formaldeide. Il processo diventa drammatico e spesso incurabile quando c’è un trattamento canalare con formaldeide. Nell’ortopanoramica si possono vedere i disturbi del metabolismo dell’occhio che in congiunzione con l’amalgama causa un’ampia infiammazione. Persino più importante della totale rimozione dell’amalgama è togliere la formaldeide nell’osso mandibolare (pulendo chirurgicamente gli alveoli dei denti devitalizzati) e nella polvere di casa. L’alcalinizzazione e integratori di zinco possono offrire un aiuto temporaneo. È meglio comunque cambiare la dieta e indirizzarla verso cibi ricchi di zinco e alcalinizzanti. Lo zinco dovrebbe essere inserito nella dieta per un lungo periodo e in altissimi dosaggi”.

Per fortuna ora quasi tutti usano ipoclorito di sodio (NaOCl) come unico disinfettante nella cura canalare + EDTA per togliere il fango dentinale.

Si usa ancora (sigh!) l’arsenico in odontoiatria, ma è (insomma..) raro. Fino al 1990 l’arsenico era usato per le cure canalari (oggi occasionalmente qualche dentista lo usa ancora). Il motivo principale per il quale è stato soppiantato dalla formaldeide è che la dose coinvolta di arsenico era vicinissima a quella che produceva fenomeni infiammatori dei tessuti dentali e dunque la percentuale di insuccessi endodontici era molto elevata. L’arsenico inoltre è l’unica tecnica per devitalizzare il dente senza anestetico.

Per tutte le informazioni e sapere come fare le scelte giuste per i propri denti e la propria salute procurati il libro Odontoiatria Tossica – Odontoiatria Vitale

Lorenzo Acerra

Lorenzo Acerra, Lorenzo Acerra, nato nel 1971, autore di libri, chimico. Competenze: danni da denti devitalizzati, danni da amalgama, mal di latte. Laureato in chimica industriale nel 1994, attivista per quasi dieci anni nell'ambito delle intossicazioni da mercurio, relatore ai seminari della Società  italiana di medicina funzionale (SIMF), E' stato uno dei soci fondatori dell'Associazione per la difesa dalle otturazioni di mercurio (ADOM). Ha pubblicato vari libri di medicina naturale tra cui i best-seller Denti tossici e Magnesio (Macro Edizioni).

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